Fino a che i vini del Sud hanno avuto come unica prospettiva quella del consumo locale e l’arricchimento dei più magri del nord Italia in termini di patrimonio zuccherino e polifenolico, la sudditanza culturale della sua vitienologia gli ha impedito di camminare sulle sue gambe e di pensare in grande. Parole come qualità, pianificazione e progettualità erano assenti parzialmente giustificati dal suo vocabolario.
La passione del Sud per questo prodotto, storicamente radicata, era soffocata dal proporsi di uno schema nel quale, a tutto lo scandalo etanolo, la modesta esperienza nazionale nel vino di qualità, l’incapacità di finalizzare risorse economiche scarse e la allettante prospettiva di realizzo economico immediato ne spegnevano la fiamma.
Le due miniverticali proposte a Radici Wines Experience lunedi’ scorso, sullo sfondo di queste considerazioni, hanno puntato a dimostrare come alcune aziende siano già oggi testimoni agguerrite e competitive di una radicale inversione di tendenza, un cambiamento che con chiarezza restituisce bicchieri di gran carattere e in grado di rappresentare inconfutabilmente il territorio da cui provengono, aspetto, questo, che li pone al riparo dai rischi di un appiattimento del gusto e dell’offerta dettato dalla globalizzazione.
Sei campioni a confronto: tre annate di Taurasi Docg delle Cantine Lonardo di Taurasi (Avellino) e tre del Patriglione della cantina Cosimo Taurino di Guagnano (Lecce). Due esempi di come anche i vini del Sud possono invecchiare guadagnando in complessità e eleganza.
Le due aziende e le annate
Le Cantine Lonardo, nate nel 1998, con i loro 5 ettari e le loro 15000 bottiglie rappresentano una delle punte di eccellenza dell’areale di Taurasi. Di stile classico, diremmo, il loro Taurasi per il quale l’azienda ha scelto i tempi lunghi dell’elevazione in legni, anno per anno, via via più grandi e del lungo affinamento in vetro. I terreni sono in parte vulcanici, sciolti, e in parte argilloso calcarei, in leggera pendenza e ben esposti.
Vitigno poco prolifico e tardivo, l’Aglianico, re dei vitigni della Campania trova nel biotipo Taurasi una delle sue espressioni più felici. La raccolta in questo suo territorio d’elezione è fatta sempre, con oscillazioni, al massimo, di 7-10 giorni, intorno alla metà di novembre. Nell’ambito dei tre campioni, ha spiegato Sandro Lonardo, si è passati da una macerazione di 1 mese, a una di 2 mesi per arrivare a 3-4 mesi. I legni, parallelamente, sono passati da barrique di secondo passaggio, a tonneau e poi a legni più grandi di capienza non superiore ai 15 ettolitri.
L’azienda di Cosimo Taurino, oggi guidata dal figlio Francesco, nasce nel 1973 e intraprende un cammino originale sin dal principio grazie alla collaborazione dell’indimenticato Severino Garofalo che ha contribuito in maniera determinante a fare della azienda una delle ambasciatrici del vino salentino nel Mondo. I vigneti che danno vita al Patriglione hanno oggi 80 – 90 anni e, racconta l’enologo Massimo Tripaldi. Il Negroamaro impegna circa l’80% dei vigneti Taurino che sono allevati a spalliera ma anche ad alberello nelle zone più vocate e antiche come in questo caso. La vendemmia del Patriglione è tardiva, il vino fermenta in cemento. Fa un contatto con le bucce di circa 15 giorni e poi barrique per 14 mesi.
Le tre annate (1999, 2000, 2001) raccontate da Luciano Pignataro e Franco Ziliani che hanno condotto la degustazione a quattro voci con i produttori e i loro enologi, rivelano da subito la sostanza del progetto che le due aziende esprimono e una sorprendente capacità di “vederci lungo”. Mostrando, infatti, una decisa scelta stilistica, precorrono, del tutto inconsapevolmente, tendenze che solo di recente si sono tutto espresse: quella a non cercare il vino concentrato, muscoloso a tutti i costi, o il vino da meditazione che non ha una naturale collocazione a tavola. Vini che vanno oltre le mode, ma che le precorrono inconsapevolmente, perché rappresentano il convincimento intimo di chi le ha create.
Sebbene abbiano materia da vendere, l’Aglianico biotipo Taurasi e il Negroamaro, i campioni, mostrano, accanto a una grande vivacità di colore – appena tendente al granato nel caso del Patriglione, una trama poco fitta, una foggia seducente e una bevibilità che, accompagnata da una struttura importante, si sposa perfettamente con la cucina saporita dei territori dai quali provengono. Penso al maiale irpino e ai piatti a base di carne di cavallo cari alla tradizione pugliese.
Le miniverticali: appunti di degustazione
1999 @@@@
Una annata equilibrata dal punto di vista dell’andamento climatico, nella quale le uve alla raccolta si sono presentate di ottima integrità. Nel bicchiere finisce iscritta negli annali da alcuni anni come la migliore del secolo scorso.
