di Marco Milano
Le cronache del continente asiatico hanno portato alla ribalta in questi giorni la querelle legata al “Dragon fruit”. Frutto dolcissimo, piuttosto bruttarello, conosciuto come pitaya e ribattezzato frutto del drago. Il “contenzioso” intorno al nome è nato nello stato indiano del Gujarat, “Dragon”, appunto, che ricorderebbe troppo la Cina, e per questo bandito in favore di “kamalam”, derivante da kamal alias loto, fiore dalla vaga somiglianza al sopracitato frutto. La questione intorno al nome del frutto del drago, comunque, è fortemente politica e legata alla voglia del Gujarat, dove gli agricoltori si stanno dedicando in maniera notevole alla coltivazione del “Dragon fruit-kamalam come simbolo del volersi affrancare dalla dipendenza dalle importazioni per portare avanti il progetto dell’”Atmanirbhar Bharat” (India autosufficiente).
E proprio per dare identità e dignità al proprio popolo di agricoltori che il primo ministro del Gujarat Vijay Rupani ha annunciato la decisione di cambiarne nome. Frutto della discordia, dicevamo, dunque, alla pari, metaforicamente, di altri cibi e pietanze che cambiano nome a seconda delle località di produzione. E’ il caso, per esempio, di uno dei “must” della cucina italiana tra i primi piatti, madame la lasagna, che, aldilà delle varianti sui condimenti, il ragù, a volte arricchito da uova sode, ricotta e polpettine, in altre terre dello Stivale perde il suo famoso copyright di lasagna lasciando il passo ad altre denominazioni. Nelle terre marchigiane, tanto per citare qualche esempio, dove piuttosto che ordinare una lasagna al ristorante, si consiglia di chiedere un piatto di “Vincisgrassi” o a Venezia dove per gustare quelle sfoglie cotte al forno e condite di ragù tra strato e strato è meglio chiedere un “Pasticcio“.
A Genova, infine, è sempre più gettonata la richiesta di una “Ligure” alla quale non farà seguito l’arrivo di una donna genovese o spezzina ma di una porzione di lasagna cento per cento vegetariana e condita con il pesto. Altra discussione è quella secolare sul concetto di brioche. Per gli appartenenti al Meridione entrare in un bar e chiedere accanto al caffè una brioche significa trovarsi dinanzi un tondo soffice “con il cappuccio”, che in Sicilia dove probabilmente va per la maggiore chiamano “brioche con il tuppo”. Ma provate a ordinare una brioche in Toscana piuttosto che in Emilia Romagna, vi verrà servito un lievitato vuoto o ripieno di crema o marmellata che sotto al Vesuvio chiamano da sempre “cornetto”. Insomma paese che vai…nome di piatto che trovi, però, of course, se si parla di varianti preferiamo quelle gastronomiche…
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