Ristorante Poggio Rosso di Borgo san Felice
Castelnuovo Berardegna
Tel. 0577 3964
Aperto la sera, chiuso il lunedì
Prezzi: degustazione a sei portate 195, a 5 portate 180, tre portate a 145
Partiamo da due considerazioni politiche. La fusion per essere gastronomicamente interessante ha questa regola precisa: 1+1=3.
Altrimenti è meglio seguire linee filologiche già battute gastronomicamente: si richia di girare con il colbacco nel cuore dell’estate romana o con il cappello da cow boy in Sicilia.
La seconda riguarda le consulenze a cui grandi gruppi ricorrono per avere affidabilità e certezza del risultato: non importa quanto sia bravo il tristellato se non è capace di creare degli alter ego che non siano solo teste di legno o meri esecutori, bensì cuochi ricchi di personalità. Marchesi è stato un grande ma era geloso dei suoi allievi, Ducasse è capace di valorizzare i suoi, così come ben fanno in Italia Cannavacciuolo, Alajmo, Bottura o…Bartolini. In poche parole serve una vera mentalità imprenditoriale, non aver paura di dare le ali e saper scegliere: così si spiega la telefonata di Errico Bartolini che raggiunse Juan Quintero, 34 anni, mentre stava a New York dalla madre dopo aver fatto una bella esperienza in Toscana: ti va Borgo San Felice?
Dobbiamo infine giudicare la verità di quello che sta dietro una impresa gastronomica, se il gruppo ha visione. In questo caso i numeri parlano da soli e riporto direttamente la scheda aziendale.
“San Felice è una fiorente realtà di 685 ettari di vigneti, oliveti, seminativi e boschi. La superficie vitata si estende in prestigiose denominazioni di origine, con 150 ettari nel Chianti Classico, 23 a Montalcino e 15 a Bolgheri. Il cuore della tenuta è il Borgo che sorge sulle colline senesi di Castelnuovo Berardenga, circondato dalle vallate chiantigiane. Sottoposto nel 1991 ad un’opera di ristrutturazione, dal 2011 è stato convertito in albergo diffuso 5 stelle e dal 1992 associato al circuito Relais & Châteaux, unico nel Chianti Classico. Situato al centro di meravigliosi vigneti e uliveti di proprietà, è un Wine Resort che comprende due ristoranti, una piscina, una palestra, due campi da tennis e una Spa. Sulla piazza medievale spicca per eleganza il Palazzo Patrizio del XVIII secolo, posto di fronte alla neogotica Cappella della Madonna del Libro, edificata nel 1899 su progetto dell’architetto Bettino Marchetti e ristrutturata successivamente tra il 1922 e il 1933”.
Ok, adesso possiamo andare avanti, non prima di citare il dream team al comando per conto di Allianz: dal 2007 Mario Cuccia è Presidente del Consiglio di Amministrazione di Agricola San Felice S.p.A. e Borgo San Felice S.r.l.
Dal mitico Pellicano nel 2015 è arrivato Danilo Guerrini, direttore del Borgo e dal 2020 presidente della delegazione italiana di Relais & Chateaux.
Patrizia Chiari è dall’aprile 2022 Maitre de Maison di Borgo San Felice.
Come ben sanno gli appassionati e gli esperti di vino, San Felice è una grande azienda di vino, ma di questo aspetto rimandiamo a questo articolo della nostra Antonella Amodio.
Fatte premesse e presentazioni, adesso sarà bene fermarci sulla filosofia aziendale, a cui la Michelin ha riconosciuto, oltre che la stella alla cucina, anche quella verde. Molti sono convinti che basta farsi vedere con una cesta di frutta sulle spalle e togliere la plastica per essere ecocompatibili. In realtà, dall’approvigionamento energetico alla gestione agricola, dall’uso delle materie prime in cucina alla gestiore dei rifiuti, essere al passo con i tempi significa acquisire una mentalità che si riverbera nei minimi gesti quotidiani. La rotta impressa da Danilo Guerrini, una persona che, per come lo abbiamo conosciuto, ama entrare nei dettagli e non trascura i particolari, non lascia margini: una azienda sempre più green, dalla gestione dell’orto, dal consumo di acqua, dalla stessa filosofia gastronomica nel rapporto con i piccoli produttori artigianali.
