di Antonio Gelormini
C’è un lembo di Puglia dove i sapori vivono un’esaltazione naturale grazie alla concentrazione – nella stessa area – di fattori tipici mediterranei, a cominciare dal sale ricavato attraverso processi di sedimentazione ed evaporazione dell’acqua di mare dalle vasche delle Saline più grandi d’Europa che a loro volta alimentano gli arenili adiacenti, incubatori di primizie d’eccellenza come la cipolla, la patata o la carota di Margherita di Savoia. Un tratto di costa pugliese dove l’azione dello iodio, combinata a quella del sole e del sale stesso, tempra le ossa e libera il respiro con un’azione benefica che non ha eguali in altri scorci del Bel Paese.
È in questo contesto che Radici Wines ha organizzato il secondo convegno sul vitigno autoctono del Nero di Troia. Ancora un’occasione, dopo quella di Andria dello scorso anno, per conoscere e approfondire le realtà territoriali che gravitano intorno alla storia e alle tradizioni del Nero di Troia e di apprezzare le più intime peculiarità di questo vino, per molti aspetti ancora controverso.
Competenze professionali a confronto nella città del sale, crocevia di contesti territoriali ad alto indice di vocazione enogastronomica. Ricercatori, enologi, addetti ai lavori, wine blogger, giornalisti di settore e produttori si sono raccontati esperienze e calarsi alla scoperta delle tipicità del vitigno, a discuterne le prospettive, e a tener conto dell’ambito economico, culturale e paesaggistico in cui si colloca.
Paolo Marrano, il Sindaco “Generale” di Margherita di Savoia, è lui stesso un produttore di Nero di Troia (Gelsonero e Gelso d’Oro – Podere 29), con i saluti istituzionali ha indicato “l’avvio di un percorso lungo, che possa valorizzare i prodotti locali come le Saline, i frutteti, i tesori degli arenili, la pesca.
Mentre per Nicola Campanile, artefice dell’iniziativa insieme a Luciano Pignataro, “Sono le caratteristiche dei vitigni, che sono caratteristiche dei territori, ad attrarre i frequentatori di Radici. Quelle del Nero di Troia sono più difficili da catalogare, individuare e promuovere”.
Ora, dato che il vitigno del Nero di Troia ha peculiarità inespresse, che i produttori hanno difficoltà a valorizzare e promuovere – ha sottolineato Campanile – questo convegno intende stimolare attenzioni e consapevolezze sulle sue potenzialità, nonché essere una sorta di brain-storming per riuscire a settorializzarne le azioni di intervento specifico.
Michele Savino e Luigi Tarricone, ricercatori CRA- UVT Cantine Sperimentali di Barletta, hanno messo in evidenza come il vitigno sia particolarmente sensibile, nella declinazione degli areali, all’intensità delle escursioni termiche. Nonché la valenza identitaria della sua elevata tanninicità. È Per cui, la sua capacità d’espressione è favorita dalla modulazione degli eccessi termici e habitat più favorevole al portinnesto sembra essere la tipologia di terreni ad alta gestione idrica. Si registra, inoltre, l’adattabilità del vitigno in una gamma di areali tutti predisposti.
Lo spirito organolettico standard o profilo antociano – hanno aggiunto i ricercatori – rileva tannino sulle bucce per oltre il 50% e dato l’utilizzo delle bucce per l’ottenimento del colore, inevitabile che ne risulti un’alta tanninicità. I polifenoli e i tannini sono particolarmente prevalenti nell’acino piccolo, dove la stessa acidità fissa non è elevata.
Altro aspetto affrontato dai ricercatori del CRA-UVT di Barletta è stato quello delle tecniche di vinificazione in rosso: dove colore e persistenza sono garantiti dai pigmenti più che dagli antociani
Pertanto, una macerazione finale a caldo, portando tutta la massa del vino fermentato a circa 40gradi, favorisce i processi di cambiamento desiderati: a partire dalla precipitazione dei tannini,
Le testimonianze degli enologi, produttori, ristoratori e giornalisti hanno evidenziato come l’approccio tecnicamente articolato degli analisti, venga sorprendentemente superato dal riscontro immediatamente positivo della tavola, dove il Nero di Troia incontra apprezzamenti spontanei. Addirittura negli accostamenti più arditi, che nell’esperienza del Ristorante di Avellino, spinge ad affermare con decisione che “La morte (esaltazione) del Nero di Troia è il baccalà”.
