di Pasquale Carlo
Nell’anno 2005, la rivista in lingua inglese ‘Vitis’ pubblicò uno studio che si occupava delle relazioni genetiche tra i principali vitigni storici coltivati in Campania. L’interessante lavoro vide impegnati Antonella Monaco e Adriana Forlani (del Dipartimento di arboricoltura, botanica e patologia vegetale della Facoltà di agraria dell’Università ‘Federico II’), insieme a Laura Costantini, José Vouillamoz e Maria Stella Grando (del Laboratorio di genetica molecolare dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige). Tra le conclusioni, gli studiosi individuarono quattro vitigni – barbera del Sannio (la camaiola coltivata nella Valle Telesina), summariello, casavecchia e catalanesca – con profili nettamente separati da altre cultivar campane, tanto da far ipotizzare che si trattasse di vitigni di recente introduzione.
I risultati di questo studio confermano ancora una volta l’introduzione della catalanesca in Campania in tempi moderni, dando ulteriore forza alla sua provenienza spagnola, introdotta sulle falde del Vesuvio nella prima metà del Quattrocento dal re Alfonso d’Aragona detto “il magnanimo”. Le narrazioni vogliono che la storia di quest’uva fosse legata al nome di Lucrezia d’Alagno, figlia di Nicola, primo feudatario del Casale di ‘Torre dell’Annunciata’ (l’odierna Torre Annunziata), nota alla storia per essere stata la favorita del re di Napoli, che le fece dono di quest’uva proveniente dalla Catalogna.
Il caso vuole che in quello stesso 2005, questo vitigno venne iscritto nel Registro nazionale delle uve da vino, cambiando il destino di un’uva che, fino ad allora, era considerata solo come frutto da consumare fresco. Tra le “uve mangerecce” la inserisce il botanico partenopeo Guglielmo Gasparrini nel suo lavoro ‘Osservazioni su le viti e le vigne del distretto di Napoli’ (1844), che la cita tra le uve buone per la tavola insieme a: «Uva del Vasto, Sanginella nera e bianca, Inzolia, Uva rosa, Uva pruna, Falanchina, Marrocca, Zuccherina, Cannamele, Persana, Salamanna, Moscadella, Barletta».
La fortuna di questa varietà la fece soprattutto il propagarsi della peronospora, tanto che qualche anno dopo sempre il Gasparrini (1852), in una relazione indirizzata alla Reale Accademia della Scienza di Napoli in cui rendicontava il propagarsi della malattia, scriveva: «Le uve bianche con fiocina tenace hanno meno sofferto, come la catalanesca, la corniola ed altre, in cui la muffa si è manifestata ordinariamente in un sol lao dell’acino». Caratteristica che viene confermata anche da una fonte che arriva da un luogo distante dall’area vesuviana, dal Comizio agrario di Campagna (in provincia di Salerno). Nel ‘Bollettino di Notizie agrarie’ stampato nel 1881 dal Ministero di agricoltura, industria e commercio, si legge: «Una vite sita in terreno calcareo-argilloso e che forma parte di un pergolato alto metri 3,50 dal suolo, è stato invaso dalla crittogama; le foglie furono spedite al laboratorio crittogamico di Pavia, e fu constata la presenza del parassita; mentre poi un’altra varietà d’uva detta catalanesca, la quale viene da innesto, è rimasta immune sebbene attigua».
Per la sua resistenza alla peronospora, la catalanesca si diffuse particolarmente nella seconda metà dell’Ottocento in tutto il territorio vesuviano nelle vigne dislocate tra i 150 e i 500 metri di altitudine. La diffusione fu favorita soprattutto sul versante del Monte Somma, nella fascia che va da Ottaviano a Sant’Anastasia, passando per Somma Vesuviana. In questa area ristretta del territorio vesuviano questa varietà non mancava mai tra le uve che venivano lavorate negli imponenti cellai delle masserie, dove ancora oggi si possono ammirare immensi torchi di origine seicentesca.
La nuova era di questo vitigno è partita alla metà del Duemila, quando la catalanesca è stata inserita in uno studio mirato alla salvaguardia dei vitigni autoctoni. Per molti decenni, infatti, l’uva era stata catalogata dai registri ampelografici come uva da tavola e pertanto non era consentito vinificarla e commercializzarla come uva da vino, nonostante da sempre i contadini locali, consci delle sue qualità, avessero in uso di trasformarla in vino. Nel 2006 quest’uva è stata inserita nella classificazione delle varietà di vite da vino coltivabili nella Regione Campania (decreto dirigenziale n. 377 adottato l’11 ottobre, lo stesso che riconobbe le uve Pallagrello bianco e Pallagrello nero). Cinque anni dopo, il Comitato Nazionale Vini ha espresso il parere positivo per il riconoscimento della Indicazione Geografica Territoriale ‘Catalanesca del Monte Somma’, prodotta nelle tipologie Bianco e Passito.
