I numeri parlano chiaro: le donne rappresentano la maggioranza degli addetti e dei manager nell’ambito marketing e comunicazione (80%), commerciale (51%) e turismo (76%).
Quali sono le figure femminili impegnate nei diversi rami del settore vitivinicolo?
Dopo il successo della serie di interviste alle critiche di vino e parallelamente a quella dedicata alle donneproduttrici, scopriamo impostazione, visione e prospettive con le dirette interessate.
Oggi lo chiediamo a: Laura Donadoni
Laura Donadoni è giornalista, wine educator, scrittrice e autrice. Vive tra Italia e California dove ha fondato “La Com Wine Agency”, agenzia di comunicazione focalizzata sulla promozione del vino e The Italian Wine Girl, un blog e una community social con oltre 70 mila iscritti. Ha pubblicato quattro libri e diverse serie podcast aggiudicandosi diversi riconoscimenti. Nel 2022 è stata nominata da “La Repubblica” tra i 40 under 40 più influenti del vino italiano. Nel 2023 ha pubblicato Intrepide: una serie podcast e un libro che affrontano il tema delle discriminazioni di genere nel mondo del vino. Nel 2024, con lo stesso nome, ha fondato una community, un podcast e un’accademia di formazione sui temi della parità di genere e della leadership femminile nelle aziende.
Quando e come ti sei avvicinata al settore vino?
Sono ormai 12 anni che mi occupo di comunicare il vino, mi sono formata negli Stati Uniti, dove ho la residenza e dove ho fondato un’agenzia di comunicazione specializzata nel vino. Sono arrivata al vino nella mia “seconda vita”, ovvero quando ho lasciato l’Italia per trasferirmi in California. Prima, a Milano, facevo la giornalista tradizionale, mi occupavo di cronaca e politica per diverse testate nazionali e locali, per la radio e per la tv. Ho sempre avuto questa vocazione alla divulgazione.
Come hai impostato il tuo percorso formativo ed esperienziale?
Quando negli Stati Uniti ho capito che il mio tesserino da giornalista professionista e la mia laurea in Scienze della Comunicazione erano presupposti troppo generici per costruire qualcosa di importante, ho scelto di focalizzarmi su un settore in particolare, ovvero il vino. Per me il vino è sempre stato una passione e qualcosa che mi ricordava l’infanzia, dato che mio nonno prima e oggi mio padre e i suoi fratelli, coltivano tre ettari di vigna sulle colline di Bergamo, mia città natale. Ho pensato che con il mio inglese dall’accento italiano sarei sicuramente suonata più autentica e credibile nel raccontare qualcosa di profondamente legato alla mia terra. Allora ho deciso di prendere il diploma completo con la North American Sommelier Association che è affiliata Ais, poi ho proseguito il percorso con il Wset e sono diventata anche Vinitaly International Wine Ambassador, un titolo che oggi hanno circa 300 persone nel mondo. Ho completato la formazione con un master in Food and Wine Communication e ho studiato il mercato del vino americano per capire di che cosa avevano bisogno le cantine e i consorzi italiani per promuoversi e farsi conoscere. Ho partecipato a quanti più eventi e degustazioni possibili, ho lavorato gratis per importatori, distributori ed enoteche, per imparare bene il mestiere da tutti i punti di vista. Ho colto un gap nel mercato: c’erano tante agenzie di comunicazione, ma il personale non era formato per parlare di vino o per capirne le dinamiche. Ci penso io, mi sono detta, e ho aperto LA COM Wine Agency, che tutt’oggi opera su tutto territorio statunitense e offre eventi, wine education e ogni tipo di servizio alle cantine e ai consorzi italiani che sbarcano negli Usa. Oltre all’agenzia ho avviato un blog e una community online, con il nickname che mi hanno affibbiato durante i corsi negli States, ovvero The Italian Wine Girl. È diventato un brand, è la mia identità digitale.
Qual è il tuo modello di ispirazione in termini umani, geografici, attitudinali?
