I numeri parlano chiaro: le donne rappresentano la maggioranza degli addetti e dei manager nell’ambito marketing e comunicazione (80%), commerciale (51%) e turismo (76%).
Quali sono le figure femminili impegnate nei diversi rami del settore vitivinicolo?
Dopo il successo della serie di interviste alle critiche di vino e parallelamente a quella dedicata alle donneproduttrici, scopriamo impostazione, visione e prospettive con le dirette interessate.
Oggi lo chiediamo a: Leila Salimbeni
Direttore Editoriale di Spirito diVino, magazine cartaceo dedicato al lusso e alla cultura del vino italiana e internazionale, carica che ricopre dopo cinque anni dedicati alla cura e al coordinamento della redazione. Laureata in Discipline Semiotiche con una tesi sperimentale in Semiotica dei Consumi, oggi è giornalista e scrittrice, giudice e divulgatrice, nonché curatrice di importanti manifestazioni legate alla cultura enogastronomica italiana.
Quando e come ti sei avvicinata al settore vino?
Il vino mi ha letteralmente travolta, e pensare che ho cominciato a frequentarlo, professionalmente parlando, in piena crisi finanziaria (2007). Mi ci sono avvicinata, comunque, da bambina, quando lo trafugavo di nascosto dai bicchieri di mio nonno Adorno, con sommo sgomento da parte delle altre donne di casa, tutte astemie; successivamente l’ho ritrovato, appena più scientemente, grazie a un ex che dilapidava tutto quanto aveva in vini per lo più blasonatissimi (il mio primo Champagne consapevole fu con lui, avevo 24 anni: era un Salon del ’97). Poi, nel 2010, fresca di laurea specialistica in Semiotica (avevo scritto una tesi sulla cucina, allora concettuale, di Massimo Bottura) accadde che ero in una (pessima) enoteca di Bologna quando mi si avvicina questo tipo che aveva origliato il racconto che stavo facendo, a tal proposito, a una mia amica: “mi chiamo Luca Govoni (che all’epoca docente e divulgatore scientifico ad Alma n.d.a.), ho sentito il tuo racconto. Il mio capo, Andrea Grignaffini (sapevo chi era anche perché avevo studiato sui libri di fratello, Giorgio n.d.a.) sta cercando nuovi collaboratori da inserire su Spirito diVino: ti va di incontrarlo?” È incominciato tutto così, erano i primi di novembre del 2011. Da allora, non ho mai smesso di scrivere.
Come hai impostato il tuo percorso formativo ed esperienziale?
Non ho mai avuto un canovaccio, né un’impostazione definita. I primi dieci anni, durante la cosiddetta gavetta, ho scritto per tutti, sostanzialmente di tutto: scrivere, anche e soprattutto come ghost, s’è rivelata una palestra essenziale, anzi, di più: un parco giochi attraverso il quale ho presto imparato a modificare il mio stile per calzarlo sull’indole delle committenze ricevute. Insisto tuttora molto sulla documentazione, che è propedeutica alla stesura di qualunque testo: oltre che necessario è piacevolissimo, imparare, di cui bisogna essere avidi, assetati di conoscenza costante. Riversare poi tutto quanto appreso e assimilato in testo vergato e firmato di mio proprio pugno ha presto rappresentato il coronamento di un’evoluzione intellettuale e professionale a cui solo nel tempo ho imparare a dare il giusto valore, anche e soprattutto pecuniario. Qualche errore? Penso di essermi fatta pagare troppo poco, i primi tempi, del resto stavo imparando. Oggi sono diventata piuttosto cara, ma continuo a scrivere per il piacere di negoziare, linguisticamente parlando, il mio mondo interiore. Quanto all’attività di redazione, e alla direzione di Spirito diVino, questa prevede una filiera lavorativa ben precisa, che passa dalla relazione col Direttore Responsabile e col commerciale e poi filtra dalla sottoscritta ai collaboratori fino alla stesura del timone, con l’assegnazione dei compiti e l’organizzazione delle numerosissime trasferte. Molto adrenalinico, e pertanto tendenzialmente anche divertente, se non ci sono troppi intoppi, è il momento rituale della chiusura del magazine, con la consegna delle cianografiche all’editore.
Qual è il tuo modello di ispirazione in termini umani, geografici, attitudinali?
Anche se adesso che non lavoro più con lui, Andrea Grignaffini continua ad essere una delle figure di riferimento del mio lavoro, non solo in ambito etico ma anche in ambito strategico. Sono fiera di poter apprendere tutti gli ingranaggi della macchina editoriale dal mio attuale direttore ed editore, Franz Botré, di cui mi piacerebbe a poco a poco acquisire anche il gusto grafico, e assorbire tutto lo scibile in materia di sartoria, orologeria e automotive. Tornando al vino, leggo con costanza Nicola Perullo, Armando Castagno e Francesco Falcone, mi piace la freschezza di Eugenia Torelli e la prosa solida ma dolce di Anna Prandoni, mentre mi delizia sempre la rubrica sul bon ton che Fiammetta Fadda tiene sul cartaceo de La Cucina Italiana. Di grandi firme del giornalismo non perdo quasi nulla di quanto scrive la brillantissima Ginevra Leganza ne La Civiltà delle Macchine e su Il Foglio e, sempre sul giornale di Cerasa, non manco mai di leggere Fabiana Giacomotti: il suo pezzo intitolato (male) L’alta modo di filosofeggiare sulla banalità di una gonna col pretesto di parlare dello stato in cui versa la moda contemporanea si rivela una vera e propria lezione di giornalismo contemporaneo, anche d’inchiesta, deontologia inclusa.
Il ruolo della donna è adeguatamente riconosciuto nel nostro settore a tuo parere?
