Da un bell’episodio di successo qualche riflessione un po’ amara
Piccola grande soddisfazione per Silvia Imparato: il suo Montevetrano 2005 è stato l’unico vino rosso servito al ricevimento ufficiale organizzato dall’ambasciata italiana a Mosca durante la visita del presidente Napolitano al collega Dmitri Medvedev. Un segnale importante per l’azienda di San Cipriano Picentino da oltre quindici anni costantemente al top in Campania e ai primi posti in Italia, ma anche per il territorio nel suo complesso visto che la presenza di turisti russi di qualità è sempre più forte in Costiera Amalfitana come ben sanno i locali dell’alta ristorazione. La questione rimanda, sia pure indirettamente, ad un pezzo di Franco Ziliani nel quale si sollevava giustamente e opportunamente la questione dell’assenza dei vini italiani in occasioni di cerimonie ufficiali da cui è scaturita una discussione per certi versi fuorviante, per altri aberrante con tesi del tipo <Se ci devono andare i Supertuscans allora meglio di no> oppure il solito ritornello italico <chi decide cosa e perché>, <dietro quali pressioni o manovre occulte>. Apparentemente la discussione è palesemente andata fuori tema, ché il nocciolo del post era l’invito rivolto ai politici e agli amministratori ad una maggiore difesa e convinta promozione della nostra produzione vitivinicola anche i sedi ufficiali dove è importante rappresentare questo volto dell’Italia che, nonostante la crisi, continua a costituire una voce primaria dell’export e dunque della nostra agricoltura. Poi in realtà a ben pensarci è proprio nella discussione la risposta alla domanda del post: perché la dispersione in mille rivoli, del tutto secondari, della chiacchierata dimostra ancora una volta quanto il nostro paese abbia difficoltà ad autorappresentarsi in maniera univoca ed efficace, di quanto sia sostanzialmente incapace di affrontare in modo maturo e deciso l’opportunità della globalizzazione. Sul banco degli imputati così finiscono i produttori e non chi dovrebbe valorizzare la produzione agricola italiana e non lo fa.
Il successo, come la bellezza femminile, genera anzitutto invidia, ma questa è roba da studenti del primo anno di corso in Psicologia, come evidenzia la bella frase di Wilde secondo la quale è facile essere amico di una persona in disgrazia, difficile godere serenamente dei suoi successi senza pensare <e perchè io no>. Questa è la vita e basta farci il callo. Ma l’aspetto più sconcertante, la chiave della crisi in cui siamo immersi totalmente come sistema paese, è che gli strumenti istituzionali servono a veicolare questo sentimento anziché a mediarlo e a trasformarlo in una pulsione a fare meglio, ad essere competitivi. Un case history della crisi italiana è il Montevetrano come tanti altri vini di successo: alla fine, quando si dovranno tirare le somme in sede storica, sarà interessante andare a rileggere fatti accaduti e parole usate per tentare di distruggere quanto di meglio la Campania ha espresso nel bicchiere negli ultimi anni. Da studiare all’università le vicende del Pallagrello di Manuela e Peppe di Terre del Principe, per esempio, oppure quelle di Antonio Caggiano. Ma ciascun produttore ha la sua storia da raccontare. Spesso gli ostacoli vengono proprio da rappresentanti delle istituzioni che invece di andare orgogliosi di questi gioielli per esibirli come un passepartout del loro territorio, li sottopongono a pressioni incredibili e indicibili: sapete quante ispezioni e controlli al mese devono superare aziende di questo genere mentre l’economia illegale prospera al loro fianco senza alcun problema? Quanto tempo dedicato alla carte, ai tribunali, alle lettere anonime, invece che alla creazione e al perfezionamento del proprio prodotto? Lo stesso discorso vale per i ristoranti di eccellenza: mi colpì, tanto per fare un esempio, una superispezione Da Niccolo il giorno in cui era in corso Girotonno! Non voglio teorizzare che ci debbano essere persone esenti da verifiche, ma mi chiedo perché e come mai lo Stato ha un atteggiamento punitivo verso chi fa impresa e si inginocchia di fronte alla mafia, alla camorra e ai finanziari d’assalto. La diffidenza cattocomunista verso chi fa impresa, chi rischia, costituisce il genius loci, la pulsione recondita e non dichiarabile, come la pedofilia dei preti, che alligna in tutto il nostro sistema burocratico, dal vigile urbano che ti perseguita perchè non gli hai dato la bottiglia gratis all’alto commis di Stato che deve scegliere il vino alla cerimonia ufficiale con i leader mondiali. Questo, secondo me, è il nocciolo del problema. Ecco perché agli amici che vogliono fare impresa dico sempre, pensate prima all’avvocato e poi all’agronomo.
Fossi un produttore di successo terrei un diario di bordo e poi lo pubblicherei a scadenza fissa. Un diario dove annotare le visite, pressioni, le multe, gli articoli a comando, gli attacchi pretestuosi e le menzogne inventate a tavolino con la scusa del diritto di critica che invece è ben altra cosa e che non c’entra in questo discorso. Tutto, per poi poterlo studiare e preparare bene chi progetta di fare un gran vino senza tenere conto che il suo nemico non sarà mai il collega produttore, ma l’ispettore di turno, il sedicente critico inventato a cui stai sulle palle senza motivo o perché non gli hai mandato subito il campione che ti ha chiesto, un burocrate che non passa la carta giusta al ministero o la fa dormire per mesi, l’oscuro ingegnere che in un ministero traccia un binario ferroviario ad alto impatto ambientale senza chiedersi chi ci vive sotto. Tanto per fare un esempio, sui vigneti del Montevetrano si è progettato la costruzione dell’Alta Velocità, adesso un inceneritore perché sono ritenuti agricoli e quindi <liberi>! Capite? Proprio qui e, non, per esempio, nell’attigua area industriale dove ci sono i cimiteri di una industrializzazione finanziata con i soldi pubblici e fallita. Ossia non sono considerati disponibili i terreni su cui è stata fatta speculazione edilizia o costruito mostri architettonici per cui nessuno pagherà mai, ma quelli usati per coltivare e costruire l’eccellenza italiana!
Così stanno le cose in Italia, in ogni settore. Certo, non solo nel vino. Un sistema malato dove conviene sempre non rischiare, evitare di esporsi, vivere nella mediocrità consolante, come quello dei mandarini in Cina prima della rivoluzione di Sun Yatsen e la cosa penosa sta nell’impossibilità di vedere una via di uscita perché spesso è proprio l’ideologia di sinistra ad offrire copertura ad un sistema che blocca lo sviluppo e non permette all’individuo, ai giovani, di esprimersi. Proprio come è successo sui rifiuti in Campania. Perciò i produttori di vino e gli imprenditori agricoli sono sempre persone eccezionali, non per le storie di terra che pure hanno alle spalle, non perché vivono in un mondo bucolico e affascinante, ma perché devono affrontare il parassitismo terziario di una burocrazia priva del senso delle istituzioni, un sistema bancario fra i più arretrati della Terra, ben più dannoso di una grandinata o di una siccità. E perché riescono ad emergere nonostante tutto. Soprattutto, nonostante gli idioti.
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