I barbari dell’antichità distruggevano le città, quelli moderni le devastano costruendo. Per questo mai termine più appropriato fu «sacco edilizio» per definire l’immondizia estetica, quella che non si potrà mai più rimuovere, che circonda le metropoli italiane. Nel Golfo di Partenope il massacro ambientale è stato molto più grave perché ha devastato senza pudore uno degli angoli più belli e straordinari del mondo. Così, come i monasteri restarono a lungo l’unica oasi di pace di cultura nell’impero travolto dalla brutalità e dalla volgarità dei nuovi arrivati sprezzanti del diritto, così oggi i contadini e le aziende vitivinicole restano il solo presidio di sapienza del territorio a contraltare la miseria archiettonica degli annio ’50 e ’60. Tra queste isole spicca quella di sei ettari della famiglia Quaranta seguiti da tre generazioni sulla collina dei Camaldoli al confine tra i comuni di Napoli e Marano, con vista su Quarto e il monte Epomeo di Ischia. Sui terrazzamenti di sabbia nera vulcanica faticosamente coltivati da Nello e dal padre la falanghina e il piedirosso sono seguito dall’enologo Maurizio De Simone che li interpreta in maniera rigorosa con la vinificazione solo in acciaio. Le Vigne di Parthenope, come la Cantina degli Astroni, la Masseria del Borro, il vigneto di Rosiello e quello di Peppe Morra a San Martino, De Vita a via Manzoni, Moccia ad Agnano, sono gli ultimi e unici esempi di viticoltura in città, un fenomeno che accomuna ancora una volta Napoli a Parigi. La società è nata nel 2001 dall’amicizia di Nello con Cristiano Apice, unione tra produzione e commerciale da tradizione familiare non improvvisate. Ecco spiegato allora il giusto equilibrio raggiunto dalla cantina: 30.000 bottiglie, due vitigni, due vini, prezzi giusti in uscita (più o meno 6 euro il rosso e 5 il bianco), packaging curato, etichetta asciutta e molto dettagliata. Dalla quale apprendiamo ad esempio che la bellissima Falanghina 2005, in uscita ha 21 di estratti rispetto ai 24 della Falanghina 2004, e questo aiuta a capire la diversità delle stagioni. Sapido, minerale, fresco il bianco. Straordinario Piedirosso, un vitigno di cui raramente parliamo perché è molto difficile. Ma qui e nella concas di Agnano sembra aver trovato il meglio delle sue potenzialità espressive: il 2003 ha buona frutta al naso, straordinaria mineralità e freschezza in bocca, chiusura asciutta, austera, lunga. Un piccolo capolavoro perché il vino non deve essere tanto buono quanto buono e tipico, irripetibile. Questo Piedirosso Campi Flegrei doc lo è sicuramente, lo abbiniamo ai purpetielli in cassuola o alla zuppa di pesce per celebrare questo eurogol del nostro amico Maurizio.