Di Carmen Autuori
Dimenticate astici, aragoste, ostriche, improbabili Babbo Natale che affollano centri commerciali che, già da novembre, si trasformano in frenetici luna park con addobbi di dubbio gusto, assordanti musiche natalizie d’importazione, accecanti luci intermittenti e colorate (orrore): il Natale nei piccoli borghi cilentani conserva ancora, per fortuna, antiche tradizioni dal profondo valore simbolico che affondano nella notte dei tempi e che coinvolgono l’intera comunità prima ancora che la tavola.
La Notte Santa è il trionfo della luce, così le piazze di molti paesi s’illuminano con il fuoco, quello delle fòcare, enormi falò intorno ai quali si riunisce la comunità prima della messa di mezzanotte, come a Piaggine e Laurino, ai piedi del monte Cervati, oppure ad Ascea, per citarne solo alcuni.
Ma il fuoco è anche elemento di purificazione che affonda le sue radici in antichi rituali pagani collegati a Demetra, la Madre Terra, che veniva cosparsa con le ceneri del fuoco sacro per garantirsi un ricco raccolto e nella cultura contadina il Natale, considerato il periodo dell’attesa, conserva sempre un certo timore per il seme che deve germogliare. I principali lavori nei campi sono finiti e il germogliare delle piccole piante, così come la venuta di Cristo, rappresenta la speranza. “Mo’ vene Natale cu’ le belle fieste, si nun ha’ semenato accussì riesti”, recita un antico proverbio.
E ancora, sempre nella cultura popolare, la Notte Santa conserva delle valenze magiche: chi nasce la notte della Vigilia sarà un lupomannaro se maschio, o una janara (una strega) se femmina, inoltre solo in questa notte può essere trasmessa la segretissima formula per togliere il “malocchio”.
Veniamo alla tavola della Vigilia, anche qui è la tradizione è la vera protagonista del menù, che tranne in rari casi, è sempre uguale a sé stesso: alici, baccalà e verdure nelle varie declinazioni.
A Pollica, ad esempio, non può mancare il baccalà con i broccoli di Natale, mentre ad Altavilla, alle pendici dei monti Alburni, le lagane con il latte e le aringhe arrostite. A Trentinara bisogna consumare nove cibi, tanti quanti sono i mesi di gestazione della Madonna, mentre a Laurino le pietanze sono addirittura tredici come tredici sono i giorni da Santa Lucia a Natale.
Abbiamo chiesto a Giovanna Voria, appassionata custode delle tradizioni cilentane più autentiche quali sono i cibi che non possono mancare sulla tavola della Vigilia.
<<In primis il baccalà, il pesce di montagna una volta considerato ‘povero’- ci spiega -, sia nella versione rossa che bianca. La prima prevede i pezzi di baccalà indorato e fritto che poi verranno adagiati in un sugo preparato con cipolla, aglio, prezzemolo, alloro e ‘pacchetelle’ (pomodoro conservato a spicchi nei vasetti), il fondo di cottura andrà a condire la pasta, in genere spaghetti. Nella seconda versione, invece, il baccalà viene cotto in tortiera con patate, una manciata di ceci, l’aglio – immancabile – e le erbe aromatiche. Il tutto andrebbe cotto nel camino, con la brace sul coperchio della pentola, ma viene bene anche al forno. In accompagnamento, al posto del pane, si usa mangiare le frittelle di borragine.
Non può mancare l’insalata di scarola riccia con olive, papacelle, gli ultimi pomodori della ‘scocca’ (il piennolo cilentano) e le pere.
Per quanto riguarda i dolci, oltre alle celeberrime scauratelle, si fanno le zeppole di pasta cresciuta – acqua, farina e lievito – che non hanno la classica forma a ciambella, ma sono allungate e addolcite con il miele.
La caratteristica di questo dolce è che può essere conservato per più giorni e si mangia riscaldato sulla graticola. Una volta si usava preparare anche vino caldo, una bevanda corroborante da bere quando si tornava infreddoliti dalla messa di mezzanotte, preparato con le bucce di agrumi, la cannella, il finocchietto, l’alloro, le mele ed il fico bianco: una sorta di vin brulèe cilentano>>.
Nelle zone costiere oltre al baccalà, protagoniste del cenone della Vigilia sono soprattutto le alici: fresche, sotto sale e sott’olio.
<<A casa mia non possono mancare i ‘ruospi’- ci racconta Donatella Marino, napoletana (anzi luciana) di nascita e cilentana d’adozione, nonché ‘maestra’ della conservazione delle alici di Menaica -. Si tratta di frittelle di pasta cresciuta al cui interno viene inserita un’alice di Menaica conservata sott’olio. Trattandosi di una pasta neutra, può essere trasformata anche in dolce, basta immergerla nel miele. C’è poi la versione ‘ricca’ che vede la presenza del latte e delle uova.
L’ olivata, invece, è la protagonista del primo piatto. È una salsa ottenuta con crema di olive, tonno, origano e capperi ottima per condire gli spaghetti della Vigilia. In omaggio alle mie origini napoletane, sono solita preparare anche il baccalà in agrodolce. I pezzi di pesce vengono prima fritti e poi lasciati insaporire in un sugo di pomodorini rossi e gialli, arricchito da sedano, cipolla uva sultanina, pinoli e capperi>>
Un’ultima curiosità: anche la preparazione delle zeppole scauratelle, eredità degli antichi coloni greci, è avvolta da un’aura magica. Innanzitutto, non va mai rivelato il giorno in cui si preparano, potreste essere colpiti dal ‘malocchio’ dei vicini, le donne addette alla realizzazione del dolce devono essere sempre in numero dispari e gli uomini non possono partecipare: pena lo scoppio delle scauratelle nell’olio bollente!
Ruospi con le alici
Di Donatella Marino
Ricetta raccolta da Carmen Autuori
Tempo di preparazione: 3 ore
Tempo di cottura: 4 minuti
Ingredienti per 8 persone
- 1 kg di farina 00
- 300 g di alici di Menaica sott’olio
- 1 cubetto di lievito di birra
- 600 ml di acqua tiepida
- 1 pizzico di sale
- Olio per friggere
Preparazione
In una ciotola sciogliere il lievito di birra con l’acqua, aggiungervi la farina ed il sale. Impastare con molta cura, coprire e lasciar lievitare almeno fino al raddoppio.
Riscaldare l’olio in un tegame dai bordi alti, versarvi l’impasto a cucchiaiate cercando di ottenere delle piccole sfere al cui interno avrete inserito l’alice intera e friggere fino a doratura.
Sgocciolare su carta assorbente e servire caldissime.
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