Il ristorante Alain Ducasse Hotel Romeo a Napoli: recensione

Il ristorante Alain Ducasse Hotel Romeo a Napoli
Via Cristoforo Colombo, 45
Aperto la sera
Domenica e lunedi chiuso

Alessandro Lucassino

Il cuoco più importante del mondo a Napoli? Era impossibile resistere e appena annunciata l’apertura del Ristorante Alain Ducasse all’Hotel Romeo ci siamo precipitati prenotando non a nostro nome, ma chiedendo la cortrsia al collega Renato Rocco. La nostra principale curiosità era come  sarebbe stata interpretata questa sfida di alto profilo voluta da Alfredo Romeo, un imprenditore visionario che ha sfidato tutti i giochi di interdizione di cui è capace l’Italia in generale e Napoli in particolare. Fu visionario quando nella metropoli partenopea gli alberghi vivevano sugli allori e stavamo ancora fermi a melone, prosciutto e mozzarella di bufala come novità: prima con Andrea Aprea, poi con Salvatore Bianco riuscì ad ottenere la stella, ed era la prima volta che accadeva in un hotel di nuova concezione ancora oggi all’avanguardia nel design.
La situazione è cambiata con le due stelle prese da Domenico Candela al George’s del Parker’s e con l’arrivo di Emanuele Petrosino al mitico Vesuvio. Alfredo Romeo, anche in vista dell’attesa apertursa a Palazzo capponi a Roma dove pure si è affidato a Ducasse, decide allora di rilanciare con una formula nuova e originale i cui esisti saranno al tempo stesso originali e imprevedibili.

Alain Ducasse a Napoli

La nostra prima piacevole sorpresa è stata quella di trovarci di fronte appena usciti dall’ascensore un altro mito vivente: Umberto Giraudo, il grande maestro dell’accoglienza all’italiana, quella veloce nello scannerizzare il cliente e dirigerlo con il sorriso e la gentilezza verso una rotta di soddisfazione per lui e di facilitazione della cucina. Quella accoglienza non ingessata di cui tante volte abbiamo potuto godere alla Pergola di Heinz Beck e dove lo avevamo lasciato l’ultima volta alla gestione del mitico nono piano del Cavalieri.
La sala gira in maniera magnifica, in cantina il giovanissimo Fabio Goglia, a lungo a bottega da Nicoletta Gargiulo, prima sommelier italiana nel 2007 che dovrà mettere mano alla carta che ha bisogno di un rigoroso viaggio in Italia con l’attenzione dovuta ai bianchi della Campania e ai grandi rossi del Sud per mettersi al livello dell’ambizioso progetto dell’avvocato Romeo.

La svolta adesso è anche nel posizionamento del ristorante, nell’ex sala colazioni al nono piano, rivisto e ammodernato ancora di più in ogni dettaglio, con una spettacolare vista sulla stazione marittima e sul porto, un’area che meriterebbe una attenzione maggiore.
Ma adesso vediamo alla cucina, affidata ad Alessandro Lucassino, toscano di Follonica, poco più che trentenne, con una lunga militanza parigina con Ducasse che vide in lui subito un fuoriclasse quando ebbe modo di conoscerlo in Toscana, sino a dargli la responzbilità di Cucina Mutualité nel 2023 dove ha preso subito la stella.

In questa prima fase lo step è costituito dalla visione di Alain Ducasse sulla cucina mediterranea e come viene tradotta in questa realtà così ricca di storia e di riferimenti. Quindi non parliamo nè di rivisitazione né di aggancio alla tradizione, al punto che la pasta è presente solo sotto forma di forchettata come amuse bouche all’inizio, spaghettino freddo con caviale.

Cosa si mangia al ristorante Alain Ducasse a Napoli

E’ una visione mediterranea, Ducasse lo ribadisce non da oggi con maggiore convizione, poggiata sull’uso dell’olio d’oliva, sulle verdure fresche di stagione, sulla materia del mare Mediterraneo, più sapida e dunque più gustosa.

Una visione interpretata con grande tecnica e precisione da Alessandro Lucassino, il piatto del pomodoro è decisamente fantastico, lo abbiamo chiesto noi all’inizio del percorso nell’ambito di una scelta che lascia spazio all’elemento vegetale come protagonista. Vien da ridere oggi pensando alle leggende gastronomiche del passato, quando la cucina del Sud era bistratatta da cuochi e critica sapientona perchè troppo pomodorosa. Un acidificante naturale incredibile diventato cibo sull’asse Siviglia-Napoli nella metà del ‘600 e che ha trovato proprio sul terreno fertilizzato nei secoli dal Vesuvio la possibilità di esprimersi in due tipi, il San Marzano e il Piennolo.

