L’occasione è la degustazione del Taurasi Radici Riserva 2016 al quinto posto del mondo per Wine Spectator a New York: con Piero Mastroberardino parliamo della strategia aziendale seguita in questi anni ma anche del sistema fiere del vino in Italia che stanno in crisi, ovviamente la vendemmia 2024 e il cambiamento climatico in atto.
Ritorno a New York Wine Experience con un risultato incredibile per la Mastroberardino e il Mezzogiorno. Il quinto posto assoluto mondiale del Taurasi riserva 2016.
Come si è arrivati a questo risultato nel bicchiere?
È senza dubbio il risultato più importante mai conseguito da una denominazione del Mezzogiorno. A mio avviso non ci sono istanti specifici che generano un effetto simile. È piuttosto il portato di una moltitudine di fattori congruenti, di sforzi fatti per decenni, di attività svolte negli angoli più disparati del globo, ma rispondenti a un unico disegno coerente: la forza del messaggio di una famiglia, della sua terra e dei suoi vini. Penso abbia aiutato non poco il filo rosso di sensibilità culturale che ha legato un secolo di nostri vini tuttora presenti tra ristoratori e collezionisti del mondo, che continuano a testimoniare quella coerenza e a consacrare un principio non sempre noto ai più: la leggenda dei vini italiani di gran pregio non nasce negli ultimi decenni del Novecento, bensì rimonta alla fine dell’Ottocento, quando alcune famiglie del vino dedite al pionierismo imprenditoriale iniziarono a confrontarsi con il mondo portando i frutti del proprio lavoro al cospetto dei degustatori internazionali più esigenti. Il mio bisnonno, Angelo Mastroberardino, fu uno di quei pochi pionieri.
Cosa è cambiato nell’ultimo anno per l’azienda e per l’Irpinia aver conseguito questo risultato?
La legittimazione a sedere al tavolo con i vini più celebrati al mondo era stata già conquistata da tempo dalla nostra famiglia. Questo riconoscimento è più che altro la conferma universale del ruolo di ambasciatore della vitienologia italiana che un vino come Radici Taurasi ha svolto negli ultimi quarant’anni, che lo ha eletto a vessillo del Paese intero, più che di un singolo territorio. Questa cosa mi fa particolarmente piacere perché, come sai, il progetto Radici nasce per volontà ed opera di mio padre, Antonio Mastroberardino, al principio degli anni Ottanta. Dunque che su quel podio ci sia Radici Taurasi Riserva DOCG 2016 è per me motivo di grande emozione ed orgoglio.
Gli indici parlano di un mercato di rossi strutturati in crisi. Cosa determina questa tendenza secondo te?
L’offerta di vini di pregio è estremamente variegata e frammentata, per cui è spesso difficile ragionare sulla base di megatrends e di grandi aggregati. Spesso le grandi tendenze non dispiegano effetti omogenei su tutte le componenti di quell’offerta. Tuttavia non vi è dubbio che alcuni mutamenti si stiano registrando nelle modalità e occasioni di consumo dei grandi vini rossi, il che porta anche a ridefinire lo stesso concetto di “grande vino rosso”. Il vino è creatività, visione del futuro, interpretazione anticipata del mutare delle attese e dei desideri di un consumatore sempre più attento ed evoluto. La cultura nel mondo del vino non è un giocattolo, è un processo lento di sedimentazione di emozioni, sensazioni, esperienze. E dell’oscillare inesorabile di un pendolo. Negli anni scorsi ci è capitato di degustare i nostri Taurasi a partire dagli inizi del Novecento fino ai giorni nostri: abbiamo sperimentato diversi modi di sentire il vino, vini più strutturati, concentrati, vini più sottili, essenziali, verticali, eppure non si percepisce mai una frattura, poiché l’unico vero connettore è rappresentato dal sentire dell’uomo, dalla sua sensibilità culturale. Dopo alcuni decenni, oggi si percepisce l’aspettativa di vini rossi più agili e improntati alla bevibilità, a una maggiore versatilità, senza rinunciare all’alto pregio ormai dato per scontato dal degustatore. Chi ha avuto visione ha iniziato una decina d’anni fa a declinare questo concetto nei propri vini e oggi non accusa crisi.
