di Raffaele Mosca
Dieci territori, dieci produttori e dieci interpretazioni di Sangiovese per conoscere la Toscana attraverso “il suo interprete più trasparente”. Una lectio magistralis guidata da Gabriele Gorelli, primo ed unico master of wine italiano, che ci ha permesso di chiudere in bellezza la settimana delle anteprime toscane. Un momento divertente e stimolante, dedicato a tutto ciò che l’uva più diffusa nella regione – e in Italia – ha da offrire aldilà del solito quartetto composto da Chianti, Chianti Classico, Nobile di Montepulciano e Brunello di Montalcino. Molto più di quanto si possa immaginare, ad essere onesti. Basta assaggiare un Orcia DOC o un Terre di Casole per capire quanto ci perdiamo se ci focalizziamo solo sui soliti brand.
Ecco i vini in degustazione:
FATTORIA AMBRA – CARMIGNANO 2018
Si parte da una denominazione antica, dove il Sangiovese fa la parte del leone, ma non è mai un solista. Qui, nelle colline tra Firenze e Prato, intorno al paese che ospita la famosa Visitazione di Jacopo Carucci detto il Pontormo, capolavoro dell’arte manierista, l’ assemblaggio con l’Uva Francesa (Cabernet Sauvignon) è la norma da molto prima dell’invenzione dei Supertuscans. Fu il Granduca Cosimo III de Medici a stabilire questa ricetta nel 1716, con lo stesso editto con cui vennero anche tracciati i confini di Rufina, Pomino e Chianti. Da allora, il Carmignano è sempre stato una presenza discreta nel reame del vino toscano: territorio poco conosciuto dalle masse, ma capace di sfornare vini longevi e di spessore, che risentono poco delle mode.
Il Carmigiano di Fattoria Ambra è composto per il 90% Sangiovese (il minimo da disciplinare è 50%), con saldo di Uva Francesa, affinamento per 24 mesi in tonneau e barrique. Al naso potrebbe essere scambiato per un Chianti Classico Riserva di una zona assolata: i profumi sono di grafite, legno arso, rosmarino ed elicriso, oltre che di more, visciole e viole appassite. Il sorso, invece, è più morbido, più disteso, scandito da tannini vellutati e rimandi al succo di mirtilli che rimpolpano la progressione. Ha morbidezza e cremosità dalla sua, ma anche una spinta acida che lascia presagire un ottimo potenziale evolutivo.
ATRIUM – ORCIA SANGIOVESE RISERVA 2016
Ci spostiamo a Sud, nella campagna più bella del mondo. Pochi a chilometri da Montalcino, tra colline costeggiate da cipressi che abbiamo visto in centinaia di film: a partire da Il Gladiatore di Ridley Scott. Per decenni la concorrenza del vicino Brunello è stata schiacciante e ha messo in ombra il comparto produttivo di quest’areale stupendo, famoso per il paesaggio ordinato, che pare disegnato. Ma le cose sono cambiate negli ultimi anni: un gruppo di produttori si è fatto coraggio sull’onda lunga del successo dei vini di Donatella Cinelli Colombini, donna del vino e erede di una storica dinastia ilcinese che ha creduto molto nella DOC Orcia, e di Pasquale Forte, imprenditore che a Castiglione d’Orcia ha messo su una delle realtà più all’avanguardia della Toscana Tutta.
L’ Orcia Sangiovese Riserva di Atrium, da annata super-quotata a Montalcino, mette ben evidenza il potenziale della DOC Orcia: è più scuro, più piccante di un classico Sangiovese ilcinese, intriso di una mediterraneità calda ed esuberante che si traduce in aromi di rosmarino, finocchietto selvatico e bacca di ginepro. Ma ha anche garbo ed equilibrio, frutto ampio e maturo che dà volume alla progressione, acidità pimpante che fornisce sostegno e un tannino tenace che allenta la presa nel finale su toni di erbe balsamiche. Un vero e proprio affare per meno di 25 euro a scaffale!
