I numeri parlano chiaro: le donne rappresentano la maggioranza degli addetti e dei manager nell’ambito marketing e comunicazione (80%), commerciale (51%) e turismo (76%).
Quali sono le figure femminili impegnate nei diversi rami del settore vitivinicolo?
Dopo il successo della serie di interviste alle critiche di vino e parallelamente a quella dedicata alle donne produttrici, scopriamo impostazione, visione e prospettive con le dirette interessate.
Oggi lo chiediamo a Francesca Auricchio
Francesca Auricchio ha 26 anni ed è campana. Attualmente ricopre il ruolo di Sales & Export Manager presso l’Azienda Vitivinicola Joaquin Sarl. Si è laureata in Economia & Management presso l’Università degli Studi di Salerno e ha conseguito la laurea magistrale con il massimo dei voti in Food Innovation & Management presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Fin da piccola la sua passione per il mondo della viticoltura e per il vino l’ha spinta ad approfondire le conoscenze in campo enologico, infatti a 18 anni ha intrapreso il corso di sommelier AIS ultimandolo a 19. L’internship presso la Società di investimento sul vino, la OENO FUTURE in Inghilterra, le ha permesso di ampliare le sue conoscenze nel mondo dei fine wines. Questo settore di nicchia l’ha fortemente appassionata e l’Azienda per cui lavora oggi è una delle poche sul territorio campano a inserirsi in questa nicchia a livello internazionale.
Quando e come ti sei avvicinata al settore vino?
Non riesco ad individuare con esattezza il momento preciso in cui è accaduto, so però che il vino, i vigneti e le cantine hanno sempre fatto parte di me.
Provenendo da una famiglia di origine cilentana, precisamente di Corleto Monforte – paesino incastonato tra gli splendidi Alburni – mia nonna Francesca sin da quando ero bambina era solita portarmi nel nostro piccolo vigneto di cui lei aveva perfetta cura. Lì ho mosso i primi passi verso il mondo di cui mi sarei poi invaghita da grande. La prima vendemmia fu come un battesimo per me, ricordo che coincideva con l’onomastico di nonna (che era anche il mio) e che per questo si tramutava in un giorno di festa in cui tutta la famiglia – grandi e piccini – si riuniva per raccogliere l’uva e pranzare tutti insieme.
Come hai impostato il tuo percorso formativo ed esperienziale?
Quando nonna Francesca morì avevo 18 anni e fu allora che decisi che avrei avuto cura del suo vigneto.
Nonna, oltre ad esser stata un grande riferimento per me, è stata anche la prima vigneron che ho visto lavorare con il vino e da cui ho imparato ad amare la terra ed aver continuato il suo lavoro mi ha permesso di mantenere vivo il mio legame con lei.
Presto mi resi conto che questa missione si era tramutata in passione ed è per questo che decisi di cominciare a studiare il vino anche a livello accademico.
Mi iscrissi al corso di Sommelier nonostante i miei genitori non fossero d’accordo poichè temevano che avrei tolto tempo agli studi economici che avevo intrapreso. Decisi di pagarmi il corso da sola e per questo iniziai a lavorare come hostess e in meno di due anni, tra lavoro, studio ed università, completai i tre livelli e conseguii il titolo.
Probabilmente in quel momento mi resi conto di esser un’indomita e che per quanto avessi acquisito un linguaggio tecnico e iniziassi a governare le tecniche di degustazione, conoscevo ancora troppo poco di quel mondo. Per questo, completati gli studi di economia e management presso l’Università di Salerno, iniziai una spasmodica ricerca di un corso di laurea magistrale che potesse permettermi di far convergere il mio percorso accademico alla mia grande passione per il vino. Volevo diventare una manager in questo settore.
La mia ricerca portò i suoi frutti e uno di questi aveva il nome di Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, avevo trovato il corso di laurea adatto a me: Food Innovation & Management. L’università era a Bra, una piccola cittadina tra le Langhe, ed il corso di laurea era in lingua inglese e disponeva di soltanto 40 posti. Mi preparai per il test d’ingresso nonostante non avessi i pronostici a favore del caso – complice il mio non ottimo inglese – ma grazie alla mia forte passione e alla determinazione riuscii a esser ammessa.
Ammetto che all’inizio fu molto difficile ambientarsi, non ero mai stata in Piemonte e i miei colleghi oltre ad esser appassionati come me provenivano tutti dal Nord Italia e dal resto del mondo ed avevano un’ottima dimestichezza con le lingue straniere, ma nonostante ciò mi armai di coraggio e impegno poichè volevo dimostrare a tutti di esser all’altezza di quel contesto.
Piano piano i risultati iniziarono ad arrivare, fui l’unica del corso ad esser assunta per un internship all’estero, in Inghilterra, presso un’importante azienda leader nel settore degli investimenti in fine wine: OENO FUTURE.
Ad oggi credo fermamente che quello sia stato in assoluto il momento formativo più importante per me.