Abbiamo già detto qualche anno fa, scontrandoci con alcuni critici trumpiani che ci hanno anche preso anche in giro elogiando pantagruelici pentoloni di carne parandosi dietro il concetto di libertà del cuoco, che la gastronomia non si misura solo con il buono, ma con il buono possibile. Sono finiti i tempi dei gourmand che si inguacchiavano il muso di caviale e foie gras in una continua grand buffe dove vinceva chi le sparava più lontane.
Senza scadere nella ideologia, oggi sicuramente un menu che ha valori stagionali e territoriali, senza ovviamente tabù, ha un passo in avanti anche nel gusto oltre che nella gestione economica dei costi. Questa consapevolezza non è di alcune nuove leve che ributtano a mare aragoste locali per dimostrare la loro bravura con astici canadesi, e via di questo passo.
L’esperienza di Juan Quintero è da questo punto di vista, assolutamente esemplare per capire come tecniche e suggestioni lontane possano arricchire il patrimonio genetico della nostra gastronomia. Del resto che cosa è la cucina italiana se non un insieme di continue suggestioni piovute dal Nord, dal Sud, da Oriente e da Occidente, piovute su questo pontile costruito dal Padreterno nel Mediterraneo lungo mille chilometri?
Detto questo l’esperienza che abbiamo fatto al Poggio Rosso (a proposito, l’altro ristorante-trattoria si chiama Il Grigio, come il Chianti Classico Riserva di San Felice) è stata davvero entusiasmante. Lo chef, che sta per diventare padre per la prima volta, appare in uno straordinario stato di grazia: padroneggia la tecnica in modo esemplare ma senza esibizione e narcisismi egocentrici, l’obiettivo è il cliente, non la foto di Instagram, il ristorante pieno non il congresso gastronomico. Lo si capisce dalla golosità dei piatti, dalla capacità di ragionare di fino per poi ridurre ad assoluta semplicità ciò che è complesso.
Il piatto della serata è stato il riso in Chianti, ormai un classico in cui per la prima volta l’elemento vegetale non è spalla, ma attore principale. Attraverso una serie di accorgimenti si sente davvero la campagna toscana, note verdi e mature e l’animale fa da spalla, non è protagonista. Qualcosa di davvero poco usuale anche se nei piatti poveri contadini questo desiderio di carne spesso è evidente, per esempio nelle melanzane riempite con del macinato come usa in alcune zone del Sud in cui resta l’ortaggio il protagonista al palato. In questo caso dobbiamo aggiungere la finezza e l’eleganza. Ecco il plus: avrebbe potuto riprodurre il famoso risotto di Bartolini alla barbabietola, il giovane cuoco colombiano è andato avanti, certamente sotto la supervisione dello chef, creando qualcosa di originale, di straordinario.
L’Italia, la Toscana, non lascia mai la tavola: dai lievitati, ai pani, all’olio d’oliva prodotto dall’azienda. Non ci abbandonano mai a differenza di quanto avviene all’estero. La diversità latino-americana si avverte nella ceviche, che quando è fatta da italiani gioca quasi esclusivamente sull’acidità mentre in questa ricciola il sapore è pieno e la freschezza fa da tapis roulant nel palato al boccone.
I piatti di pesce hanno una filosofia diversa da quella tirrenica, quella del “meno lo tocchi meglio è”. Il nostro invece interviene e cerca di dare valore a queste carni ricorrendo ancora una volta al vegetale come nel caso del dentice avvolto nella foglia di tabacco.
Calcio di rigore con la pasta, uno spaghetto cotto a dovere, con le telline e la salsa di telline che riesce ad esprimere una intensità di sapore mai prima raggiunto con questo frutto di mare povero.
Di grande scuola poi l’agnello, quasi geniale il fegato con le pere che gioca sulla dolcezza.
Dolci non zuccherini, si chiude in leggerezza e molto bene.
