di Bruno Macrì
Forio d’Ischia, giovedì 7 ottobre 2010
Appuntamento alle 18,30 al porto di Forio. Li ad attendermi i fratelli Antonio e Filippo Di Costanzo di Casamicciola. Il primo polivalente cassiere dei Giardini Poseidon, appassionato di eno-gastronomia, vignaiolo, cacciatore, cercatore di funghi, pescatore e raffinato gourmand e gourmet. Il secondo, il più grande dei fratelli è un microtassista, anch’egli appassionato di caccia e pesca, possiede una tradizionale “motoretta”, ovvero un tre ruote Ape riadattato con gusto a taxi. La serata è bellissima. Saliamo sul piccolo gozzo sorrentino, sei metri di legno ben tenuti. Aspettiamo l’arrivo di Giorgio, che smessi definitivamente i panni di bidello in una scuola foriana, si è dedicato completamente alla pesca, passione mai abbandonata. Col suo gozzo cabinato ci affiancherà e ci farà da guida conducendoci sulla rotta dei totani.
Nel frattempo, Antonio e Filippo “annescano” le totanare. Ognuno avrà la sua totanara e ognuno monterà sulla propria un’esca diversa, in modo da proporre ai totani una variegata offerta gastronomica.
La totanara ha un fusto in acciaio che reca ad un estremo un ciuffo di ami che serve per uncinare il cefalopode, dall’altra una fonte luminosa intermittente che serve per attrarlo. La totanara è legata ad un filo di nylon lungo almeno 100 metri. Attorno al fusto viene avvolta l’esca: la prima totanara viene “annescata” con fette di pancetta, la seconda con una sarda sottosale, entrambe assicurate al fusto con sottile filo di cotone, operazione che viene eseguita a quattro mani. La terza totanara attende, invece, un’esca speciale, appena portata dal buon Giorgio. È una “perchia” (sciarrano) sottosale, ed è la prima volta che ne sento parlare. L’esperto pescatore sostiene che la “perchia” sottosale è la migliore esca che esiste. Approntiamo anche la terza “totanara”. È il momento di mollare gli ormeggi e partire.
Seguiamo Giorgio e, mentre ci allontaniamo dal porto di Forio, la cittadina illuminata dall’ultimo sospiro del sole prima di tuffarsi in mare appare in tutta la sua poetica bellezza: la luce vermiglia ne evidenzia il profilo delle torri, delle guglie e delle cupole, in un magico mix mediterraneo. Dopo un po’ superiamo la Punta Imperatore, al largo della Scannella, Giorgio fa segno di calare le lenze. A me viene assegnata, per dovere di ospitalità, la lenza con la “perchia”, a Filippo quella con la sarda, ad Antonio quella con la pancetta. Antonio si sistema a poppa, io al centro della barca, Filippo sulla parte prodiera, ben distanziati per evitare di “imbrogliare” le lenze e fare con esse il classico “pallone”. Srotoliamo le nostre lenze fino a raggiungere il fondo marino, la lenza si arresta dopo una sessantina di metri. Una volta arrivata sul fondo la lenza viene issata lentamente verso la superficie dando, di tanto in tanto, degli strattoni leggeri alla stessa. Questa operazione viene ripetuta più volte e, per almeno due ore, senza successo alcuno. Siamo senza ancora e quindi in balia della corrente che ci sposta continuamente dal punto iniziale cambiando anche la profondità del fondale. La corrente ci allontana anche da Giorgio, che riusciamo a stento ad intravedere grazie alla lampada accesa alla poppa del suo gozzo. Ad un tratto i gesti che accompagnano la risalita della lenza di Filippo, si intensificano, sulla barca nessuno parla, il silenzio è interrotto solo dal fruscio della lenza che scorre veloce tra le sue mani. Le ultime bracciate sono accompagnate da una frenesia collettiva, ognuno pronto ad esultare. Ecco il momento: Filippo issa a bordo uno splendido esemplare di totano. Appena issato a bordo, l’animale emette un fischio accompagnato da un copioso spruzzo di acqua, che per noi equivale ad un gioioso saluto, ma per il cefalopode è presumibilmente un estremo urlo di dolore per il definitivo addio al suo habitat naturale.