PODERE IL POZZO – CHIANTI RUFINA RISERVA 2019
Purtroppo il prefisso Chianti mette in secondo piano il nome storico di un territorio storico, già delineato nell’editto del 1716 di cui sopra. Siamo tra Firenze e il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, tra colline ai piedi dell’Appennino dove il Sangiovese assume una silhouette slanciata, da vino pedemontano. I migliori Chianti Rufina hanno la longevità come loro punto di forza – provare le vecchie annate di Selvapiana per credere – ma sono anche molto godibili ed abbinabili in gioventù.
La Riserva 2017 di Podere il Pozzo dispensa profumi fini e soavi di lampone ed erbe silvestri, viola mammola e sottobosco. Scorre con grande agilità tra rintocchi di ribes e arancia sanguinella, tannini pimpanti ma non troppo potenti, e ritorni boschivi che danno carattere al finale di buona persistenza. L’annata calda lo ha reso meno dritto e acuto di altri Rufina, ma rimane comunque suadente e longilineo.
FATTORIA DI FUBBIANO – COLLINE LUCCHESI ROSSO 2019
Questa è una zona che si è risvegliata da poco dopo tanti anni di letargo, grazie anche all’esperienza di Lucca Biodinamica, un collettivo di produttori che hanno fatto quadrato intorno alla sostenibilità e al non interventismo in cantina per affermarsi sullo scacchiere internazionale. Il Sangiovese non è solo in zona: altrettanto importanti sono le varietà internazionali che, su colline strette tra la Versilia e l’Appenino, in una delle parti più piovose della Toscana, danno vini meno potenti e concentrati di quelli di Bolgheri, Suvereto e dintorni, ma molto affascinanti.
Il Rosso 2019, da uve Sangiovese, Canaiolo e Colorino, ha un colore particolarmente scuro, quasi impenetrabile, e un naso insolito, intrigante. Siamo distanti anni luce dal precedente: qui la marasca matura e la susina nera la fanno da padrone, seguite da cenni di origano e pomodoro secco, paprika e cacao in polvere. E’ avvolgente, ma sostenuto da discreta acidità e tannini appena polverosi. Non eccelle in finezza, ma può dare soddisfazioni in abbinamento alla cucina di tutti giorni.
COLLEMASSARI – MONTECUCCO RISERVA POGGIO LOMBRONE 2016
Dall’altra parte dell’Orcia rispetto a Montalcino, andando verso il grossetano. Una zona che, come la DOC Orcia, ha patito la competizione insostenibile di Montalcino. Oggi comincia finalmente ad emergere, anche se la strada da fare è ancora tanta.
Con il Poggio Lombrone 2016, della stessa azienda che detiene anche Poggio di Sotto a Montalcino, torniamo su di un profilo più classico, giocato su toni selvatici e di gelatina di more, cenni di oliva in salamoia e cappero selvatico che lo avvicinano al Sangiovese maremmano. Il corpo è pieno, ma ben calibrato, il tannino importante rinvigorisce il tutto e rimandi balsamici e di mentolo prolungano la chiusura raffinata.
I.S.IS. ANGELO VEGNI – CORTONA SANGIOVESE 2017
Il Sangiovese era il vino della tradizione di Cortona, ma l’areale ha scelto la via dell’innovazione, spinto dall’intuizione di Scienza e D’ Alessandro, che trent’anni fa hanno piantato le prime barbatelle di Syrah. Oggi Cortona è un frammento di Rodano nel bel mezzo della Toscana: il territorio più importante d’Italia per il vitigno del sud della Francia.
Qualcuno che produce Sangiovese c’è ancora: per esempio l’Istituto d’Istruzione statale A. Vegni, che porta avanti un bel progetto con gli allievi che studiano agraria con indirizzo enotecnico. Il Cortona Sangiovese 2017 ha un profilo semplice, ma coerente, diretto, speziato in apertura – ma meno che un Syrah – e poi scuro di visciola, melagrana, tabacco e grafite. Il sorso è semplice e immediato, giocato sul frutto maturo e su sfumature allettanti di erbe aromatiche.