In termini umani ho avuto tanti modelli di ispirazione, nei miei libri ho raccontato di tante persone che mi hanno ispirata proprio umanamente. Nel mio primo libro “Come il vino ti cambia la vita” ho descritto alcune storie di persone coraggiose e determinate che hanno creduto profondamente nei loro progetti, ma in Intrepide, nel mio ultimo lavoro, ho cercato davvero di mettere in luce modelli di donne che popolano questo settore, di cui magari si conoscono solo le storie parziali. Tra queste sicuramente posso citare Stevie Kim, Josè Rallo, sono senz’altro modelli umani, ma anche Lavinia Furlani, Cristina Mercuri. Ne avrei un elenco lungo… In termini geografici per me il modello sono gli Stati Uniti, un Paese in cui le mie aspettative sono state superate in termini di business e possibilità di realizzarsi. Un Paese che mi ha accolta in un momento difficile della mia vita. In termini attitudinali cito un modello che ho conosciuto di recente e che finirà nel mio prossimo libro: Maria Grammatico. Oggi ha 84 anni, nel 1963 contro tutto e contro tutti ha aperto il suo piccolo laboratorio di pasticceria a Erice, in provincia di Trapani. Ne ha passate tante nella vita, ma non ha mai smesso di fare le cose con amore e per la sua libertà, questo mi ha detto con un filo di voce. Quella è l’attitudine che voglio avere: fare tutto con amore, per la libertà, mia e degli altri.
Il ruolo della donna è adeguatamente riconosciuto nel nostro settore a tuo parere?
Il problema è che la donna come l’uomo non dovrebbero avere un ruolo, ma dovrebbero essere liberi di esprimersi in qualsiasi frangente: in casa, al lavoro, nelle faccende familiari, nelle posizioni di potere. Non ci si dovrebbe aspettare dall’una o dall’altro di occupare determinate caselle stereotipate e invece purtroppo è ancora così. Nel parlare di discriminazione di genere nel nostro ambito mi impegno a far comprendere che a volte certi meccanismi di pregiudizio sono talmente dentro di noi, uomini e donne, che nemmeno ci accorgiamo di come limitano i nostri pensieri e le nostre azioni. Credo che una svolta potremo averla solo quando anche gli uomini vorranno sedersi accanto a noi e ascoltare questi ragionamenti con la mente aperta e la disponibilità a mettersi in discussione. Finché facciamo eventi per le donne a cui partecipano solo donne e passiamo il tempo a dirci quanto siamo brave e quante donne ci sono nel settore, i problemi nel quotidiano rimarranno gli stessi. Deve essere una battaglia comune, non un gioco di ruoli.
Quali sono i punti di forza e di debolezza del sistema Italia nella tua professione?
La più grande debolezza è proprio che il sistema Italia non esiste. Dal mio osservatorio estero, dagli Stati Uniti, emerge ogni volta molto chiaramente come le altre nazioni, la Francia, la Spagna, anche la Grecia, siano in grado di comunicarsi unite all’estero, le varie regioni vinicole uniscono le risorse per dare vita ad azioni di promozione che hanno un impatto. Noi invece tendiamo ad andare individualmente: ogni consorzio, ogni piccola regione, a volte ogni cantina. Disperdiamo risorse e riusciamo quindi a realizzare eventi o campagne che su un territorio così vasto come gli Usa non hanno un grande impatto.
Un’altra grande debolezza del vino italiano è che le innovazioni vengono sempre viste negativamente e si alzano le barricate, anziché provare a capire come farle diventare parte del nostro business. Un esempio? Il fenomeno low alcol, o alcol free, in Usa è un mercato in fortissima espansione. Noi ci siamo chiamati fuori. In Italia non si può nemmeno produrre un vino dealcolato, negli altri Paesi d’Europa sì, con il risultato che sugli scaffali statunitensi è pieno di vino low alcol con nomi italianeggianti prodotto altrove. E noi abbiamo perso l’ennesima occasione di business.
Punti di forza? L’Italia è un brand che gode di un’alta reputazione nel settore food and wine, soprattutto negli States. Abbiamo dalla nostra un’enorme diversità nell’offerta enogastronomica e per un Paese, gli States, dove i consumatori sono sempre alla ricerca di novità, questo è sicuramente un asset.
Come pensi la tua professione evolverà nei prossimi 20 anni? Avrà un ruolo l’AI?
L’AI è già una realtà quotidiana per me, la utilizzo ogni giorno nel mio lavoro e mi ha facilitato la vita, eseguendo compiti che in passato ho delegato ad assistenti dipendenti. Ora le stesse persone possono dedicarsi a mansioni più strategiche e io stessa ho più tempo per pensare a come evolvere come essere umano e poi anche come professionista. Tra vent’anni spero di osservare come sarà cambiato il mondo del lavoro dalla mia amaca in qualche zona remota del mondo. Perchè da grande voglio fare l’esploratrice.
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