La Mastroberardino e l’evoluzione del Taurasi
Che riscontri avete con il Taurasi su questo tema?
Il nostro impegno si è articolato su due grandi direttrici.
La prima è stata la riproposizione degli stili agili ed essenziali dei Taurasi che mio padre, Antonio Mastroberardino, amava produrre negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. Di qui è nato Stilèma Taurasi Riserva, attualmente la frontiera più ambiziosa e gratificante del nostro progetto d’impresa nel vino. La sua prima vendemmia, la 2015, all’atto della presentazione ha rappresentato una rivoluzione: l’amante giovane del Taurasi degli ultimi decenni è apparso disorientato; l’appassionato di lungo corso ha mostrato entusiasmo oltre ogni aspettativa. Ciò che tuttavia mi ha colpito di più è stata la unanime reazione di grande apprezzamento ricevuta dagli esperti degustatori dei più grandi players mondiali, come i monopoli, i quali tutti, all’unisono, hanno decretato il primato a un vino come Stilèma Taurasi, confermando l’orientamento verso grandi vini rossi di eccezionale bevibilità.
Il progetto Stilèma ha poi consentito, a partire dal 2015, di intervenire anche sugli altri “stili” dei nostri Taurasi, ovvero Radici e Naturalis Historia, che stanno beneficiando delle sperimentazioni in corso.
Su questo filone si innesta la seconda grande direttrice di ricerca sul Taurasi: aprire a ventaglio i caratteri e gli stili declinandoli su tre grandi schemi, Stilèma, Radici e Naturalis Historia, consente di rappresentare al popolo degli appassionati un concetto essenziale e non banale: il Taurasi non è semplicemente un vino, bensì una miriade di forme espressive di un territorio estremamente ricco e vario, capace di donare emozioni diverse e distanti, pur racchiuse sotto un unico grande ombrello identitario. Le diverse zone, contrade, aree montuose e aree collinari della denominazione sono in grado di esprimere concetti assai distanti, purché vi sia dietro ogni progetto un uomo di cultura capace di interpretarli e rappresentarli.
Vino naturale, vino convenzionale…qual è il pensiero della Mastroberardino che ha attraversato tutte le mode?
Bisogna resistere alle mode, alle etichette costruite con narrazioni più o meno fantasiose al fine di crearsi nuovi spazi di mercato a danno degli elementi fondamentali della nostra filiera. È un atteggiamento speculativo e miope. Certe definizioni a mio avviso non aggiungono valore alla percezione dei nostri frutti. Ormai è svelato l’arcano: vocaboli come “naturale”, o lo stesso “biologico”, o altre etichette con cui si punta ad accreditare alcuni contro altri, a cavalcare fazioni e divisioni, spesso si scontrano con i propri controfattuali, e si scopre, come è successo nella scorsa difficile annata 2023, che perseguire certe strade con atteggiamento ideologico e non con la coerenza della tecnica spesso porta ad effetti diametralmente opposti a quelli proclamati.
Dunque inviterei a restare sui temi concreti, a farci guidare da scelte qualitative serie e da un corretto approccio di sostenibilità, consistente nel salvaguardare le attività agricole in quanto investimenti per il futuro dei nostri figli, facendo comprendere al consumatore quale sia lo sforzo e il rischio che le vere imprese del comparto sostengono per portare sulle tavole prodotti di pregio.
Presidente dei Grandi Marchi. L’Italia riesce a fare sistema nella promozione dei propri vini?
Anche su questo tema più volte mi sono soffermato per tentare di far comprendere che l’espressione “fare sistema” è troppo spesso equivocata. Un “sistema” non è un’accozzaglia di soggetti, spesso in conflitto tra loro, che stanno insieme perché “es muss sein”, perché così deve essere. Un sistema, in generale e nel mondo delle imprese, è una coalizione, un coacervo di forze complementari e convergenti verso uno scopo comune.
