di Ugo Marchionne
Una cucina sempreverde in cui la tecnica non è mai fine a se stessa, ma giustamente asservita al godimento complessivo delle portate e del percorso. Una sala che gira fantasticamente frutto dello studio e della ricerca del giovane Bonny Ferrara le cui idee si rivelano sempre più in sintonia con la modernità. Una carta dei vini sconfinata, frutto di anni di lavoro. Questo è il Faro di Capo d’Orso.
Una cucina sempreverde in cui la tecnica non è mai fine a se stessa, ma giustamente asservita al godimento complessivo delle portate e del percorso. Una sala che gira fantasticamente frutto dello studio e della ricerca del giovane Bonny Ferrara le cui idee si rivelano sempre più in sintonia con la modernità. Una carta dei vini sconfinata, frutto di anni di lavoro. Questo è il Faro di Capo d’Orso.
Una nuova degustazione di grandi vini vintage a prezzo d’occasione, un chiaro esempio di come andrebbe gestito un supporto del genere. Sintomo evidente di giovane ma ragionata esuberanza. Il Faro è sicuramente uno dei simboli gastronomici della costiera. Guardando il mare davanti a coste frastagliate, aguzze e scoscese, il feudo della famiglia Ferrara, simbolo di ospitalità e grande cucina, mira il blu dalla sua cornice seducente. Una follia a due. Il dialogo silente fra zio e nipote. Pierfranco e Bonaventura che gestiscono tempi, interazioni e seduzioni di cucina e sala.
Formazione classica ad ampio spettro. Francese quella di Pierfranco, che ha raggiunto una silente tranquillità che non produce più l’antica opulenza della cucina d’oltralpe, ma si sostanzia in uno sforzo tecnico godibilissimo, sussurrato ma mai ostentato. Una cifra gastronomica caratterizzata da una grande dovizia di particolari che non sfocia mai negli eccessi.
Il benvenuto dalla cucina è luculliano. Un viaggio di mare e terra che passa da un Alice ad un Fish & Chips trasportandosi verso un pomodoro ri-strutturato. Tanti piccoli assaggi individualmente concepiti per essere un insieme. Tecnica incredibile dalla quale non rimani interdetto. Tutto è funzionale. Antipasti millimetrici. Sussurrati.
Elaborati nel gusto e nella teatralità estetica in linea con l’idea di servizio 2.0. Triglie di scoglio, Pomodoro, Zenzero & Limone. Tataki di Tonno, Sesamo, Ostriche & Foie Gras Torchon. Crudo di Gamberi Rossi, Colatura, Miele, Peperoncino & Estratto di Sedano & Gin. Il minimo comune denominatore è la precisione, precisione che si traduce in finezza e pulizia.
La Tataki è divinamente eseguita sia nella temperatura che nella caramellizazione delle proteine esterne. Il crudo è un’esperienza guidata. Un esempio di come dovrebbe essere costruito un percorso giocato sullo smorzare la dolcezza di un prodotto per poi ripulire il palato al commensale. Tante componenti unitamente asservite ad uno scopo. Grande sforzo concettuale di Pierfranco Ferrara, il quale del combattere la banalità in cucina ha fatto una missione.
Primi piatti eccellenti. Riso mantecato con Burrata, Sashimi di Gambero Rosso, Limone Confit, Colatura & Asparagi. Linguine Di Gragnano del Pastificio dei Campi, Friggitelli, Ostriche, Caviale & Dragoncello. Piatti dei quali si apprezza la vegetalità, la freschezza di resa e di pensiero nonché la cottura perfetta. Entrambi avvolgenti pur senza scadere in una rotondità telefonata. Sapidità ma con sapienza. Avvolgenza ma con pazienza.
I primi di Pierfranco Ferrara stupiscono perché da componenti così strutturate non ci si aspetta quella delicatezza che stupisce. Capitolo a parte il percorso dei vini. Bonny Ferrara è riuscito a far qualcosa di incredibile. Una carta dei vini pensata per dare la possibilità di degustare grandi bottiglie. Ricarico minimo, una sezione di grandi vini a possibilità di acquisto incredibili e utilizzo del Coravin. Belle Epoque 2011, Krug Grande Cuvée sb. 1985, Jacques Selosse Les Carelles, Solaia 2000, Olivier Leflaive Puligny-Montrachet 2015, Markus Molitor 1989. Questo il nostro percorso. Mai scontato. Mai banale. Opulento? Forse.
Con una carta dei vini del genere è molto difficile non cedere ad un sano enogastrofighettismo. Un plauso a Bonny per aver pensato un percorso del genere. Stagionalità e qualità della materia prima. Ricerca e studio della tecnica. Architettura del piatto il più possibile lineare e creativa, attingendo alle esperienze d’Oltralpe e alla memoria dei piatti della tradizione. Spigola di Mare pescata ad amo, Lime, Lemon Verbena & Vongole.
Grande carica di acidità e sapidità. Ricorda molto i piatti televisivi di Marco Pierre White. Memoria di un estro che sta scomparendo purtroppo. Dolci che sottendono il confine tra dolce e salato. Olive e Limone, Fragole e Rabarbaro in insalata con Strusel di Wasabi.
Conclusioni
“Credo che per realizzare piatti di alta cucina sia necessario sacrificarsi, avere curiosità ed essere dediti alla professione.” (Pierfranco Ferrara) “Tanto sudore, tanti sacrifici e tanta famiglia” (Bonaventura Ferrara) Non mi serve altro se non le loro parole per formulare le mie conclusioni. Esperirle è facile, basta andare a Maiori.
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