di Giancarlo Maffi
Il capo della Scientifica, Minimo Bestiardi, detto mister 500 poi vi spiego perché, è un tipo estremamente meticoloso. Topo da laboratorio, appassionato di cibo, cibo virtuale perché non andava oltre due o tre cene all’anno e per il resto viveva di cibo spazzatura (talora anche di soci spazzatura), era però il più grande esperto italiano di scene del crimine. Del resto copiava tutto dagli USA. Era stato buttato fuori dalla Associazione Giornalisti Food & Blogger, che contava ormai quattro milioni di aderenti, a causa dei reiterati tentativi di estorsione ai danni di organizzatori di eventi. Una sua giornalista, Gerania Frascatelli, una attraente anche se molto ruspante food blogger fu beccata molte volte a chiedere in nome suo, appunto, 500 euro, da cui il soprannome dell’ investigatore di origine pesarese. Il quale però, con la fissa di creare il CSI italiano, convinse il ministero degli interni a creare un laboratorio sofisticato nella sua città, in un bunker di fronte a Mac D, di cui era ghiotto fruitore. Prese velocemente in mano il caso Baffi, nonostante il critico gli stesse abbastanza sui maroni, e arrivò alla conclusione che era tutto un bel casino.
Le tracce di sangue rilevate a casa del critico erano effettivamente di Baffi, ma non erano da trascinamento come si poteva sospettare in un primo momento. Inoltre erano mischiate con DNA e peli canini. Baffi era stato ferito lì e portato altrove, insieme ad Aston? Certamente non era stato ammazzato in casa. Poco sangue e in fondo in camera c’era un gran disordine ma nulla che facesse pensare a una lotta. E poi il molosso pesava ottanta chili. Certo avrebbe difeso il suo compagno di vita. Allora Baffi era sparito di suo, preso dal terrore di aver scoperto che le minacce erano vere? E, se così fosse, era sparito per paura o per anticipare il sospetto assassino in una partita a scacchi mortale? Un puzzle inestricabile. Fabrice Gros Soulier partì per Saint-Trop, convinto che il Baffi se ne stesse bello tranquillo sulla spiaggia di Ramatuelle, con Aston e Alessia a strafarsi di chapon du mer à la provencale o di bouillabaisse.
Champagne, rosé Domaine Ott e fanculo lo chef assassino. I telefoni erano spenti, anche i tre di Alessia e Gros Soulier era sicuro del fatto suo. Ma per non lasciare nulla al caso spedì Touffarì, che aveva scarsa esperienza di chef internazionali ma discreta in campo italiano, a fare un giro da alcuni di loro, probabili candidati assassini. Tauzzi di Talebani Gourmet si offrì di dare una mano, andando a fare le pulci agli chef della Francia più continentale. Al Touffarrì aveva adeguatamente stimolato il suo inarrivabile ego, dicendogli che meglio di lui non potevano fare nè Maigret, Montalbano, e tutti gli altri investigatori della storia mondiale insieme.
Stephane partì all’arrambaggio iniziando da Napoli e dintorni dove si fermò ben quattro giorni, in fondo del tutto inutili in quanto Baffi aveva meno nemici in Campania che nel resto del mondo. Già che c’era l’ispettore aveva caricato la valigia con i suoi suoi due libri enogastronomici con i quali NON aveva raggiunto le mille copie vendute, nella speranza appunto di darne via qualche decina. Nel frammezzo dei tempi morti della questura partenopea aveva costruito un sito per uno chef, fatto foto spaziali e convinto un altro chef, già stellato, che con la sua mano in cucina poteva facilmente arrivare alle due, a patto che si trasferisse a Milano. E comunque dal punto di vista investigativo non aveva combinato una beata minchia, anche perché del Baffi non e’ che gli importasse moltissimo, come del resto di chiunque altro. Comunque Gros Soulier ci contava poco e lo aveva spedito in giro solo per levarselo di torno. Confidava più sul l’appoggio scientifico di Bestiardi e perfino sull’indolente Morodei, capace di alcune intuizioni. Morodei, dietrologo pressoché professionista, poteva arrivarci, allo chef rancoroso.
Ammesso che esistesse davvero. Comunque la stampa nazionale dava già Baffi morto e probabilmente cucinato lesso, messo in polpette e dato ai cani. Oppure il rancoroso cuoco che l’aveva in odio si era addirittura cucinato qualche parte, animelle, cervella, alla moda del Silenzio degli Innocenti. Dipendeva un po’ anche dalla nazionalità. Palle di toro in versione cannibalesca? Gros Soulier era piombato alla villa di Baffi a Saint-Troph, naturalmente all’ora di pranzo, ma aveva trovato solo Alessia che spilluzzicava due fragole intingendole in una coppa di champagne. No, non sentiva il critico da quando era arrivata; si, aveva i telefoni spenti ma succedeva sempre così quando se ne stava tranquilla in Costa Azzurra; no, non aveva nessuna intenzione di abbassare il volume di Piccolo Grande Amore di Baglioni (donna strana, amava la musica italiana anni ’60/’70 e detestava le discoteche, mentre a vederla sembrava presa come una ossessa dalla tecno music e dagli acidi). Infine, no, non era preoccupata affatto perché Baffi stava via anche settimane per le sue escursioni gastronomiche e non mandava nemmeno mail. Gros Soulier accettò l’invito di mangiare qualcosa e l’amica di Alessia Laure De Scollò gli preparò un croque-monsieur sontuoso, fatto con prosciutto cotto di Joselito e formaggio Cantal, che innaffiò con mezza bottiglia di Charlemagne di buona annata.
