di Lisena Tancredi
Viveva in un campagna, tra dolci colline e pascoli verdeggianti, un formaggio, di forma ed aspetto regale, dell’antico casato di Carmasciano, dal sapore unico che da secoli primeggiava su tavole stracolme di ogni ben di Dio.
Un bel giorno, stanco di essere accoppiato a questa o a quella pietanza, decise di partire alla ricerca della sua sposa.
Iniziò così a rotolare percorrendo strade e tratturi, greti e ruscelli, borghi e casati.
Bussò per primo al portone di un imponente castello, ancora abitato da un nobile signore che trascorreva la maggior parte del suo tempo rimpiangendo i fasti di un periodo in cui un illustre lignaggio concedeva il diritto di essere prepotenti ed arrogante, senza necessità di dar conto alla giustizia terrena.
Il formaggio arrivò nella grossa cucina dove trovò un vecchio cuoco a cui confidò la sua volontà di unirsi in matrimonio, chiedendo se potesse esaudire il desiderio presentatogli qualche pietanza giovane e di bella presenza.
Memore del detto non far sapere al contadino quanto è buono il formaggio con le pere, al cuoco altro non venne in mente che portare al cospetto del formaggio una pera formosa e gustosa, sbucciatola la presentò su di un piatto dorato.
Il formaggio la guardò attentamente, la toccò ripetutamente e decise che non era la compagna ideale, la trovava insipida e melliflua come servili cortigiane.
Salutò con cortesia il deluso cuoco e si rimise in cammino.
Dopo qualche giorno arrivò in un borgo e la sua attenzione fu attirata da un fornaio che si accingeva ad infornare gustose focacce strapiene di ogni tipo di formaggio.
Si avvicinò con circospezione al forno quando d’improvviso si sentì chiamare da una procace focaccia: “bel pezzo di formaggio perché non ti unisce a me per l’infornata in una unione focosa ed indissolubile?”.
Il cacio, sul momento, fu quasi tentato di accettare la provocante proposta, poi nel vedere i facili costumi della focaccia che si accoppiava, indifferentemente ed anche troppo facilmente, con provoloni e caciocavallo, scamorze e sottilette, stracchino e perfino gorgonzola, a volte anche in un abbraccio promiscuo, fuggì via alla ricerca di una compagna più morigerata, non potendo compromettere le sue origini rigidamente ovine.
Un grosso paese fu la sua terza tappa.
Entrò in un palazzotto di un ricco commerciante dove venne accolto con gli onori del suo rango.
Nella moderna cucina vi era solo l’imbarazzo della scelta, come in un postribolo rinascimentale: fette biscottate, grissini, biscotti di ogni tipo, pancarré, baghette, tutti in attesa di un compagno con il quale presentarsi alla tavola del godurioso padrone.
Lo chef, nel vederlo, gli chiese ragione della inaspettata visita ed avutane cognizione, gli consigliò, con fare distinto e professionale, di provare ad accoppiarsi con un cucchiaio di miele, seguendo la moda della nouvelle coucine.
Al rustico formaggio la proposta apparve alquanto strana, ma volle lo stesso conoscere la sconosciuta pretendente.
In un piatto dalla forma inusuale, lo chef fece colare delicatamente quella sostanza dal colore aureo, dal profumo bucolico e dal sapore eccentrico.
Il formaggio si avvicinò e la toccò, scosse il capo con certezza, troppo effeminato ed appiccicoso era il miele per un tipo maschio e tosto come lui.
Salutò anche questa volta con grazia austera ed andò via.
Rotolando, rotolando arrivò fino alla casa di un contadino che, stanco dopo una dura giornata di lavoro, si accingeva a sedersi alla parca tavola per un frugale pasto.
Quando da un sacco di iuta arrivarono alle sue orecchie delle flebili vocine: “perché non ti fermi con noi per accontentare il nostro umile padrone?”.
Nel guadarsi intorno vedi delle fave appena raccolte che, con la loro cantilena semplice e gentile, lo inducevano in tentazione, e molto ancora non ci voleva per fargli accettare l’allattante offerta.
Quando però gli venne in mente che le fave restano così tenere solo per pochi giorni, diventando poi dure ed immangiabili se non cotte, il timore di restare vedevo per la maggior parte dell’anno, in attesa dell’arrivo della primavera, lo fece scappare via di corsa per paura di non poter resistere, come Ulisse, al dolce richiamo delle sirene.
Stanco ormai di girovagare, il formaggio, sconsolato, fece ritorno alla masseria Forgione.
Arrivò della sua dimora proprio quando la padrona stava sfornando il pane dal forno ed una panella, calda a croccante, gli chiese il perché della sua faccia triste.
Il formaggio raccontò per intero le sue avventure e la sua delusione per non essere riuscito a trovare la compagna ideale.
La casereccia panella, ancora sporca di cenere, non aspettava altro.
Si avvicinò con fare provocatorio al formaggio, gli fece odorare la sua fragranza, gli fece sentire il suo calore, lo accarezzò e gli disse: “Hai rincorso l’arcobaleno, quando i colori della tua vita si trovavano vicino a te.
E fu allora che il re formaggio capì che il pane era il vero compagno della sua vita, perché non lo avrebbe mai tradito, né avrebbe mai attentato alla fierezza del suo nobile ed austero sapore, esaltandone il gusto e la mascolinità.
Ed alla presenza di un corposo bicchiere di vino rosso, chiamato come testimone, il pane ed il formaggio si unirono in matrimonio e vissero felici e contenti per il resto dei …. nostri giorni.
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