Immersa nel mondo dei vini di pregio ebbi l’opportunità di assaggiare i più grandi vini al mondo, provenienti da tutte le regioni e delle annate più introvabili.
Durante quei mesi i miei maestri Justin Knock – Master of Wine – e Mattia Tabacco – attualmente MW student – mi hanno insegnato tutto, dall’approccio al vino in degustazione, alle regioni vitivinicole passando per le tecniche finanziarie che governano gli investimenti nel settore.
Ho preso parte al Wine Team composto da soli buyers, le nostre mansioni consistevano nell’acquistare i vini dal mercato primario e reperire allocazioni di grandi cantine blasonate. A questo si aggiungeva l’attività di ricerca delle nuove rising star, ossia aziende molto piccole e meno rinomate ma produttrici di vini di grandissima qualità sui quali venivano prodotti i margini di guadagno migliori.
Ad agosto 2021 durante l’esperienza londinese, ebbi un’importante chiamata da un noto imprenditore vinicolo campano che mi propose di iniziare un nuovo lavoro in Campania come Sales & Export Manager.
Decisi di accettare, mi mancava la mia terra e avendo studiato il mondo del vino mi resi conto di quanto lavoro si potesse ancora fare in Campania.
Il nuovo lavoro era fantastico: mi permetteva di esser a contatto con i clienti e di trasmettere loro la mia passione, mi rispecchiava di più rispetto al ruolo di buyer.
Forse ero nata per esser “in front of” e non “behind of” e forse avevo finalmente trovato il mio posto.
Nel frattempo – ad aprile 2022 – completai il mio percorso di studi in Piemonte laureandomi con il massimo dei voti: per la prima volta nella mia vita ero fiera di me, era la strada giusta ed il momento giusto.
Dopo la laurea iniziai a ricevere diverse proposte anche da aziende operanti al Nord Italia eppure continuavo a sentire che il mio cuore mi teneva legata alla mia terra, la Campania.
Sapevo che tutti gli sforzi che avevo compiuto fino ad allora erano finalizzati a portare ricchezza alla mia terra, avevo rubato tutto con gli occhi, avevo ascoltato idee e segreti utili per sviluppare nuovi progetti e raggiungere nuovi obiettivi.
A settembre, dopo numerosi colloqui, ho iniziato il mio nuovo ed attuale lavoro come Commerciale presso la prestigiosa azienda vitivinicola Joaquin Sarl, sita a Lapio in Irpinia.
Qui sto riuscendo a mettere a frutto le mie conoscenze sui fine wines e ad oggi sono fiera di dire che siamo i primi in Campania a vendere un Taurasi Riserva con dieci anni di affinamento En primeur.
Qual è il tuo modello di ispirazione in termini umani, geografici, attitudinali?
Ogni persona che incontro durante il mio cammino, uomo o donna che sia, riesce sempre a lasciarmi qualcosa che custodisco e porto con me verso il futuro.
Sicuramente i miei maestri – Justin Knock e Mattia Tabacco – sono stati in assoluto le persone che hanno saputo insegnarmi l’importanza della conoscenza e dello studio del vino e come sia fondamentale incuriosirsi e incuriosire. Grazie a loro ho imparato a voler conoscere tutto ciò che una bottiglia di vino nasconde: la sua storia, il produttore, la cantina ed il terreno su cui erge la sua uva.
Gli export manager, i direttori commerciali e gli agenti con cui ho avuto modo di confrontarmi mi hanno fatto capire quanto fosse importante allargare le spalle, dotarsi della propria sicurezza e di sfoggiarla non dimenticando mai di esser empatici e saper ascoltare poiché soltanto così le esigenze del cliente, attore principale dell’intero sistema, possono esser soddisfatte.
Gli imprenditori per cui ho avuto modo di lavorare – ed in particolare il mio attuale capo, Raffaele Pagano – mi insegnano costantemente cosa significa dotarsi di una propria visione ed ampliarne la portata, le loro menti vulcaniche e ricche di carisma riuscirebbero a tirar fuori il meglio da chiunque.
Lavoro giorno dopo giorno affinché tutti questi modelli trovino spazio dentro di me.
Credi che l’approccio alla tua professione possa cambiare tra uomo e donna?
Nonostante abbia appena ventisei anni e sia all’inizio della mia carriera ho già potuto registrare una visibile differenza rispetto alle vesti indossate.
Nella scalata verso il successo la donna appare partire da un gradino in meno dovendo risalire la china dimostrando tutto sul campo e costantemente. Non che ci sia nulla di male a dimostrare le proprie capacità, però talvolta si percepisce la malizia nelle parole degli operatori. “E a chi sei figlia?” “Come mai hanno scelto te?” “Da quanto tempo conosci il tuo capo?” “Eppure sei così giovane!”. Sono tutte domande figlie di una realtà passata che lasciano ancora strascichi nel presente palesandosi come anacronistiche.