Per Cristoforo Pastore la ricchezza e varietà di tannini nelle bucce e meno nei semi, suggerisce macerazioni lunghe per vini eleganti. “Questo vitigno è la grossa chance della Puglia – ha affermato con entusiasmo – un vitigno certo difficile, ma paragonabile all’aglianico, per la sua riconoscibilità, il cui optimum è nell’acino medio-grande”. Per poi chiosare: “Nero di Troia e Aglianico sfoggiano un’aristocrazia sia al naso che al palato”.
Luigi Cantatore, nel ricordare il detto popolare: “Puoi avere il mio vitigno, ma non il mio terrigno”, ha messo l’accento sulla centralità dei terroir. Per poi raccomandare che “La consistenza coriacea delle bucce va rispettata. E che il cosiddetto ammorbidimento del Nero di Troia va lasciato alla lenta azione del tempo e dell’invecchiamento”. Con solennità ha infine posto il suo sigillo: “Il Nero di Troia è un gigante!”.
Peppino Palumbo di Tormaresca, impegnato nella ricerca di sopravviventi insediamenti storici, per intraprendere percorsi produttivi anche col nero di Troia, ribadisce la preziosità dei tannini “indispensabili per abbinarli col cibo del territorio”, ricorda che “acidità vuol dire longevità”, ma soprattutto che “Il vino attraversa il tempo ed ha storie da raccontare, da questo punto di vista il Nero di Troia ne ha molte”.
Antonella Millarte ha successivamente posto il problema della ricerca “di quell’emozione che il Nero di Troia ancora non provoca” e della conseguente necessaria azione di marketing tutta ancora da sviluppare, a partire dall’individuazione di un elemento comune di riconoscibilità per una promozione più efficace.
I produttori, infine, a partire dalle Cantine Biancardi, Antica Enotria o d’Alfonso del Sordo, nell’evidenziare lo stimolo del dato, presentato da Nicola Campanile, dei circa 2.300 ettari in Puglia coltivati a Nero di Troia, di cui solo 300 in Capitanata, hanno invitato a perseguire il confronto negli anni dello stesso vino, per accrescere la consapevolezza delle qualità crescenti col tempo, che fanno del Nero di Troia un vino “dallo sguardo alto”, che non dialoga coi Bordeuax, bensì con i blasoni ben più illustri di Borgogna.
Acquisire la consapevolezza del patrimonio in possesso, esserne orgogliosi ed avere più coraggio nel promuoverlo e valorizzarlo. Rispettarne le peculiarità e farne elementi d’identità di forza. Provocatorio l’interrogativo se nessuno si è mai sognato di proporre d’ammorbidire anzitempo il Barolo. Ci sarà pure una ragione, se negli interventi si sono ripetuti i riferimenti al “gigante”, al “futuro e chance per la Puglia,”, se persino Gaja, sceso in Puglia per promuovere i suoi vini – in un incontro a Borgo Egnatia – mette l’accento e indica di puntare su Aglianico e Nero di Troia.
L’invito-esortazione a tutte le etichette di Nero di Troia è di riconoscersi nella suggestione di un elemento storico-simbolico unico: il Rosone della Cattedrale di Troia, adottandolo e riportandolo sulle loro bottiglie nella fantasia delle rispettive declinazioni Anche perché il nome di DOC Tavoliere è fuorviante: dato il difficile abbinamento a Minervino, per esempio, e perché da sempre – quando lo si cita – esso è percepito come sinonimo di cerealicoltura e di grano, non d’altro.
Ai tradizionali banchi d’assaggio dei vini dei 20 produttori che hanno preso parte alla manifestazione, l’evento si è concluso nell’elegante cornice dell’Oasi Beach Restaurant di Margherita di Savoia, con una cena affidata al talento e alla destrezza degli chef Nazario Biscotti (Antiche Sere – Lesina), Leonardo Papagna (Oasi beach – Margherita di Savoia), Salvatore Riontino (Canneto Beach – Margherita di Savoia), Riccardo Barbera (Masseria Barbera – Minervino Murge) e Stefano D’Onghia (A’ Crianz – Putignano) nella personale interpretazione di ricette tipiche dei luoghi di produzione del Nero di Troia. Piatti accompagnati dai vini protagonisti della manifestazione.
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