di Fabio Cimmino
C’eravamo lasciati poco più di un anno fa dopo la storica verticale diFiano d’Avellino con la promessa da parte di Raffaele Troisi di regalarci la stessa incredibile esperienza con il suo Greco di Tufo. CI siamo ritrovati a Vadiaperti con i colleghi ed amici di sempre: Ugo Baldassarre di Tigullio Vino, la winewriter americana Carla Capalbo, Paolo De Cristofaro e Dario Cappelloni del Gambero Rosso, Giampaolo Gravina dell’Espresso, Maurizio Paolillo di Porthos e la presenza straordinaria dell’enologo Vincenzo Mercurio senza dimenticare i due mescitori di lusso nelle persone di Raffaele del Franco, responsabile del Consorzio di Tutela Vini Irpini, e Sabino Loffredo della cantina Pietracupa, vignaiolo nella stessa Montefredane. Mentre sul Fiano lo stato dell’arte ed il potenziale di invecchiamento sono più comunemente riconosciuti ed appurati anche attraverso degustazioni di altre etichette e produttori storici, nel caso del Greco c’era maggiore incertezza nonostante le caratteristiche dell’uva depongano in buona parte per una positiva evoluzione nel tempo. Se da un lato la freschezza e l’acidità elevate sono garanzie di longevità dall’altro la buccia molto sottile, il notevole rilascio di polifenoli possono, parimenti, alla lunga, creare problemi di ossidazioni precoci e scarsa pulizia. Il Greco, non è un luogo comune, può considerarsi un «rosso travestito da bianco»: per la naturale ricchezza di estratti (27-29 come e più di un Piedirosso per intenderci), dal punto di vista organolettico come ha dimostrato l’assaggio delle due annate più recenti 2004 e 2005 in cui si potevano avvertire nitidamente sentori di frutti rossi (il riferimento ad alcuni Piedirosso può ancora una volta ben rendere l’idea) ed, in ultimo, nella sua inaspettata inclinazione e versatilità d’abbinamento, per tradizione, destinato alle carni sia d’agnello che di maiale. Prima di passare all’analisi delle singole annate vorrei spendere qualche considerazione di carattere generale sui vini degustati. Innanzitutto i diversi millesimi hanno mostrato, chi più chi meno, un’ottima tenuta nel tempo grazie ad una trama ed una tessitura importante sotto tutti i punti di vista. La natura montanara del vitigno, indomabile e scorbutico, sembra riversarsi nella divaricazione sensibile tra sensazioni olfattive e gustative, quella che da più parti è stata avvertita come una sorta di insanabile scissione naso-bocca. Io, personalmente non mi sono trovato del tutto d’accordo, ed in linea con il mio sentire ho letto l’intervento di Maurizio Paolillo. «Il carattere e la personalità del Greco si impongono al di là della coerenza naso-bocca»: sono queste sue parole che mi trovano non solo in piena sintonia ma mi spingono ad aggiungere che il Greco trova in questa sua apparente contraddizione una giusta corrispondenza caratteriale. Tradotto con parole mie: le sensazioni forti di tipo minerale che emergono, col trascorrere del tempo, al naso si riflettono al palato in questa acidità scalpitante e scomposta, anche aggressiva, sottolineata da quelle che sono state, giustamente, definite "salinità estenuanti" (espressione rubata stavolta al bravo Giampaolo Gravina). Un altro punto sul quale vorrei soffermarmi è l’imprevedibilità di alcuni campioni per alcuni motivo di perplessità (soprattutto in termini di comunicazione verso un pubblico meno smaliziato) e per me nuovamente, e di contro, fonte di stimolo e curiosità. Su questo punto pur ritrovandomi ancora con le parole dell’amico Maurizio Paolillo quando afferma che «risultati molto differenti tra loro proprio in quanto tali riescono, allo stesso modo, a toccare sensibilità diverse», preferirei rimanere su un piano per quanto possibile, ovviamente, meno soggettivo. Al di là di ogni appunto personale, infatti, io ho ritrovato un chiaro filo conduttore in almeno 8 annate (1992-1996-1994-1990-1993-2002-1995-1999) su 12 degustate; considerando, poi, le due più recenti (2004-2005) simili nella loro diversità con tutte le altre, alla fine solo 2 hanno presentato un profilo effettivamente più spiazzante, peculiare ed originale (1989-2003).
