Oggi pubblichiamo qui e su Vino al Vino oltre che sul sito ufficiale di Radici del Sud il report della emozionante degustazione di Primitivo tenuta venerdì scorso a Le Giare di Bari con Vinicola Savese
di Franco Ziliani
Ogni capasone è bello a mamma soja ! Una clamorosa verticale del Primitivo di Manduria dolce naturale Il Sava
Non potete certo dire che non vi avevo, che non vi avevamo avvertito per tempo. Eppure, a qualche giorno di distanza da una serata che in ogni suo aspetto è stata memorabile, non posso non sottolineare che qualcuno l’importanza di questa verticale non l’ha saputa cogliere e che una volta di più gli assenti hanno avuto clamorosamente torto.
Peggio per loro, perché per noi che ci siamo stati e abbiamo letteralmente goduto ad esserci, la verticale di vecchie annate, 2007, 2004, 2000, 1984 e 1979 del Primitivo di Manduria dolce naturale Il Sava della Vinicola Savese di Vittorio Pichierri, il “Bartolo Mascarello del Primitivo”, l’indomito ultimo dei mohicani del Primitivo di Manduria old style, tappa del percorso di “Aspettando Radici del Sud” che si è svolta presso il ristorante Le Giare di Bari (del fiorentino in Bari Massimo Lanini) è stata una delle più belle degustazioni di vini del Sud che ricordiamo. Il motivo è legato non solo alla qualità, indiscutibile, impeccabile dei vini in sé, ma al fatto che, cosa rara al Sud, questa verticale ha presentato quell’elemento imprescindibile per ogni vino che aspiri ad essere veramente grande, la storicità.
Ovverosia la capacità di quel vino di riproporsi nel tempo con una costanza qualitativa, ma anche e soprattutto, come ha ben annotato Luciano Pignataro, che ha condotto questa verticale insieme a me, di saper evolvere nel tempo e acquisire nobiltà e complessità. Perché “non esiste una grande area vitivinicola se non è in grado di vendere il tempo”. Di proporre vini che sono grandi, ancora più grandi, dopo 10, 20 anni e più di affinamento in bottiglia. Momento focale di questa degustazione è stata l’apertura, una delle primissime volte al di fuori della sua sede naturale, la storica cantina di Sava, dell’anfora, la “menzana”, ovvero il piccolo “capasone”.
E una battuta tipo “Ogni capasone è bello a mamma soja” potrebbe essere l’ideale titolo di questa degustazione. L’assaggio delle sei annate (il vino tolto dalla menzana aveva una ventina d’anni) ha confermato la modernità e duttilità del Primitivo di Manduria, le sue enormi potenzialità, l’equilibrio mirabile, che nelle grandi espressioni come questa raggiunge, tra dolcezza olfattiva e gustativa. Ha confermato che anche vini dotati di gradazioni alcoliche molto elevate (venti gradi per l’annata 1979 e 19 gradi per tutte le altre) possono essere dotati di una piacevolezza innata che se da un lato non li rende di certo vini da bere “a secchiate” porta ugualmente a berli piacevolmente godendone tutte le caratteristiche intrinseche. Tra cui una naturale dolcezza, dovuta alla surmaturazione delle uve sulla pianta di vini tutti espressione di annate particolarmente adatte a questo tipo di tecnica. Senza alcuna pretesa di completezza, perché l’emozione di quei vini non può essere restituita a parole, e più banalmente perché mentre ho potuto prendere debita nota delle osservazioni di Luciano sulle annate da lui degustate non mi sono annotato mentre descrivevo le mie, ecco quindi qualche riflessione sui meravigliosi, complessi, multidimensionali vini, tutti in splendida forma, tutti integri, bevibilissimi, che gli amici Pichierri ci hanno proposto.