Ad ogni modo confido nel fatto che ogni lavoratore dotato di un proprio pensiero, una propria etica e delle proprie idee abbia tutte le possibilità di imporsi in questa realtà e di ricevere i riconoscimenti che merita.
Quali sono i punti di forza e di debolezza del sistema Italia nella tua professione?
Molti sono i punti di forza a sostegno della professione che svolgo, l’Italia è certamente uno dei paesi più importanti in termini di produzione vinicola e da alcuni anni si sta assestando anche su elevati standard qualitativi.
Sicuramente il podio è ancora dominato dalla Francia ma anche l’Italia sta cercando di collocarsi nelle più alte posizioni attraverso lo sfruttamento di vitigni autoctoni e delle varietà di uva che caratterizzano il nostro Paese, sfruttando le caratteristiche delle zone marine ed altresì quelle montane. L’Italia è un territorio unico e questo si riflette anche nella produzione dei vini nostrani.
Credo che questa sia la strada giusta e nutro grandi speranze per il futuro in tal senso.
In molte zone preserviamo – ad esempio – ancora il piede franco per alcuni vigneti ultracentenari ed è nostro compito tutelare ed implementare il patrimonio che la nostra terra ci mette a disposizione.
Al contempo è innegabile che vi siano anche numerose crepe nel sistema che andrebbero riempite, su tutte penso al grande divario che divide la posizione degli occupati dalle occupate.
Ad esempio, il lavoro di export manager spesso ti tiene lontano da casa impegnato in viaggi esteri ed inevitabilmente per le donne che sono o che progettano di diventare madri risulta difficoltoso allontanarsi ed è questa una delle ragioni per cui i grandi sales o export manager sono spesso uomini a cospetto di un numero minore di donne.
Ulteriore punto a sfavore, di cui risente particolarmente la mia Campania, è che non siamo ancora abbastanza capaci di sensibilizzare e sponsorizzare il nostro settore ai giovani chiamati a scegliere le strade universitarie da intraprendere.
Numerose sono le ricadute di questa mancanza, ad esempio capita che le realtà aziendali operanti sul nostro territorio, spesso condotte a gestione familiare, decidano di non affidare le vendite ad un reparto manageriale sia per scelte strategiche, ma soprattutto per insufficienza di profili professionali adeguati.
Sarebbe pertanto giusto iniziare ad orientare sin da subito le nuove menti verso questi orizzonti, così da formare nuovi profili altamente competenti da poter poi impiegare.
Credo che se si ripartisse da questi vulnus oltre ad esser restituito appeal alle classi manageriali, ne risentirebbero tutti i territori anche in termini sociali ed economici: turismo e cultura enogastronomica spesso viaggiano sullo stesso binario.
Come pensi la tua professione evolverà nei prossimi 20 anni?
Difficile fare un pronostico esatto, però ciò che mi auguro è che il mio ruolo vada ad assomigliare sempre di più a quello di un Brand Ambassador e che alle tecniche di vendita – pane quotidiano di un commerciale – si affianchino anche differenti concetti quali la conoscenza del territorio in cui si opera, l’eredità enologica e tutto ciò che c’è dietro il prodotto finale che si vuole vendere.
Credo che ci si debba muovere al fine di far evolvere il nostro ruolo che talvolta rischia di non esprimere al meglio la propria funzione. Alcune volte noi commerciali rischiamo di sembrare superficiali limitandoci ad attuare tecniche e strategie che, seppur idonee a spingere le vendite, risultano non esser più funzionali in un mercato così competitivo ed in costante crescita come quello attuale.
Operiamo in un panorama in cui tutti i produttori stanno iniziando a fare grandi prodotti, lavorano in biologico, si attrezzano con nuove tecnologie sia in vigna sia in cantina e forse la chiave di volta per il manager del domani – ma anche per quello di oggi – sia credere realmente in ciò che si sta facendo, “vivendo” quanto più possibile l’azienda per la quale si lavora, incarnandone gli ideali e conoscendone la storia ed il metodo così da poterla raccontare ed alla fine ottenere anche maggiori risultati.
Spero inoltre che tutte le realtà aziendali si inizino a dotare di grandi reparti commerciali così da strutturare le imprese e renderle più solide ed efficaci e a instaurare rapporti dialettici tra produttori, venditori e consumatori.
L’ultimo auspicio, come anticipavo prima, è rivolto invece al comparto accademico che si occupa di formare le nuove leve del domani nella speranza che vengano allestite nuove strutture universitarie e potenziati i percorsi di laurea già esistenti.
Conosco molti giovani studenti che già negli anni del liceo stanno iniziando ad avvicinarsi a questo mondo e sarebbe bello che le loro passioni in erba fossero orientate verso percorsi ben strutturati ed innovativi simili alla mia cara Università di Pollenzo che ad oggi è una delle pochissime realtà accademiche che offre formazione nel settore agroalimentare e vitivinicolo.
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