La cucina di Juan Quintero a Poggio Rosso
CONCLUSIONI
Una cucina nel lusso in cui il lusso è costituito dalla conoscenza della tecnica e dei prodotti, dai rapporti di prossimità con i produttori, dal rispetto dell’ambiente. Il vero lusso oggi è un pomodoro non trattato, non una scatoletta di caviale. Il servizio è appassionato, competente, sempre e comunque con il sorriso che fa la differenza rispetto alla serietà liturgica a cui ci stanno abituando i locali corporate, senza anima anche se perfetti. Il consiglio? Se siete a Siena, o in giro per il Chianti, concedetevi una cena in questo luogo magico: alla bellezza del borgo coniugherete grandi vini e una cucina decisamente interessante destinata a regalare ancora tante soddisfazioni.
Scheda dell’11 novembre 2022
di Antonella Amodio
Colombiano di Bogotà, 33 anni, Juan Quintero è proprio a suo agio nell’elegante ed affascinante Borgo San Felice, l’albergo diffuso nella campagna di Castelnuovo Berardenga che, dal 1992, è l’unica Dimora Relais &Chateaux a cinque stelle nel Chianti Classico.
Completamente ristrutturato e integrato nell’ameno paesaggio toscano di Castelnuovo Berardenga, tra orti, giardini di erbe aromatiche, vigneti, filari di cipressi e olivi centenari, con 29 camere e 31 suite che rispettano i criteri dell’alta hotellerie, mescolando eleganza e raffinatezza in linea con il luogo. La sostenibilità e l’etica sono tra i valori promossi a Borgo San Felice, con l’impiego di energia al 100% rinnovabile, rifiuti zero, bucati green e sposando anche progetti come la Food for Change, con l’adesione al World Ocean’s Day attraverso l’impiego di prodotti come il caffè San Alberto e il cioccolato Cordillera, il più sostenibile al mondo, utilizzato appunto dallo chef Juan al Ristorante Poggio Rosso, ristorante che vede riconfermata da pochi giorni la Stella Michelin e che ha conquistato anche la Stella Verde Michelin per il suo impegno nell’ambito della sostenibilità, in linea con l’intera filosofia aziendale.
E veniamo alla cucina del giovane e talentuoso chef che – con la supervisione del bistellato Enrico Bartolini – alza l’asticella a Borgo San Felice, con la sua cultura, formazione e preparazione, facendo vivere attraverso i piatti la Toscana gastronomica con un piglio di originalità e creatività, con il carattere distintivo della raffinatezza.
Con un pedigree importante, costruito su collaborazioni di prestigio, Juan offre a Borgo San Felice una cucina emozionale, sintesi perfetta delle radici della gastronomia che hanno fatto grande questa regione, trainate nella modernità da Juan, che offre l’alta cucina valorizzando gli ingredienti territoriali e connotandoli in una nuova lettura.
Basta citare uno dei piatti realizzato dallo chef, che in breve tempo è diventato un “signature”: Riso del Chianti, cinghiale e cipressi, un’esperienza sensoriale dove tutti gli elementi sono in perfetta armonia e soprattutto riconducono al territorio, dove l’essenza, il profumo dei cipressi è ottenuto dalle pigne del Borgo di San Felice.
Già solo questo piatto vale il viaggio. Dal nuovo menù, si evince a tratti la cultura di Juan, ma sempre in modo garbato, mai sopra le righe, come la Cevice di ricciola, acetosella e caviale, e la portata di Dentice e anguilla al tabacco.
I Maccheroncini, burro alla nocciola e anice, è il piatto dove l’equilibrio dato dagli ingredienti è magistrale.
Tra i secondi spicca l’Agnello con baronia di melanzane, cardamomo e mandorla.
Il dessert della pastry chef Silvia Ghione, Fior di cappero, bergamotto e zafferano della Val d’Orcia, fa coincidere estetica e gusto.
Il successo è dato anche dal lavoro di squadra. Qui il servizio professionale e senza sbavature fa ‘sì che cucina e sala siano ununicum.
Borgo San Felice Castelnuovo Berardenga
Ristorante Poggio Rosso
Località San Felice
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