Casca a fagiolo, si dice. Così ho pensato mentre leggevo l’articolo di Alessandro Franceschini (“Tutti i volti della viticoltura irpina”, DeVinis anno XVII nr. 94, pagg. 42-45).
L’altro ieri. Giusto qualche giorno dopo aver partecipato al “laboratorio di narrazione rurale”, terzo e ultimo degli incontri organizzati nell’ambito dell’undicesima edizione della fiera enologica di Taurasi e dedicati appunto ai «diversi volti» – per dirla con le parole del bravo giornalista di Lavinium e Porthos – del Taurasi.
Dopo i focus sui Taurasi della zona intorno all’omonimo borgo e su quelli “del freddo” di Castelfranci e di Montemarano, il giorno di Ferragosto è toccato a quelli del Comune che da’ il nome alla denominazione: otto diversi vini prodotti da altrettante aziende.
Sarebbe stato interessante spararseli tutti e tre, i laboratori dico. Perché, pur sotto un unico nome, la denominazione (garantita dal 1993) racchiude al suo interno vini tanto diversi tra loro che ben rispecchiano le differenti caratteristiche dell’areale di provenienza delle uve. C’è Taurasi e Taurasi, quindi. Che poi è la stessa considerazione fatta da Alessandro Franceschini nell’articolo che ho citato prima, scritto dopo la due-giorni in terra avellinese per Anteprima Irpinianello scorso giugno.
Vabbè, è andata come è andata. Per la cronaca, a condurre la degustazione, svoltasi nella suggestiva sala Gesualdo del Castello Marchionale, c’erano Nicola Matarazzo (Responsabile comunicazione AIS Campania) e Luciano Pignataro. Tralascio – ma solo perché Luciano ne ha già ampiamente parlato qui – la riflessione iniziale su un tema assolutamente centrale qual è quello dell’attesa. L’abbinamento è stato fatto con i formaggi e un piatto preparato dall’Oasis di Vallesaccarda.
Il primo naso è tutto giocato sulle note di prugna e frutta scura sotto spirito; compaiono dopo le spezie dolci e i fiori leggermente appassiti, quasi terriccio e sottobosco. C’è anche il legno, un tantino sopra le righe; ed è forse l’unica incertezza, nemmeno poi così grave data la gioventù. Ancora meglio in bocca: assolutamente soffice il tannino che è smussato da una bella freschezza. Il sorso è snello, niente concentrazione a tutti i costi; anzi, ha una bella dinamica di bocca e chiama subito al secondo affondo. Elegante. Chiude leggermente amarognolo, il che non è di per sé cosa fastidiosa e a tavola non guasta di certo.
Taurasi “Spalatrone” 2005, Russo
Dico subito che mi è piaciuto. Non ho altri assaggi in canna trattandosi di azienda del tutto nuova per me. Realtà giovane, certo: gli impianti risalgono al 1999 e il primo Taurasi è targato vendemmia 2003 (soltanto 2mila bottiglie) tanto per dire. E di piccole dimensioni, con una produzione complessiva che si attesta sulle 50mila bottiglie ottenute dai 7 ettari di vigneti ubicati perlopiù nella zona “Carazita”, al confine con Luogosano e Santo Stefano del Sole. L’impostazione – come rivela Marcella Russo, presente alla degustazione – è tradizionalista, con prevalente utilizzo di tonneaux da 500 litri.
Il bicchiere ha i suoi perché: attacco sulle note di prugna in confettura e di erbette aromatiche, magari appena legnosetto. Il sorso è pieno, più di quanto non lo sia il campione precedente; la leggera pungenza dell’alcool non compromette l’equilibrio finale dovendosi tenere conto della tenera età. Coerente e anche piuttosto elegante, tannino deciso ma di pregevole fattura e ben diluito dalla cospicua dose di freschezza.
Incarnazione di un’eleganza “diversa”, anche nel colore (che è più violaceo), ma altrettanto coinvolgente. Risultato di una conduzione in vigna che (sebbene ancora non vi sia certificazione) è improntata ai canoni dell’agricoltura biologica, dell’uso di solo legno grande e di una vinificazione con utilizzo di lieviti indigeni, selezionati dal prof. Giancarlo Moschetti dell’Università di Palermo e dall’enologo Maurizio De Simone, e nessuna filtrazione. Praticamente “vinoso” all’inizio, diventa interessante osservarne una certa evoluzione nel calice che lo porta ad approdare su toni più cupi di frutta, di prugna e ribes nero, di viola appassita, su accenni di terriccio bagnato e su piacevoli note speziate di pepe nero. Il sorso è succoso benché prevalga l’acidità; l’attacco è sapido, senza piacionerie; il finale è lungo e rispondente. Ha carattere, altroché. Peccato solo – come ha osservato Nicola Matarazzo – sia difficile da proporre sul mercato.
