di Pietro Valdiserra
Liquore di antichissima tradizione, il centerbe viene prodotto da secoli per uso domestico in molte località dell’Italia Centrale, e nel corso del tempo è stato arricchito in ogni casa con sfumature, aromatizzazioni e sapori originali, spesso tenuti gelosamente segreti. La sua diffusione è particolarmente estesa in tutto il territorio abruzzese: qui per lunghissima consuetudine si raccolgono numerose erbe che crescono spontanee in montagna e con il loro impiego viene preparato un liquore a uso domestico e curativo, chiamato in dialetto cianterba (forse dal latino volgare centum herbora). Fra tutti i borghi e i villaggi abruzzesi uno in particolare, Tocco da Casauria, nell’entroterra pescarese, ha legato il proprio nome e la propria fama al cianterba. Fin dal Medioevo a Tocco esisteva un’abbazia molto frequentata dai pellegrini di passaggio e dai pastori che, servendosi dei tratturi, portavano le greggi a svernare in Puglia; i viandanti, quando si fermavano per rifocillarsi, bevevano anche un liquore potente dall’aroma inconfondibile. Col tempo l’abbazia perdette in parte la propria notorietà, ma il vigoroso liquore continuò a essere usato nelle case vicino a Tocco da Casauria finché alla fine del XVIII secolo lo speziale Beniamino Toro, trasferitosi da poco nella nuova farmacia locale, cominciò a produrre il cianterba, trasformando in liquore artigianale quello che fino ad allora era stato un prodotto a uso familiare e medicamentoso. Le sue caratteristiche singolari e le sue asserite virtù terapeutiche lo resero ben presto famoso in tutto il Reame Napoletano, e si narra che durante l’epidemia di colera che colpì la regione partenopea nel 1884 tutte le sere partissero per Napoli carretti carichi di bottiglie di cianterba. Ancora oggi a Tocco da Casauria i discendenti di Beniamino Toro continuano a produrre il loro centerbe (anzi centerba, con la “a”, per mantenere la fedeltà all’antica dizione dialettale), senz’altro uno dei prodotti più caratteristici della liquoristica tradizionale italiana. L’originalità di questa bevanda alcolica risiede nella miscela segreta di erbe spontanee raccolte a mano sulle ultime propaggini del Gran Sasso d’Abruzzo e del Monte Morrone. Dopo la raccolta, le erbe vengono trasportate in particolari sacchi al laboratorio e vengono essiccate in ambienti al riparo da sbalzi di temperatura e di umidità; successivamente vengono selezionate per utilizzare solo le parti migliori delle foglie e, dopo un accurato dosaggio, vengono messe a macerare in alcool. Il dosaggio delle varietà scelte e il tempo di infusione (da due a quattro mesi) possono variare a seconda delle caratteristiche climatiche dell’anno di raccolta. Il confezionamento del prodotto finito viene effettuato in bellissime bottiglie impagliate. Il centerba di Tocco da Casauria è un elisir verde smeraldo, privo di zuccheri e di aromatizzanti, ad alta gradazione alcolica (la sua versione forte dichiara addirittura 70 gradi!) e dai raffinati profumi vegetali, tra i quali predominano le mente. Il suo sapore è potente e deciso se bevuto in purezza, a fine pasto, ma delicatamente aromatico se usato come correttivo del caffè, della cioccolata o del latte, ed è per questo motivo che viene molto utilizzato al bar e in pasticceria. Svariati e fantasiosi sono anche i suoi impieghi in cucina: dalla pizza ai risotti e alle paste, per finire con l’aromatizzazione delle carni (lepre, coniglio, galletto) e del pesce (trota al sale, scampi gratinati). Il vanto alcolico di Tocco da Casauria ha anche una sua consolidata nobiltà letteraria. Alla fine dell’Ottocento l’abate Antonio Stoppani, nel suo libro “Il Bel Paese”, scrive testualmente che “il cent’erbe di Tocco è liquore conosciuto assai nel Napoletano, dov’era anche in voce di anticolerico. Si ottiene colla distillazione di erbe aromatiche, ed è liquore gustoso, piccante e stomatico.” Nel 1963 il grande giornalista enogastronomico Paolo Monelli scrive il suo “O.P. ossia il vero bevitore”, nel quale afferma: “bevendo di questo prezioso smeraldo liquido ci mettiamo in comunicazione con la grande montagna, con tutto il massiccio di roccia nobile e di gelo splendente che sorge a custodire il cuore d’Italia…una linfa veemente, mordente, di gagliardissimo aroma, che scatena in bocca la bufera, penetra in tormenta nel cuore…Di questo centerbe un alpino abruzzese bevve una fiaschetta tutta d’un fiato, ruzzolò a terra, rimase sbronzo due giorni; e quando rinvenne uccise un mulo con un pugno.”
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