Il colore del totano appena uscito dal mare è di un fantastico rosso mattone, i suoi robusti tentacoli muovendosi vorticosamente disegnano nell’aria volute che somigliano a fuochi pirotecnici. Colgo l’occasione per confessare che è la prima volta nella mia vita che esco a totani e che non avevo mai visto uno spettacolo simile. Riposto il totano nella cassetta in polistirolo, caliamo nuovamente le lenze. Si prosegue nell’azione ripetuta di calata e discesa delle lenze, poi, dopo circa un’ora, l’azione di Antonio si infittisce, ricorda molto quella vittoriosa del fratello Filippo, per scaramanzia lo penso senza poterlo dire a voce alta. Ultimi sforzi et voilà, Antonio salpa a bordo un secondo totano che per grandezza somiglia tanto al primo e, come il suo predecessore, anche lui appena issato a bordo emette lo stesso fischio ed un fiotto di acqua che questa volta mi fa quasi una doccia. Questo totano è tanto combattivo che Antonio dice che è del tipo “tigre”. Anche il secondo finisce a fare compagnia al primo nella cassetta in polistirolo. A questo punto, manco all’appello soltanto io che, tra l’altro, sono in possesso dell’esca micidiale. Purtroppo, dopo altre innumerevoli calate e risalite, si è fatto tardi, inizia inoltre ad alzarsi un po’ di mare e bisogna ritornarsene in porto. Facendo rotta verso il porto passiamo a salutare Giorgio, al quale chiediamo quanti totani ha preso. Lui risponde tre o quattro, noi pensiamo molti di più. La verità non la sapremo mai. Lui non ci chiede nulla, rimane sulla sua barca a pescare, con la sigaretta perennemente stretta tra le labbra, immerso nel buio pesto della notte. D’altronde per lui il mare e le stelle sono l’unica compagnia: a casa non lo attende nessuno, la moglie gli è morta alcuni anni fa, i figli sono grandi e sposati. Arrivati in porto, ormeggiamo il nostro legno. Mi vengono consegnati i due totani a condizione di cucinarli l’indomani.
Domani sera tutti i partecipanti alla battuta di pesca sono invitati a casa mia. Mi è andata bene, saremo solo in tre.
Il menù per la serata è presto fatto, sarà tutto a base di totano con un fresco contorno. Due chili di mollusco saranno più che sufficienti per sfamare tre commensali e per offrire più proposte. Uno dei due totani finirà per essere imbottito, l’altro, come vedremo, lo sfrutteremo diversamente. Innanzitutto i totani vanno puliti. Si procede in questo modo: si stacca la testa con i tentacoli dalla sacca, che va svuotata degli organi interni, si estrae la “conchiglia cornea” (una lunga lisca trasparente a forma di lancia), dalla testa si eliminano gli occhi, si toglie la bocca che è una pallina carnosa con un becco pappagallesco. Quest’ultima viene tenuta da parte. Dalla testa taglio la gola, ovvero la parte del capo che sostiene i tentacoli. Con la lama di un coltello elimino le ventose dai tentacoli, che presentano piccoli dentini.
Lo preparo imbottito, a polpettine, con le patate, fritto e con la cicoria.
I vini
Abbiamo fatto omaggio alla cantina irpina Vinosia dei fratelli Ercolino (ex Feudi San Gregorio) aprendo con il morbidissimo bianco “Doceassaje” (fiano e greco) sulle proposte di benvenuto, proseguendo con un semplice quanto equilibrato rosato “Rosmunda” (aglianico) sul totano e, dulcis in fundo, uno straordinario “sauternes italiano”, il sontuoso “Dulcemente” (fiano passito) nel quale inzuppare degli ottimi tozzetti alle mandorle. Le scelte si sono dimostrate azzeccatissime, soprattutto se si considera il prezzo di acquisto: 12,00 euro (!) per il bianco, 8,00 euro (!) per il rosato e, udite-udite, 18,00 euro (bottiglia da 75 cl) per il passito. A dimostrazione che per bere bene non è necessario andare lontano e spendere cifre astronomiche.
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