di Giancarlo Maffi
Mettiamola così: il sacchetto Hermes con la merda dentro aveva sconvolto più Alessia che Baffi. Il critico non aveva perso l’ironia, commentando che gli pareva consistente al punto giusto. Quindi, fosse quella vera dello chef che lo voleva morto, veniva da buon cibo, quindi da uno che aveva almeno una stella Michelin, anche se era vero che ormai la davano via a tutti. La stella intendo. Alessia invece l’aveva presa male. Era finita sotto le unghie, che costavano un botto ogni volta, ma soprattutto si era completamente spaccato uno dei due décolleté. Bisognava assolutamente riprenderle, disse all’ex riccioluto, che sospirò perché se ne andava un millino, in quell’operazione, mentre andava riflettendo anche su quel “assolutamente”, tenuto conto che nella scarpiera di casa di Louboutin ce ne stavano altre cinque per non parlare di tutte le altre diversamente marchiate. E comunque ritornati a casa a Baffi gli era sboccata la fame, stante anche il ridicolo pasto dal Mestori.
Di sesso, con la crisi che c’era stata al ristorante, neanche a parlarne ma in cantina ci stava un culatello di Fausto Brozzi, caratterialmente parlando il peggiore degli affinatori di salumi ma di gran lunga il migliore di tutti nella sua passione, perché di lavoro faceva altro. La vecchia Berkel d’ordinanza, era dello stesso anno di nascita del Nostro, rullò i tamburi, sfrigolando le lame misura 33. A quel rumore si svegliò anche il vecchio Aston, che ronfava sul divano. Tirò su con il naso sopraffino e decise che quel profumo valeva il viaggio in cucina. Quattro fette di pane di Matera erano già in forno e un panetto di burro artigianale delle montagne bresciane fece capolino dal frigo. Non che ce ne fosse di bisogno, con quel culatello di cui avresti mangiato anche solo il grasso rosa tanto era buono, ma la libidine era libidine. Scappò il dito e il tappo della boccia di Krug rosė, il Baffi pensò che se doveva morire dopo un mese tanta valeva godersi la vita, fece un gran casino. Alessia se ne era già andata a dormire ma d’incanto quel rumore tanto amato e familiare la riportò in vita e mise piede in cucina con un addosso una robina gialla che perfino Il vecchio molosso d’Acquitania la osservò con interesse. Con due dita prese un goccio di champagne e se lo passò fra le meravigliose tette, rifatte sì ma dal miglior chirurgo estetico d’Europa.
Il maturo critico era ancora poco convinto fosse un esplicito invito ma quando la donzella adocchiò il burro, si girò sul tavolo di cucina offrendo il bellissimo lato b e disse: mettimi un bicchiere di champagne sul tavolo e il burro dove vuoi tu. Jean Charles, aveva preso un nom de plume francese per invidia, capirete più avanti, resistette il tempo di infilarsi in bocca un paio di fette di salume e anche di darne una al cagnone che altrimenti avrebbe ululato come un disperato e passò ai fatti. Tra l’altro la cosa strana fu che mentre stava affettando il culatello brozziano si ricordò di una giovane collega che aveva ascoltato un giorno mentre teneva una lezione all’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo. Seduti ai banchi stavano gli allievi, il Baffi era con altri in fondo alla sala come invitato. Lei aveva veramente l’aria della professoressa, anche per via di quei suoi occhialini rossi, e stava raccontando non so cosa intorno a un salume ma al critico era corso l’occhio sotto la scrivania. Era professionale, certo, stava in tailleur bleu e il tacco era a malapena un sei, ma vivvaddio nell’anno 2012 portava un reggicalze blu a reggere una calza medio velata color carne. Tra l’altro la giovane critica aveva un cognome assurdo, che mal si intonava al suo fisico e soprattutto a quell’ensemble appena visibile, Bice Cozza.