Sulle falde del Vesuvio la superficie vitata sfiora i 400 ettari, ma la vigna caratterizza non poco i paesaggi di tutti i comuni che sorgono all’ombra del vulcano più famoso al mondo. Viene coltivata in modo prevalente nei comuni di Terzigno (circa 90 ettari di superficie vitata), Boscotrecase (circa 85 ettari) e Trecase (circa 70 ettari). Sono circa 30, invece, gli ettari vitati a uva Calatalesca, la cui zona di produzione è ubicata nel territorio che va da Terzigno a San Sebastiano al Vesuvio, con le viti della varietà concentrate in particolar modo nei territori di Sant’Anastasia, Pollena Trocchia e Somma Vesuviana.
La raccolta avviene generalmente agli inizi di ottobre. Le uve catalanesca, nelle annate segnate da clima favorevole riescono a maturare sulla pianta fino a dicembre inoltrato, motivo per cui nel passato erano considerate uva da consumo a tavola di gran pregio: un tempo vi era la consuetudine di lasciare sulla pianta i grappoli più belli, eliminando via via gli acini guasti, così da favorirne il mantenimento fino al periodo natalizio.
L’uva si presenta dal grappolo rado, con acini rotondeggianti, dalla buccia dorata, spessa e croccante. La polpa è dolce e carnosa. Il vino che si ottiene si presenta di color giallo paglierino abbastanza carico, luminoso con una bella vivacità, consistente. All’olfatto sprigiona sentori floreali quali la ginestra, acacia, magnolia e, in fase più evoluta, note di idrocarburi e note fruttate di albicocca. Morbido, di piacevole freschezza, dal finale sapido e persistente.
Nell’area citata sopra operano le aziende che producono etichette Catalanesca e che abbiamo avuto modo di degustare recentemente grazie ad un incontro del Consorzio Tutela Vini Vesuvio, presieduto da Ciro Giordano. A Pollena Trocchia troviamo MontesommaVesuvio (con le etichette Catalanesca del Monte Somma Igp Català e il passito Catalanesca del Monte Somma Igp Torre Merlata). A Somma Vesuviana operano Tenuta Augustea (che produce l’etichetta Catalanesca del Monte Somma Igp Catalunae), l’azienda La Cantina del Vulcano (che produce l’etichetta Catalanesca del Monte Somma Igp Carlina), Cantina Tizzano (con l’etichetta Catalanesca del Monte Somma Igp) e Tenuta Olivella (da cui escono i vini Catalanesca del Monte Somma Igp Katà e Catalanesca del Monte Somma Igp Summa).
La Cantina del Vulcano – Catalanesca del Monte Somma Igp 2020
Bell’intensità e luminosità del giallo paglia alla vista. Il naso è territoriale, tipico, sprigionando sentori di frutta gialla e piacevoli note floreali che ricordano molto l’acacia. In bocca c’è bel brio e una piacevole spinta acida. Lungo. @@@@1/2
Tenuta Augustea Nocerino Vini – Catalanesca del Monte Somma Igp Cataluna 2020
Il giallo paglierino alla vista sembra preannunciarci un vino dal profilo leggermente più esile. Ma subito emerge che non si tratta di un vino semplice, con incursioni di sbuffi minerali. Corrispondenza piena al gusto, con la beva che si sprigiona soprattutto verticalità. @@@@
Cantina Tizzano – Catalanesca del Monte Somma Igp 2020
Giallo paglierino carico. Impianto olfattivo marcato dal floreale bianco schietto e immediato. In bocca, dopo l’ingresso ampio, sembra perdere dinamicità nel mezzo della beva, ma la ripresa è repentina con un allungo interessante, che chiude con spunti sapidi di bella consistenza.@@@1/2
Cantina Olivella – Catalansca del Monte Somma Igp Katà 2020
Nel calice brilla il giallo paglierino. L’impatto al naso parla di frutta bianca e gialla, sentori floreali di ginestra, acacia, magnolia Al gusto risulta morbido, abbastanza fresco e sapido, particolarmente persistente. Espressivo e territoriale.@@@@@
MonteSommaVesuvio – Catalanesca del Monte Somma Igp Català 2020
Alla vista si discosta poco dal precedente. Al naso emerge subito il suo volto fresco, con sentori minerali e il piacevole floreale bianco. In bocca il frutto viaggia a braccetto con la freschezza e una bella spinta sapida, lasciando avvertire in chiusura un interessante profilo tannico. @@@1/2
Cantina Olivella – Catalanesca del Monte Somma Igp Summa 2017
Alla vista il giallo si fa più carico. Nonostante la lavorazione e gli anni questo calice è quello che al naso racconta in maniera più marcata la vulcanicità del suolo in cui si produce l’uva. In bocca c’è ancora tanto frutto anche se la spinta di freschezza perde una considerevole parte della sua forza. @@@1/2
MonteSommaVesuvio – Catalanesca del Monte Somma Igp Passito Torre Merlata 2019
Bello il giallo dorato carico che vira verso l’arancio. Al naso esplodono i frutti secchi, in primis albicocca e fichi ma anche piccole avvisaglie di erbe aromatiche secche. In bocca al primo impatto sembra che il dolce aggredisca ma quasi immediatamente arriva la piacevole spinta di freschezza acida. Un dolce mai stucchevole. Di gran piacevolezza. @@@@@
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