Sarò impopolare ma non credo che il ruolo della donna sia meno riconosciuto di quello dell’uomo nel nostro settore. Piuttosto, ritengo siano tempi abbastanza infelici per entrambi, esasperati, per me che appartengo alla categoria, dal fatto che molte donne stiano rivendicando diritti stupidi, inutili o addirittura dannosi. Un esempio? La body positivity: non voglio dire che ci si debba vergognare di essere sovrappeso, ma non si dovrebbe ignorare che si tratta di una condizione che rappresenta anche un grave problema di ordine sanitario e, come tale, non andrebbe rivendicata come diritto, cosa che vale tanto per gli uomini quanto per le donne. Quanto a questioni più marcatamente femminili, irrido la causa di chi si sente offesa dai menù senza prezzi, come se fosse una cena offerta da un corteggiatore il problema della disparità dei generi. Personalmente, credo che la mia natura di donna, con tutte le sacrosante differenze che mi separano da quella dell’uomo, mi abbia facilitato in questa professione: sono stata più efficiente dei miei colleghi maschi, più persuasiva, e più sottile, forse, nella volontà di raggiungere i miei obiettivi. Piuttosto, proprio alcune fragilità mi hanno permesso di raggiungere risultati prima di tanti uomini, e questo sebbene i colpi più efferati li abbia ricevuti proprio da donne che non hanno esitato a proiettare sulla sottoscritta, con buona pace del femminismo incipiente, il modello inculcato loro da certi stereotipi di genere. Certo, non ho figli, pertanto ho potuto dedicarmi a me stessa – nella vastità di tutte le mie moltitudini (cit.) – senza sacrifici né rimorsi di coscienza: se ne avessi avuti probabilmente sarei più solidale con le istanze del femminismo contemporaneo purché, ovviamente, restino incentrate su questioni di politica sociale e assistenziale, senza avvitarsi sulle cretinate di cui sopra. Ultimo ma non ultimo, trovo che ci sia una certa strumentalizzazione della questione femminile che, andando assai di moda, diventa il focus di siparietti d’ogni genere: tavole rotonde, salotti, per non parlare di alcuni recenti quanto innecessari prodotti editoriali. Per la sottoscritta uomo e donna sono così paritetici che non ha alcun senso insistere sulla primazia né dell’uno né dell’altra, tanto più che, per come la vedo io, avallare istanze di natura femminista dovrebbe autorizzarne altre di tipo maschilista.
Quali sono i punti di forza e di debolezza del sistema Italia nella tua professione?
Partendo dai punti di debolezza, direi che in Italia l’intero sistema economico, che è la diretta emanazione di quello amministrativo e politico, sia così stagnante da non concedere, nemmeno nel mio settore, di ambire a una vera e propria scalata economico-sociale. Inoltre, nonostante io sia regolarmente iscritta all’Ordine da 10 anni esatti, è pressoché impossibile accedere al contratto giornalistico che sembra essere, per i committenti, semplicemente insostenibile. Ecco credo che sarebbe forse il caso di riscriverlo, questo contratto, adeguandolo magari alle limitazioni della contemporaneità. Mi prendono le vertigini, poi, al pensiero che i miei contributi servano a mantenere pensioni di giornalisti che, peraltro, spesso in pensione non ci vanno nemmeno, diventando a tutti gli effetti anche dei competitor (oltre al danno la beffa…). Credo tuttavia che i mali del nostro settore abitino la maggior parte dei segmenti in cui è organizzata la libera professione italiana, e questo non per dire che “mal comune mezzo gaudio”, ma per insistere sul fatto che andrebbe ripensato l’intero sistema di distribuzione delle risorse, con iniezioni puntuali alla piccola e media impresa, e all’editoria, e incoraggiare politiche del lavoro più coraggiose, basate magari sul talento individuale. Quanto ai punto di forza, credo molto nella formazione continua che l’Ordine dei Giornalisti impone, a ragion veduta, ai suoi iscritti e allo stesso tempo trovo anche che una nuova energia si stia riversando sul comparto vitivinicolo italiano, e questo al netto della crisi climatica e culturale, giacché sempre il vino sembra essere sparito dall’immaginario collettivo dei più giovani…
Come pensi la tua professione evolverà nei prossimi 20 anni? Avrà un ruolo l’AI?
La professione giornalistica si sta evolvendo costantemente da quando è incominciata la rivoluzione tecnologica e digitale che ancora stiamo attraversando. Personalmente, credo che saremo tutti tenuti a essere più attivi, più svegli, più veloci, senza opporre inutili, stolide resistenze. Credo che si dovrà essere leggeri e velocissimi insomma anche da vecchi, e credo che sia molto elegante capire quand’è giunto il momento di uscire di scena. Sarà importante più che mai essere definiti nelle proprie posizioni e verticalissimi nelle proprie competenze. Già nel corso del fenomeno degli influencer, e questo benché, ne sono coscia, costoro abbiano assorbito buona parte degli investimenti dedicati prima alle testate online e cartacee erodendo ulteriormente il sistema, non mi sono mai sentita minacciata da loro che svolgono, a tutti gli effetti, un lavoro assai diverso. Stesso discorso per quanto concerne l’AI, che appena nata sconta già una serie di limitazioni importanti, relative alla cosiddetta “data di taglio”, ovvero settembre 2021 (fonte ChatGPT, maggio 2024). A voler essere onesti, comunque, ho molta fiducia nell’AI al punto che mi ritrovo già adesso a utilizzarla per fare ricerche, traduzioni e trascrizioni. Come tutte le cose create dall’uomo per l’uomo credo semplicemente che essa sia, già ora, un ottimo ancorché perfettibile alleato.
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