La festa dell’Immacolata di sei anni fa fu davvero speciale per Napoli: i pizzaioli napoletani di tutto il mondo si svegliarono con un risultato incredibile: l’Unesco aveva votato la sera prima approvando il riconoscimento dell’Arte del Pizzaiolo Napoletano come Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Un risultato che giunse in un momento in cui molti al Nord iniziavano a contestare il primato storico di Napoli come sede comunitaria del cibo più cliccato al mondo, uno de pochissimi che si chiama allo stesso modo ovunque.
Furono affrontati tanti ostacoli e la battaglia durò almeno quattro anni perché bisognava affrontare pregiudizi casalinghi e internazionali. Infatti molti rappresentanti dei paesi africani e asiatici pensavano che si trattasse di un favore fatto alle grandi catene multinazionali mentre in Italia qualcuno pensava che non si trattasse…di argomento culturale! Un pregiudizio che ancora oggi quando basterebbe aver studiato un po’ la scuola delle Annales o il ciclopico lavoro dei professori Elisabetta Moro e Marino Niola per rendersi conto delle implicazioni culturali, sociali, economiche e antropologiche del cibo, della Dieta Mediterranea e dunque di questo alimento.
In questi sei anni la cavalcata della pizza napoletana è stata inarrestabile pur nella diversità delle interpretazioni, sino a poter dire con Nathan Myhrvold che l’unica regola della pizza è che non esistono regole! Proprio come la cucina italiana del resto, di cui Napoli è l’essenza profonda nella testa quanto nel palato. Lo abbiamo visto con Barbara Guerra e Albert Sapere con la crescita mondiale di una comunità che si riconosce in 50 Top Pizza attraverso tappe come Tokyo, Madrid, Bangkok, New York, Roma e naturalmente Napoli e dal 2024 anche in Sud America.
Sull’onda dell’entusiasmo nel 2018 fu proclamata la Giornata del Pizzajuolo il 17 gennaio, con Sant’Antonio protettore dei lavori che hanno a che fare con il fuoco, quei fuochi che ancorasi accendono in città e nella campagna e che ricordano l’antico Capodanno rurale attraverso la purificazione dal passato e la speranza del futuro.
C’è ancora tanto da fare però: trovo incredibile per esempio che a Napoli non esista un Museo della Pizza da poter visitare e che nessuno si ponga questo problema. E c’è poi un problema di formazione, perché questa materia offre oggi un lavoro dignitoso ai ragazzi, una valida alternativa alla strada senza voler fare retorica. E se vanno anche bene le iniziative private secondo noi è sempre il pubblico che deve indicare la strada come nel caso dell’Alberghiero Torrente di Casoria e l’Antica Pizzeria Da Michele che hanno un progetto concreto di collegamento studio-lavoro.
Infine c’è un problema di tutela del marchio Stg, che assomiglia a quelle macchine vecchie con il motore perfetto ma con la carrozzeria che perde pezzi. Alcuni tabù sono stati di fatto superati, come per esempio l’uso esclusivo del forno a legna, mentre si è visto come in realtà non ci sia differenza gustativa con altre tipologia di cottura. Ma naturalmente dobbiamo capire che oggi le esigenze sono profondamente cambiate e che alcuni parametri vanno rivisti, come anche la stessa definizione di pizza.
Al di là dei problemi, comunque, siamo stati davvero fortunati a raccontare questi anni in cui ciascuno ha fatto la sua parte: la storia non inizia e non finisce con noi, ma possiamo tranquillamente affermare che quella di questi anni si ricorderà in modo di gran lunga superiore.
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