Breve interruzione dei programmi per segnalare un diverso uso dei legni sui primi tre campioni: si passa dal legno piccolo di Caggiano al mix tra legno grande e piccolo (con prevalenza del primo) di Russo fino alla sola botte grande per Contrade di Taurasi.
Taurasi 2005, Antico Borgo
Segna subito, già in apertura, un netto distacco dal campione precedente e lo potrei definire tranquillamente – questo sì – più “piacione”. Parte sulle note di prugna e di cioccolato, con una speziatura più dolce, quasi una noce moscata. Fatti due conti sembra un po’ compresso all’inizio, lentamente vira verso una maggiore austerità delle sensazioni riferibile a un impianto complessivo più vicino alla tradizione. Meglio in bocca, con un bel sorso, intenso, lungo e appagante che beneficia del lavoro “sporco” dell’acidità. Elegante. Paga – forse – una leggera invadenza del legno, sicuramente digeribile con la maturità.
Taurasi “Don Ciriaco” 2005, Mier Vini
Anche per questo vino – lo ha rivelato l’altro produttore presente, Giacomo Pastore – nessuna filtrazione e solo legno grande. Legno grande, sì; ma tonneaux di castagno (proveniente da Aiello del Sabato e Caposele), come si usava una volta. Bei profumi, di prugna e di spezie con una bella spinta minerale. In bocca è molto succoso, di ottima intensità e fresco il giusto. Chiude su una persistenza piacevole ma magari un po’ monocorde, a tratti lievemente pungenti l’alcool e il tannino, leggermente amaricante sul finale. L’impressione è che sia da godere nel medio termine per via di una sottile freschezza che potrebbe alla lunga non reggere più la struttura.
Taurasi “Primum” 2005, Guastaferro
Non eccelle al naso: i “caldi” profumi di prugna sono piuttosto evanescenti e lasciano ben presto il campo alle note eteree piuttosto accese. Magari mi sbaglierò, ma ho avuto quasi una sensazione d’agrumi. Dei campioni degustati sarà quello con il colore più affascinante insieme al terzo vino in degustazione: bello il gioco di trasparenze. Se la cava assolutamente meglio in bocca dove la forte spinta acida (che se da un lato potrebbe farlo apparire sconnesso, dall’altro lascia ben sperare per il futuro) imprime un bel ritmo. Il finale è particolarmente deciso, soprattutto speziato, con quella evidente nota amarognola che – almeno per quanto mi riguarda – gradisco. Nel complesso, però, è il meno pronto di tutti: per questo mi piacerebbe riprovarlo di qui a qualche annetto.
Taurasi “Vigna Piano d’Angelo” 2003, Sella delle Spine
L’annata – si sa – è stata nefasta. In linea generale, certo, non indistintamente. Il Taurasi di Sella delle Spine – altra azienda praticamente sconosciuta per me – non si salva: il naso è “cotto”, le sensazioni di surmaturo sono tanto evidenti da essere fastidiose. Non aiuta, in questo caso, un’impostazione che mi sembra orientata verso una maggiore concentrazione. All’assaggio rivela le stesse problematiche: sorso stanco e non più sorretto dalla freschezza. Non poteva fare di meglio. Cercherò un’annata diversa per farmi un’idea.
Taurasi 2003, Antica Hirpinia
Anche il taurasi di questa cooperativa (che vanta circa duecento conferitori) parrebbe non sfuggire alla sindrome da 2003. Almeno fermandosi all’olfatto. Anche qui le note ciliegiose sono “cotte” (anche se meno del precedente campione) e monopolizzano un bouquet di profumi in cui si annusano qualche spezia e qualche sentore floreale, niente più. Si riscatta in bocca, a dimostrazione di un buon lavoro in vigna, dove – nonostante la calura dell’annata – conserva una maggiore freschezza. Facilitato anche da un corpo più esile, con il frutto che è più diluito, ne guadagna in piacevolezza. Ecco, magari non ci sarebbe da attendersi chissà quale evoluzione: è da tirargli il collo e da bere. Così. Senza indugiare oltre. Chiuderei qui. Ma non posso non parlare del piatto in abbinamento preparato dal ristorante Oasis Sapori Antichi: agnello del Formicoso su purea di patate al profumo di timo con riduzione di Taurasi. Sapete che vi dico? Manco da troppo tempo nel bel ristorante della famiglia Fischetti a Vallesaccarda… Un piatto assolutamente equilibrato – cosciotto e spalla d’agnello sottoposti ad una cottura lunga e lenta – che mette d’accordo tutti e che l’abbinamento al vino di Taurasi è quasi scontato.
Ah, giusto per completezza. Nel suo articolo, Alessandro Franceschini segnala i Taurasi 2006 di Di Prisco (Fontanarosa), Molettieri (Montemarano) e Boccella (Castelfranci). Così, giusto per dare uno spunto a chi – come me – gli altri due laboratori se li è persi.