Il Ferentano di Falesco

Pubblicato in: I vini del Mattino

Era l’ormai lontano 1993, l’anno della implosione della Prima repubblica e dei luoghi comuni sul vino del Sud: con il Montevetrano Riccardo Cotarella rovescia l’immagine dei rossi da cisterna creando il cult ripreso da Roberto Parker negli Stati Uniti. Poche persone hanno fatto tanto per l’agricoltura di qualità come questo enologo che con il suo lavoro ha impresso una forte accelerata al processo di modernizzazione delle cantine campane e soprattutto alla nascita di vini distinguibili, non polverosi, in grado di competere con il meglio della produzione italiana e mondiale. Dopo Silvia, che sabato 13 presenta il suo 2002 nella galleria d’arte Il Catalogo fondata a Salerno da Alfonso Gatto, è stata la volta di Terra di Lavoro di Galardi, Feudi, Villa Matilde e, più recentemente, Spada e Alois. L’Italia ha numerosi enologi di prestigio, bravissimi, ma a nostro giudizio Riccardo ha una marcia in più rispetto a tutti perché guarda le cose italiane aggiornandosi continuamente sugli umori del mercato internazionale: pratico, non rancoroso come tanti suoi colleghi che soffrono di lesa maestà di fronte alle critiche, ha sempre risposto con il lavoro alle osservazioni giuste come a quelle ingiuste. Con il fratello Renzo, winemaker di Antinori, ha fondato nel 1979 Falesco che dalla scorsa vendemmia si è ufficialmente trasferita nella nuova azienda Marciliano a Montecchio vicino Orvieto con circa 300 ettari. Venerdì scorso Riccardo ha presentato la sua produzione a Capodifiume vicino Paestum, in un luogo magico popolato da ninfe e folletti dove i fratelli Chiacchiaro hanno aperto uno dei ristoranti più spettacolari della Campania. Montiano, Vitiano, Poggio dei Gelsi, Est! Est! Est! sono alcune delle sue etichette più famose ma noi, amanti del bianco leggermente passato in legno, vi segnaliamo il Ferentano 2004 da uva Roscetto, un autoctono ripreso nel 1998 a Falesco che regala davvero belle soddisfazioni: al naso complesso, intenso e persistente, banana, frutta esotica, un po’ di vaniglia e tostatura. In bocca è prepotente, ricco, morbido e pieno, di buona struttura, la spinta di freschezza è ben equilibrata con l’alcol a quota 13 gradi. Un bianco da meditazione, con buone possibilità di invecchiamento, capace di affrontare una varietà infinita di piatti, soprattutto quelli che incrociano la tradizione mediterranea con le suggestioni speziate orientali di Tony Genovese al Pagliaccio di Roma. E il primo maggio scorso anche la cucina terragna e moderna di Antonio Pisaniello della Locanda di Bu a Nusco ha ben onorato il bianco di casa Cotarella.


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