Si palesa subito con un profilo olfattivo dimesso, ma estremamente fine, nel quale i riconoscimenti vengono fuori a poco a poco svelando la ampiezza di questo bicchiere. Sulle prime emerge un tratto floreale, di rosa e lillà, molto discreto. Poi si aggiungono quelle di composta di frutta (ribes rosso), di cenere e pellame, le quali si alternano da protagoniste con quelle di spezie dolci che costituiscono lo sfondo. In bocca, il vino esprime una ammirevole coerenza con il naso e un carattere “a schiena diritta”, senza mediazioni. E’ vibrante nella sua acidità e i suoi tannini levigati.
2000 @@@+
Un’annata calda, la prima di una serie di questa porzione del XXI secolo. Infatti si è vinificato ai primi di novembre. Questo millesimo segna il cambio di passo della azienda rispetto alla allungamento dei tempi di permanenza sulle bucce – 3 mesi, con svinatura che è arrivata a febbraio – e al passaggio ai tonneau. Al naso è decisamente più fruttato, con una nota di ciliegia in confettura. Esplorandolo è più aperto si dall’inizio e meno austero del precedente presagendo una bocca che si aspetta più matura. Ma ancora una volta sorprende, all’assaggio, con la sua acidità che ne sostiene la beva pur senza avere l’allungo finale del millesimo 1999. I tannini sono appena appena più ruvidi, ma sono anche più nitide le note in retrolfatto di fiori e sottobosco.
2001 @@@@
Annata decisamente difficile. Sandro Lonardo racconta che a metà aprile una nevicata improvvisa rovinò il vigneto che recuperò inaspettatamente tirando fuori dei nuovi germogli. I grappoli alla raccolta risultarono più piccoli (60 grammi l’uno contro i 200 grammi usuali) e gli acini, con una buccia più spessa.
Se la gioca con l’autorevole 1999, questo millesimo, a mio avviso. Pur essendo molto diverso. C’è più materia, lo si vede anche dal colore che, rispetto ai precedenti, è appena più denso. Risulta essere, al naso, profondo, caratterizzato, su uno sfondo di spezie dolci (liquirizia dolce), da delle note vegetali, cotte, e da alcuni accenni ematici. In bocca, ancora una volta sorprende. Decisamente in bocca convince, con il suo carattere equilibrato, per una acidità forse meno esasperata e una maggiore pienezza. Piacevoli ritorni pepati per questo bicchiere che esprime una gradevole sapidità finale.
1999 @@@++
Tre annate diverse, a partire da questa: equilibrata la 1999, calda la 2000, e intermedia la 2001. Il Patriglione ha un 90-95% di Negroamaro e un 10-5 % di Malvasia Nera.
Nel bicchiere, al naso, la 1999 e la 2000 hanno molti tratti in comune.
In effetti il tratto di fondo “nero” del Negroamaro è una costante dei tre bicchieri che, però, in bocca mostrano le loro diversità.
Questo bicchiere è caratterizzato, al naso, da un tratto gentile, di note surmature. Tra cui quelle di marasca e rosa appassita (gialla). Emergono, poi, quelle di cioccolato nero. In bocca, invece, è decisamente secco. Questo millesimo, in particolare, mette in evidenza al suo ingresso, subito, la sapidità che si dimostrerà essere il tratto distintivo dei tre campioni. Impegna la bocca regalando note ematiche e una piacevole acidità che sospinge la beva. Finisce con un lieve ricordo amaro, di erbe mediterranee.
2000 @@@@ –
Questo bicchiere evidenzia subito un netto colore granato vivido, più marcato degli altri due. Il naso, alla nota nera di cui si diceva, con maggiore intensità, propone ancora la frutta polposa e matura che prende forma di ciliegia sottospirito e si alterna ancora una volta a una nota di cioccolato. Ma c’è anche del floreale (peonia, iris). Al gusto, l’ingresso è meno ostico, la sapidità si palesa solo in seconda battuta, pur essendo molto ben presente. Nell’insieme al gusto questo millesimo è più suadente, con quale cenno di liquirizia dolce e con tannini che si mettono in mostra per la loro bella fattura. In chiusura si ripropone una nota mediterranea, di rosmarino.
2001 @@@@ +
Rispetto ai precedenti, questo millesimo ha una maggiore coerenza. C’è la frutta polposa, rossa, ma in evidenza, con delle note di spezie scure, ci sono le note “ferrose” che sono state la costante in bocca dei due precedenti. Non soffre, dunque, questo millesimo, all’assaggio, dell’effetto sorpresa (e forse smarrimento), tra un naso polposo, che tocca note emotive, e una bocca di gran piglio sapido. Acidità e sapidità compiono un bel colpo di reni finale, però, in questo bicchiere che mostra un bell’equilibrio e delle piacevoli note agrumate di chiusura.
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