In Campania il gusto volge più a godere dell’aspetto acido, fresco, che al frutto in quanto tale. In questo piatto l’ortaggio si esprime con un equilibrio fantastico, in linea su come viene trattato ormai dal fine dining da Lisbona a Josean Alia che lo interpretò alle Strade della Mozzarella più o meno nello stesso modo con cui lo abbiamo gustato qui sino ad arrivare al 108 di Copenhagen e, prima della follia della guerra, a Mosca al Twins Garden.

GLI AMUSE BOUCHE

 

La cucina mediterranea viene declinata nel menu con l’inserimento della bufala. Ecco dunque un burro di Paestum emulsionato.

La batteria dei piatti del mare è fantastica, centrata, in perfetto equilibrio.

TRA ITALIA E FRANCIA

La golosità un po’ italiana, un po’ nipponica, un po’ francese viene giocata con questo tortello ripieno di foie gras in un consommé purissimo  in cui il sapore viene estratto al massimo. Certo, piccioni ce ne sono tanti, ma questo è un po’ come l’esame di Diritto Privato in chi fa Giurisprudenza e non poteva mancare come centro di gravità di chi lavora a Parigi. Buono, buonissimo, ma sulle carni mediterranee ci aspettiamo ben altro nei prossimi mesi da questa cucina.

I formaggi

Qua lo spacciatore è Salvatore De Gennaro, lo scout campano dei prodotti di qualità in epoca pre-internet, il Giulio Cantatore del Tirreno per capirci. Mi è è piaciuto molto il modo  delicato di servirli, una porzione antireflusso direi, ma intesa e che spero venga mantenuta.

I DOLCI

Per me ogni pranzo potrebbe finire qui, dopo il predessert. Anche qui sono state fatte le cose in grande chiamando Antonino Maresca, indimenticabili i suoi dolci da Nino Di Costanzo, che speriamo abbia trovato un porto, e che porto, dove stare all’ormeggio per un po’ di tempo. Qui torniamo al Mediterraneo, il sorbetto di rucola è entusiasmante, gli altri dolci delicati, non zuccherini, con un lampo di genio.

CONCLUSIONI

Il percorso degustazione costa 190 euro, si può scegliere alla carta e sostanzialmente la spesa, vini esclusi, si aggira fra i 150 e i 200 euro. Nulla è precluso a questa impresa, la stella la diamo scontata. E non scrivo ci potremmo sbagliare per pararci, sono convinto che questa organizzazione a Napoli può fare tantissimo e non precludersi nulla, ma proprio nulla. Il progetto è solido, le idee altrettanto, il meglio è stato chiamato a raccolta con una squadra formidabile e Ducasse ha investito pezzi pregiati in cucina e in sala. L’entusiasmo alle stelle. Cosa manca ancora? Lo studio della realtà oltre quello che si è riusciti a trasmettere in questi anni al di là dei luoghi comuni. Ducasse conosce bene la Costiera Amalfitana e il genius loci della nuova cucina napoletana. La storia di un territorio e di una comunità enorme e diffusa nel mondo la cui cultura gastronomia è gran parte dello scheletro della cucina italiana va assimilata bene da chi lavora qui, non tanto per reinventarla e ridisegnarla, quanto per trarre la giusta fonte di ispirazione e per guardare avanti. Sono facile profeta nel prevedere un grande futuro gastronomico per questa città, la cui provincia è la più stellata in Italia.
Un plauso a giovani come Lucassino, la nausa e la stanchezza di tanti sedicenti geni che dopo aver sfogliato insalate per qualche mese in uno stellato si sentono già maestri è a un livello non più sopportabile alla mia età. Adoro chi lavora, sa stare a bottega, adoro chi è timido, chi fa domande, amo chi sa obbedire perchè ci siamo dimenticati forse che per saper comandare bene bisogna aver saputo obbedire bene. Vale tanti più in una cucina, soprattutto se si ha la fortuna di essere prescelto da un grande professionista capace di regalare emozioni qualsiasi cosa tocca. Ecco perchèLucassino sarà sicuramente uno dei più grandi cuochi italiani nell’arco di una decina di anni.


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