Alcuni dei blogger di cibo più in voga del momento avrebbero fatto carte false per una nottata in sua compagnia. A Baffi piaceva mangiarci insieme, anche se succedeva raramente. Dallo Zazzeri la prima volta e c’era pure un francese naturalizzato italiano e un’altra dal rude Viani, al Forte. Bice lavorava per un grosso gruppo editoriale dallo strano nome, Il Rapido, ed era stata scoperta, in senso professionale…sia chiaro a tutti, da un importante manager industriale francese ma con passaporto anche italiano, Vincent Azzarì, di lontanissime origine calabresi.
L’Azzarì era un grandioso talent-scout di chef d’ Oltralpe, essendo dotato di ottimo palato e anche grande fiuto. Aveva praticamente inventato la prima guida francese con descrizione accurata dei ristoranti allontanandosi cosi dal freddo schema della Michelin. Aveva formato anche molti critici nostrani, dallo stesso Minutolo Feldson, al Capo redattore del giornale di Napoli, “Notte Fonda”, Luciano Salerno, al giornalista del Corriere Nazionale, anzi no scusate quello non esiste piu, Alfio Sardelli detto Gino per la conclamata competenza, soprattutto enoica. Ma stiamo divagando. Il Baffi staccò il pensiero dal reggicalze cozziano, altrimenti l’amplesso sarebbe durato ancora meno, e già i suoi erano da record del mondo sui 200 metri e si dedicò all’imburramento per la gentile signora…
La mattina dopo si svegliò prestissimo come suo solito e il tarlo iniziò a insinuarsi nella testa: chi diavolo aveva pensato a uno scherzo così cretino? Perché ancora non voleva credere fosse possibile che a uno chef corresse un pensiero così torbido nei suoi confronti. Certo, nella sua lunga carriera gli era capitato di inimicarsene parecchi, ma in fondo non gli pareva possibile che uno di loro lo odiasse tanto. E se fosse stato un depistaggio? Forse era proprio un suo collega a volergliene. Cercò di ripassare litigi trascorsi e banali incomprensioni. Luigi Tortona? Mah, era un tipo così mite, e poi in fondo gli aveva contestato solo alcune scelte riguardanti giovani emergenti maltesi e ciprioti. PDM di Sanremo? non ce l’avrebbe mai fatta. Si stendeva da solo a forza di gin tonic e seghe mentali.
Con Tauzzi di ” Talebani Gourmet” aveva avuto qualche scontro personale ma alla fine poi tutto si era ricomposto davanti a uno spaghetto di Nerano della famiglia Caputo. E poi diciamolo: un paio di idioti suoi recensori il Tauzzi li aveva finalmente levati di mezzo. Oddio, fosse stato quel calabrese permaloso di Scudieri? Non era possibile, avevano fatto pace da poco e si aspettava l’occasione buona per incontrarsi a tavola. Ma allora chi, maledizione. Il suono del campanello di casa distolse il pensiero.
Era il solito corriere che portava la treccia di Barlotti per il fine settimana. Aston gli scodinzolò intorno, non all’omino ma al polistirolo. Conosceva benissimo il contenuto e si leccava già i baffi. Posato il pacco sul tavolo di cucina Baffi andò a farsi una delle lunghe docce che amava, lui uomo con la fissa della pulizia personale. Ma un altro clamoroso strillo di Alessia lo fece saltare per aria. Ma che cazzo succede, urlò il critico, presentandosi in un gigantesco accappatoio giallo canarino modello Nero Wolfe e tutto sgocciolante sulla soglia della cucina. La giovane signora (si va beh… signora?!?!) teneva in mano lo stesso modello, colore e soprattutto taglia, di décolleté definitivamente rovinato la sera prima. Nel polistirolo non c’era bufala ma una scatola di scarpe Louboutin e un altro foglio di carta con scritto: MILLE (e te credo aggiungo io, quel nuovo paio di scarpe costa giusto un millino) SCUSE ALLA SIGNORA. TÉ BAFFI ricordati che morirai fra 29 giorni.
Questa volta Alessia disse, miagolando- però è stato carino dai-, mentre Aston, capendo dal suo meraviglioso olfatto che quella settimana la treccia di Barlotti se ne era andata affanculo, svenne in un amen.
2) continua……
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