Il vino italiano è un aggregato assai complesso e variegato, come è giusto che sia il comparto del primo Paese produttore per volumi al mondo. Dunque dentro questo aggregato ci sono concezioni e orientamenti assai diversi. Il tema è riuscire a far promozione costruendo aggregazioni in grado di comunicare in modo credibile i propri valori e scopi.
Per questo l’esperienza dell’Istituto del Vino Italiano di Qualità – Grandi Marchi, che mi onoro di presiedere da dieci anni, dura ormai da vent’anni con successo. Per questo abbiamo lavorato con impegno al tema dei giovani, del passaggio generazionale, del futuro delle nostre aziende. Da quest’anno, proprio nel corso delle celebrazioni per il ventesimo anniversario dell’Istituto, abbiamo aggiunto al logo classico di Grandi Marchi l’espressione “Wine Family Heritage”, a sottolineare l’importanza di preservare e tramandare i grandi vini di territorio attraverso la forza, il radicamento dei valori familiari.
Le fiere del vino devono cambiare o chiuderanno
Si moltiplicano le fiere. A quali conviene partecipare per un produttore di vino italiano?
Le fiere sono un fenomeno in sofferente cambiamento. È necessario ripensare gli spazi e i contenuti. Siamo in un’epoca di spinta disintermediazione. Tutti raggiungono tutti in un batter di ciglia. Trovare motivazione per un grande evento fisicamente centrato in grado di attrarre persone interessate da ogni angolo del globo è una grande sfida. Al momento restiamo legati a Vinitaly per tradizione e perché resta l’unico evento di sistema in cui il vino italiano è il vero attrattore. Le altre esperienze sono allo stato attuale per noi meno interessanti, ci si può tuttavia andare in chiave esplorativa, a condizione di essere disposti a spendere risorse non trascurabili. Il tema sempre più rilevante è infatti il costo: in un mondo sempre più immateriale è difficile giustificare investimenti così elevati per eventi di questo genere, connessi all’acquisto di spazi e servizi, agli allestimenti, alla logistica. Anche gli enti fieristici dovrebbero riflettere con attenzione su questo aspetto.
Una nota sulla vendemmia 2024. Stavolta la cabala non ha funzionato, 2004 e 2014 fresche, quest’anno calda e siccitosa. Che frutta avrete in cantina?
Le uve sono sane, di ottima qualità, con rese non elevate. Stiamo avviando la raccolta che si annuncia lunga e certosina: l’intento è di portare in cantina uve un po’ più fresche, anche anticipando di qualche giorno il taglio. Sono ottimista, quando le uve sono sane i problemi in cantina si riducono sensibilmente e dunque i caratteri del frutto si preservano. Tra qualche settimana potremo avere un quadro un po’ più accurato anche dei profili organolettici.
Il clima sta cambiando purtroppo in modo rapido e repentino. Come si attrezza la Mastroberardino?
Già da oltre un quarto di secolo abbiamo investito sui temi della sostenibilità. Siamo consapevoli che l’Irpinia ha patito molto meno di altre aree viticole del mondo gli effetti del cambiamento climatico. Non abbiamo avuto le devastazioni che si sono registrate in alcune regioni del Nord, né le condizioni siccitose estreme che si riscontrano ad esempio in Sicilia. Abbiamo dunque qualche vantaggio in termini di margini di manovra.
In questa fase si lavora molto sulla gestione della vigna, per creare condizioni ambientali migliori per le maturazioni delle uve, e siamo partners di alcuni progetti tecnologici internazionali con cui abbiamo realizzato dei sistemi di supporto alle decisioni finalizzati ad anticipare certi effetti dosando l’intervento dell’uomo in modo da salvaguardare il patrimonio agricolo. Stiamo anche ragionando a livello sperimentale sui temi riguardanti le varietà. Dunque sono numerose le traiettorie di ricerca, ma anche su questo argomento guardo al futuro con fiducia ed ottimismo.
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