di Pasquale Carlo
Forse non è solo semplice coincidenza essere accolti al ritorno da un viaggio in Borgogna dall’avvio di una nuova interessante rubrica su questo sito dedicata proprio ai vini francesi. Leggendo il primo intervento inserito nello spazio curato dal Guardiano del Faro matura ulteriormente la convinzione di aver visitato un territorio avanti anni luce rispetto al nostro Sud.
Inutile dire che non mancheranno nuove parole, sempre innescate dalle emozioni suscitate dai calici della nostra terra, per raccontare le avventure del vino campano. Certo è, però, che un viaggio in Borgogna smuove veramente nel profondo, riuscendo con semplicità a dare risposta ai soliti, tanti interrogativi che emergono ad ogni discussione sulle difficoltà del comparto vino nel Mezzogiorno in generale, in Campania in particolare. Una risposta che, a ben riflettere, non esiste. I ritardi appaiono tutti, in maniera palese. A percorrere i circa quaranta chilometri che separano Beaune da Dijon, così come le altre diramazioni della Route des Grands Crus, che portano nei piccoli paesi incastellati della Côte-d’Or, si resta senza fiato. La vite, il vino, ordinano tutto. Non solo lo spazio visivo. Appena fuori il casello della A6, l’autostrada che collega Lione a Parigi, un torchio ci segnala l’arrivo in una terra di vino. Poche curve, ed ecco la prima di numerose rotonde magistralmente allestite con botti e mini-filari di viti a fare da ornamento floreale. Da noi (parliamo del Sannio) la classica furbizia delle genti del Sud ha invece convinto qualche “illuminato” amministratore ad adottare una delibera per dichiarare il proprio comune come il primo “detruciolizzato” d’Italia, annunciando il tutto anche attraverso cartelli segnaletici all’ingresso del centro abitato. Ed intanto si affidava la promozione del prodotto vino a manifestazioni con protagonista Gigione. Fosse vivo Totò direbbe: ‘Ma mi faccia il piacere…’.
A fare il resto l’ospitalità, le cantine con le porte veramente aperte. Non è questione di qualità dei vini, di questo possiamo discutere a lungo. La convinzione vera è che la Borgogna è Borgogna non solo grazie allo chardonnay ed al pinot noir. Sarebbe Borgogna anche con falanghina ed aglianico, anzi!
A dare forza a questa convinzione i numerosi piccoli centri medievali in cui tutto ruota intorno al vino, in cui tutti vivono di vino. Ed ecco spuntare un numero incredibile di enoteche e di locali per le degustazioni del vino, vero traino di ristorazione, gastronomia e di tutto quello che ruota intorno alla ricettività ed all’accoglienza. Ma la cosa più entusiasmante è stata quella di osservare i tanti giovani al lavoro nelle vigne. In tanti, sotto il caldo sole di inizio giugno per l’operazione della legatura dei tralci, a difenderli dal vento che sempre soffia sulle alture della Côte. Le loro schiene arcate ma mai piegate, stanche ma mai sottomesse. E’ vero: anche dalle nostre parti tanti giovani si sono messi alla guida di nuovi ed importanti progetti enologici. Ma è anche vero che il lavoro, nel caso di aziende produttrici di sole uve (tante, se facciamo riferimento sempre al Sannio, la vera vigna della Campania), vede quasi sempre impegnati pensionati.
Si potrebbe continuare a lungo con esempi e paragoni, ma il risultato non cambierebbe. Il problema è soprattutto di fattore umano. Da noi primeggiano tanta invidia e grettezza che serpeggiano in un inconscio semi‑latente. E questo problema è ingigantito dal fattore politico, con l’alternarsi di governanti incapaci di guardare avanti, guidati da una “mentalità paesana” che lascia spazio, a livelli più alti, ai giochi di potere.
Grazie a questo la gente di Borgogna riesce a metabolizzare anche Sarkozy, cosa che non riusciamo a fare noi con Berlusconi. Che intanto continua a farcela bere.
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