Alla sesta ripetizione ossessiva di “Se perdo te” di Patty Pravo si levò dai coglioni, dando per una volta ragione a Touffarrì, secondo il quale Baffi non capiva una minchia di molte cose, fra cui certamente la musica, e si era messo con una peggio di lui. Il problema era che fare. Passò a salutare un ispettore amico alla Gendarmerie di Ramatuelle, lasciando qualche foto di Baffi e dicendo di dare una controllata alla villa ogni tanto perché non era convinto dalla eccessiva tranquillità della compagna del critico, e si avviò per un’altra pista provenzale, passando prima da un vecchio amico del critico, Claude della Plage Cabane Bambou a Ramatuelle, giusto per scrupolo. E qui, incredibilmente, trovò una sorpresa.
Un biglietto di Baffi per lui, arrivato per fax dopo una telefonata concitata fra i due amici. Claude non aveva capito benissimo, ancora stordito del cocktail alcool/coca di cui si era strafatto la sera prima, ma sostanzialmente il concetto era di dare il biglietto all’ispettore e a nessun altro, se si fosse presentato in spiaggia chiedendo di lui. Il biglietto recitava: Gros Soulier, penso di sapere chi mi vuole morto. Uno dei due ci lascerà le penne e non vorrei essere io. Il fax portava la data del giorno della sparizione di Baffi dall’Italia, ore 15.45, da casa. E quindi, allibito, Fabrice si pose alcune domande: 1) Baffi aveva fatto in tempo a sparire e il sangue trovato in casa era tutta una messinscena? 2) Era, la sua, fondamentalmente una richiesta di aiuto bella tosta? Cioè significava: “o lo trovo io e lo ammazzo prima che lo faccia lui e finisco in galera a vita o mi trova lui e sono morto, quindi sbrigati a risolvere il rebus”. Bel casino. Voleva tornare alla villa ma delle due l’una: o Alessia era una fantastica attrice e non avrebbe detto nulla comunque, oppure era all’oscuro di tutto e quindi era inutile preoccuparla. Chiamò comunque il suo amico gendarme e fece rafforzare la vigilanza intorno alla casa. La faccenda diventava sempre più seria e complicata. Tornò verso Cannes, dove voleva controllare uno chef ma a metà strada fu raggiunto da una drammatica telefonata di TouffarrÌ, letteralmente in preda al panico. Avevano trovato Odoacre Scalpelli riverso nel letto di casa, morto in modo atroce.
Odoacre Scalpelli era un critico, più in là negli anni di Baffi e più in là anche nel tonnellaggio, che aveva avuto una fulminante carriera nella critica gastronomica. Poi, dopo aver tentato con risultati non clamorosi di legarsi lo stomaco diminuendone le capacità ricettive, aveva abbordato la carriera televisiva, prima con “Risotto alla Piemontese”, trasmissione Rai di qualche successo e poi trasmigrando in quota Mediaset con “Pera Acida”, avviandosi lentamente all’oblio. La trasmissione era vista solo da qualche migliaio di brianzoli e da alcuni trattori dei quali si era innamorato negli ultimi anni, sparando a zero sulla cucina contemporanea. Detestato, anzi ormai più nemmeno considerato, il che ovviamente per lui era pure peggio, dalla maggior parte degli chef italiani che andavano per la maggiore (all’estero nessuno sapeva chi fosse), aveva, gli stava riferendo Touffarrì, fatto una fine atroce. Vi avverto, qualora stiate consumando pasti o bibite, di sospendere la lettura per qualche ora e riprenderla a digestione avvenuta. La faccio veloce perché sto male io a scriverla. Lo avevano legato mani e piedi, già l’operazione in sè era complicata, cucinato 20 kg di risotto alla milanese nella cucina del critico e glielo avevano infilato da ogni orifizio, preferibilmente quello che più vicino, vi lascio immaginare…., facendogli esplodere gli intestini e lo stomaco. Nel mare magnum della pena e dell’ ovvio schifo e prima di chiamare il capo della Scientifica che tanto di cibo non capiva un tubo, lo svelto Touffarrì aveva rilevato quanto segue: 1) il riso usato NON era carnaroli, 2) la cottura era letteralmente passata da parecchi minuti, 3) l’assassino bon aveva sprecato nemmeno un milligrammo di pistilli ma aveva usato solo polvere e 4) il sadico esecutore di cotanta bruttezza aveva cotto il risotto in acqua, secondo i tanto contestati dettami del sommo Maestro Marchesi. Era bravo e veloce, l’ispettore Stephane, quando si trattava di cibo italiano! Fabrice Gros Soulier rimase allibito, al racconto del collega. Fece benzina, ingollò di malavoglia un orrendo caffè francese in un autogrill e si diresse, ripensando a tutto, verso l’Italia e verso casa del critico ammazzato così brutalmente…..
continua…
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