Iniziamo da un solare 2007, tutto frutta matura al punto giusto, prugna direi, ma corredata da terra, tabacco, liquirizia, marron glacé, a comporre un insieme rotondo, succoso, fondente, con una dolcezza in bocca che “gioca” con l’amaro come fosse un piatto agrodolce, e una larghezza rotonda, boteriana, eppure fresca, viva e appuntita.
A seguire, cambiando completamente registro, un 2004 tutto giocato su tonalità autunnali, selvatiche, chiaroscurali, con accenni quasi animali e carnosi, terroso a 360 gradi, pepato, speziato, prugna secca e fiori secchi, dotato di una magnifica energia, di una componente tannica che si fa ancora sentire e conferisce nerbo salato, una mineralità spiccata, al vino.
Ritorniamo ad un trionfo della frutta con un 2000 molto più simile al 2007 come impostazione, con tanta frutta matura in evidenza, molto ricco, materico, piacevole, ma un po’ più prevedibile e monodimensionale, non dotato di quelle sfaccettature che rendevano il 2004 in qualche modo sorprendente. Colpisce, in un vino tanto strutturato, ricco di “roba”, la freschezza, che detta i tempi e scandisce il vino, una freschezza dolce e suadente, che regala energia e induce Luciano ad inventarsi la magnifica metafora di un vino che ha una sorta di scattante rimbalzo sul palato, come un gioco di sassi piatti sul pelo dell’acqua del mare…
Ritorniamo ad un universo misterioso, anzi misterico, boschivo, selvatico, notturno, con un magnifico 1984, il più emozionante forse, con il 1979, dei vini che il destino ci ha regalato in questo assaggio, naso super selvatico, con tutte le sfumature in chiaroscuro, variazioni di aromi terziari, che può regalare un vino di 29 anni, con aspetti leggermente scontrosi, pepe nero, sottobosco, sfumature animali e cuoiose, foglie secche, terra bagnata, liquirizia, polvere da sparo, funghi secchi, ma con una quantità di frutta fresca, croccante, ben polputa, che si sviluppa progressivamente al gusto, e un’acidità indomita che lasciano ammirati. E conquistano.
Infine il 1979, vino che, come ha detto Luciano, “dalla realtà porta nel dominio dell’irreale”. Tutto quanto potete attendervi, ma con un surplus che va oltre la fantasia e l’immaginazione, da un trentaquattrenne pimpante, elegante, arzillo, che porta i segni degli anni ma lo fa con classe. Naso tutto foglie secche, aromi terziari a dismisura, e tutte le variazioni delle spezie, quasi una drogheria di una volta, e poi prugne secche, terra, tabacco, cuoio, e poi china, genziana e cannella, e una bocca sensuale, carnosa, suadente, cremosa, avvolgente come l’abbraccio della donna che ami, con snellezza e mineralità petrosa al gusto, fulminea “velocità di beva” (Pignataro dixit) grande freschezza e finale pieno di sapore, energico, che lascia la bocca pulita e invita nuovamente al bere.
A chiudere il diciottenne sottratto al lungo riposo nella “menzana”, ancora bloccato da questo lungo riposo e bisognoso di sgranchirsi le gambe, di stirarsi, di sottrarsi in qualche modo dall’immobilità cui è stato consegnato. Un vino che paradossalmente non ha il dinamismo dei vini più vecchi che sono stati a lungo nello spazio ridotto della bottiglia, ma che ha ancora tanta vita davanti e materia ed energia e si fa progressivamente apprezzare per un naso vivo ed in continua evoluzione nel bicchiere, tutto pomodori secchi funghi porcini appena affettati, liquirizia e terra umida, e tutta la catramosità goudronesca pensabile, dotato ancora di saldo nerbo e freschezza viva e salata che regalano al vino una lunga persistenza gustativa. Una degustazione delle mirabilie, e la conferma che il Primitivo, se affidato alle mani giuste e alle giuste coscienze, alla volontà di onorare, con spirito di servizio e senza inutili egocentrismi, la magnifica terra di Puglia, sa essere un vino splendido. Che non ha da invidiare nulla a nessuno….
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