Le annate sono state da me valutate da 1 a 5 stelle. I campioni sono stati degustati rigorosamente alla cieca ed in ordine sparso. Quest’ultima decisione che mi era parsa in un primo momento un limite, partendo dal presupposto vino più giovane=vino più acido, dunque, difficoltà nel valutare in sequenza vini con grande nerbo ed altri più evoluti, si è poi rivelata azzeccata (ed io smentito tanto per cambiare…) una volta scoperte le annate che sono risultate determinanti in questo senso con vini d’antan ancora dotati di generosa freschezza e taluni millesimi più recenti segnati da un andamento climatico meno felice.
2005 ***
Versatelo in un calice nero e portatelo al naso. Sono certo che esclamereste senza esitazioni: è un rosso!. Naso di frutti rossi, leggermente fermentativo. Mi ero quasi convinto che potesse trattarsi di un campione di vasca 2006.
2004 ***
Il gemello diverso del 2005. Note di frutta rossa: fragole con la panna tanto per rubare ancora un espressione questa volta, però, ad un vecchio amico di forum. Rispetto al 2005 il frutto rosso sembrerebbe più integro e maturo. Palato in scia.
2003 ****
Un altro naso incredibile per unicità di sensazioni. Inzia con il solito scoppiettio gioiso ed entusiasmante di idrocarburi. Fianesco più che Greco con quella nota di castagna affumicata così tipica di alcune etichette di fiano della zona. Peccato per la bocca che lo ridimensiona bruscamente a ricordarci e testimoniare il caldo dell’annata. La valutazione è tutta nel naso.
2002 ****
Naso molto chiuso ed elegante, non saprei dire se quasi questa delicatezza possa essere un segnale di debolezza. I dubbi svaniscono al palato dove sfodera il carattere da Greco e riaccende le luci su un’annata ingiustamente e precocemente archiviata.
1999 Riserva***1/2
Varietale e minerale. Quattro stelle mancate. Leggermente più maturo dal punto di vista espressivo sospeso a metà strada tra il frutto e la roccia.
1996 ****1/2
Questo è stato uno dei campioni che ha diviso la sala. Si è da qui cominciato a discutere della scissione naso-bocca. Io ho riscontrato al naso una certa chiusura, da bianco austero, e mineralità vulcanica. Un naso molto tipico varietale e territoriale. Al palato la spinta acida è impressionante, quasi astringente. Dove è il maiale…?!
1995 ****
Nuovamente tipico nella sua veste matura e minerale. Sapido al palato.
1994 ***
Decadente. Dario Cappelloni parla di "gloriosità della decadenza" come dargli torto. Evoluto anche al palato dove sembra aver perso il piglio acido ed appare un po’ stanco e seduto.
1993 ****
Idrocarburi e mineralità diffusa. Segnali di un evoluzione ben supportata questa volta anche dalla verve acida.
1992 *****
Quando inizi con un vino del genere c’è il rischio che tutto il resto sembri «meno». Mineralità pura al naso di idrocarburi e gesso (tipo uno champagne per capirci). Al palato avrà, forse, perso lo scatto da velocista (ed è questo l’unico segnale della sua età, dal colore e dal naso sarebbe impossibile arrivarci) ma continua a vibrare.
1990 ***1/2
Iniziale chiusura. Complessità intrigante di agrumi e buccia d’uva (un biodinamico ante-litteram). Ancora una volta evidenti segnali d’evoluzione sia al naso che al palato dove la sapidità in parte sopperisce al nerbo poco prestante.
1989 *****
Per un attimo non bisogna più pensare al Greco ed abbandonarsi al bicchiere. Il colore è molto evoluto. Il naso è viscerale: umori animali di valentiniana memoria si rincorrono suggestivamente nel calice e ritornano al palato nella loro selvaggia e ribelle natura.
A bocce scoperte, Raffaele ha portato una bottiglia di 1998 ancora una volta molto scontrosa ed un po’ verde con il suo carattere acido ed il finale leggermente amarognolo. L’ho bevuta con piacere su uno strepitoso capicollo che nel frattempo aveva fatto la sua comparsa in sala a riprova che certi vini nascono in un certo modo non per caso…
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