Il metodo classico sull’Etna

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Bollicine

di Francesco Raguni

Che il territorio dell’Etna, dal punto di vista vitivinicolo, fosse un mondo in totale ascesa è notizia già ben nota: basti pensare a quanti Etna Rosso o Bianco DOC si trovano nelle carte di tantissimi ristoranti di alto livello al di fuori della Sicilia e anche dell’Italia. Una zona in costante evoluzione che è stata capace di attirare a sé tantissimi viticoltori ed enologi, con le singole contrade che – ad oggi – stanno assumendo un’identità sempre più forte. Non a caso, i produttori si stanno orientando anche verso l’introduzione di una DOCG (in Sicilia sarebbe la seconda, dopo il Cerasuolo di Vittoria). Tuttavia, il mondo vitivinicolo sull’Etna non si è arenato soltanto sui vini fermi, anzi, sono diversi i metodi classici che possono trovarsi nelle varie cantine.

IL CARRICANTE – Annualmente questi vini sono “celebrati” a Spumanti dell’Etna, un evento che si tiene i primi giorni di dicembre al centro della città di Catania, in cui produttori – e ristoratori – si incontrano all’insegna delle bollicine tipiche del vulcano. Le uve più impiegate sono senza dubbio il Nerello Mascalese (vitigno a bacca scura principe dei rossi etnei), che viene vinificato o in bianco o in rosé, oppure il Carricante (vitigno a bacca bianca dal potenziale enorme, soprattutto dal punto di vista dell’invecchiamento, basti pensare ai grandi bianchi di Milo).
A proposito di Carricante, uno dei prodotti più autentici del Vulcano – come lo chiamano gli autoctoni – è certamente Noblesse, il metodo classico Brut, che sta 48 mesi sui lieviti, firmato Benanti. Un vino spumante tanto ricco al naso, con intensi sentori di pasticceria, agrumi e fiori di zagara, quanto alla bocca, con la sua freschezza spiccata e una intensa persistenza aromatica. I vigneti dove viene prodotto si trovano a Sud e ad Est dell’Etna, zone dove i suoli sono tipicamente sabbiosi, vulcanici e ricchi di minerali.

Altro vino spumante presente ottenuto da Carricante era quello di un’altra cantina il cui blasone è conosciuto anche oltre Stretto, Planeta. Ottenuto da uve coltivate a più di 800 metri altezza sulle sabbie vulcaniche dell’Etna, riposa 20 mesi sui lieviti; ha un intenso naso floreale dove spiccano i fiori bianchi, come la zagara, e gli agrumi. Dalle note minerali e dal corpo ricco, regala una beva elegante, che chiama un sorso dopo l’altro.

IL NERELLO MASCALSE – Restando sul fronte dei Brut, ma cambiando tipologia di uve, troviamo il metodo classico della cantina Cottanera: vino spumante – realizzato vinificando in bianco uve – di Nerello Mascalese. Qui ci troviamo a Castiglione di Sicilia, su terreni di natura lavico – alluvionali. Restando oltre 40 mesi sui lieviti, regala un naso molto ricco con sentori di fiori bianchi, spezie dolci e sentori di burro e crosta di pane, alla bocca si presente più timido.

Andando oltre, diminuendo il residuo zuccherino, troviamo Re Befè, l’Extra Brut di Al – Cantara, una delle cantine che quest’anno è uscita trionfante al Vinitaly. Anche questo si tratta di un metodo classico ottenuto da uve di nerello mascalese coltivate sul versante settentrionale dell’Etna. Questo vino prende il nome – come da tradizione della cantina Al – Cantara – da una tipica filastrocca siciliana. I 36 mesi sui lieviti, al naso, si sentono tutti; in bocca è tutt’altro che aggressivo, regalando una piacevole freschezza.

Passando dall’Extra Brut al Pas Dose giungiamo alla proposta vitivinicola di Saxanigra. Il nerello mascalese è ancora una volta il vitigno d’elezione per i metodi classici dell’Etna, grazie anche al suo potenziale d’invecchiamento. Ci troviamo davanti ad un millesimato molto elegante: dal colore giallo paglierino, al naso offre sia le note tipiche di un metodo classico, quali burro e crosta di pane, sia importanti sentori di agrumi, come il cedro, ed erbe officinali. In bocca è deciso, fresco e sapido.

GLI ABBINAMENTI – In primis i crudi: non a caso le proposte gastronomiche di accompagnamento vedevano come protagonisti o dei battuti di manzo (come quello presentato da Uzeda Bistrot, che affiancava alla carne un beurre blanc “vestito di verde”) o dei crudi di pesce, gambero di nassa e gambero rosso tra tutti. Interessante anche l’abbinamento con la frittura, come quello realizzato da Scirocco con la sua personale interpretazione della sarda a beccafico, piatto tipico della cucina siciliana, con una panatura croccante, un cuore morbido e alla fine l’aceto a pulire il palato, ancor prima delle bollicine.

Spazio anche ai primi, con delle paste dalle ricche parti grasse, come un tortello ripieno di patate e tartufo o ancora all’aglio, olio e peperoncino (quest’ultima era la proposta del ristorante KM0). Del resto, è proprio questa la funzione di una bollicina vivace e dalle durezze spiccate, ma piacevoli: sgrassare il palato senza farsi sovrastare.

Da tempo diamo centralità alla produzione degli spumanti etnei, approfondendo prima di tutto la storia e le caratteristiche tecniche di queste produzioni uniche al mondo – ha dichiarato Francesco Chittari, Presidente dell’Associazione Spumanti dell’Etna – L’obiettivo è anche dare il giusto merito ai precursori che hanno iniziato a sperimentare e spumantizzare sull’Etna, come Padre Francesco Tornabene, che possiamo definire il Dom Pérignon siciliano, un monaco benedettino a cui il mondo agricolo ed enologico devono tantissimo per le sue ricerche, oltre ad aver creato tra l’altro il primo spumante etneo, nella storica cantina situata all’interno del complesso del Monastero dei Benedettini, la prima di Catania.”

Insomma, l’Etna si conferma sempre di più un territorio d’elezione del vino, che può puntare in alto non solo con i suoi vini fermi, ma anche con i metodi classici.

 


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