BADIA DI MORRONA – TERRE DI PISA SANGIOVESE VIGNA ALTA 2016
Una denominazione nata nel 2011 per tutelare la produzione di un territorio ancora tutto da scoprire, composto da sedici comuni nell’entroterra pisano, al confine con la provincia di Firenze. Una zona già abbastanza conosciuta per la produzione di vini da vitigni bordolesi – come lo splendido Nambrot di Tenuta di Ghizzano – che, da qualche tempo, ha deciso di far quadrato anche attorno al Sangiovese.
Il Vigna Alta di Badia di Morrona ha un timbro scuro: giuggiole, legno arso, rosmarino e viola mammola. Il sorso è snello, grintoso, con un una lieve traccia vegetale che lo rinfresca, tannini imponenti e un finale lineare su toni boschivi.
STEBBI – TERRE DI CASOLE VINOROSSO 2018
La vera rivelazione di quest’anteprima: un’enclave produttiva piccola, che si è staccata dal mare magno del Chianti Colli Senesi. Appena 30.000 bottiglie di vini ricavati da colline alte fino a 600 metri s.l.m, con suoli vulcanici che rendono lo scenario diverso da tutto il resto della provincia di Siena.
Il Vinorosso di Stebbi ha il naso più espansivo della batteria, con tracce di spezie dolci e caffè che abbracciano il frutto caldo, maturo. Il sorso è coerentemente aggraziato, avvolgente e vellutato, ma sorretto da una spalla acida rinfrescante che dà slancio e piacevolezza di beva. Più gentile di un Chianti Classico e più profondo e raffinato di un Chianti Colli Senesi, piacerà anche a chi non ama le solite asperità del Sangiovese.
PETROLO – VALDARNO DI SOPRA BOGGINA C 2019
Uno di quei casi in cui l’azienda supera per fama il territorio in cui si trova: Petrolo della famiglia Sanjust di Teulada è tra le realtà più acclamate dalla critica internazionale. Sta facendo da traino a un’enclave dell’aretino già menzionata nell’editto del 1716, dove fin da quell’epoca è testimoniata la presenza di uve “franzose” , tutt’oggi protagoniste nella gran parte dei migliori vini della zona. Il consorzio, negli ultimi anni, ha scelto di perseguire la via della sostenibilità totale, cercando di istituire la prima denominazione completamente biologica in Italia. Purtroppo questa bella iniziativa è stata bloccata dai soliti burocrati, ma siamo sicuri che, alle lunghe, Luca Sanjust e colleghi riusciranno a far passare la loro linea.
Nel frattempo, ci godiamo il Boggina C, che è un passo avanti rispetto a tutti gli altri vini in batteria. Ha un naso meraviglioso, degno di un grande Brunello: chinotto ed erbe officinali, melagrana e giuggiola, liquirizia e fiori appassiti, felce e qualche accento ferroso. Meraviglioso per grinta, spinta acida, equilibro tra tannino vispo e frutto, sfuma in uno splendido finale balsamico ed ematico. Chapeau!
VALDONICA – MONTEREGIO DI MASSA MARITTIMA BACIOLO 2019
L’ultimo vino viene da una zona dell’alta Maremma fuori dai soliti tracciati: siamo a Sassoforrtino di Roccastrada, alle spalle di Massa Marittima, tra colline metallifere che superano i 400 metri d’altitudine.
Il Monteregio di Massa Marittima Baciolo sconfessa i pregiudizi sulla Maremma, terra che, nell’immaginario comune, è associati a rossi concentrati, potenti, d’impatto, ma non troppo scorrevoli. Ha un profilo delicato: tamarindo e ciliegia, rosa rossa ed eucalipto. E’ più morbido della media, ma aggraziato, con frutto croccante e succoso, tannino di media importanza, finale su toni balsamici e di spezie dolci. Un’altra interpretazione di Sangiovese fuori dai soliti tracciati, che ribadisce per l’ennesima volta la natura polimorfica del re di Toscana.
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