di Leo Ciomei
Igles Corelli, ferrarese, chef pluripremiato inizia la sua ascesa nel firmamento della cucina di qualità negli anni ’80 quando, giovanissimo, si ritrova alla guida del ristorante Il Trigabolo di Argenta, considerato dalla critica uno dei tre migliori ristoranti italiani. Il primo sul piano dell’avanguardia culinaria. Apre poi la Locanda della Tamerice a Ostellato, sempre nel ferrarese. Si occupa di consulenze per ristoranti italiani e stranieri, è direttore della nuova scuola di cucina Les Chefs Blanches a Roma, è docente presso le scuole del Gambero Rosso e collabora da anni col Gambero Rosso Channel, autore di molti libri di cucina. Lo incontro per un’amichevole chiacchierata in un caldo pomeriggio estivo, sulla terrazza del suo ristorante Atman, a Pescia (PT), aperto da meno di due anni con il patron Paolo Rossi e già stellato Michelin.
In un mondo alla ricerca esasperata della grande apertura nella grande città, il tuo curriculum annovera 14 anni ad Argenta, 14 anni a Ostellato e ora a Pescia. Passione per la provincia o scelta di vita?
E’ una scelta di vita.
C’è qualcosa che ti sta dando il territorio toscano, che non ti aspettavi?
Non mi aspettavo un’accoglienza così aperta, gente che viene a complimentarsi. Poi, a differenza di Ostellato dove ne prendevo uno all’anno, qui tutte le mattine venendo al ristorante, mi prendo dieci “buongiorno” ! c’è proprio una differenza culturale nella gente senza contare poi la vostra cultura del bello con gli scenari che avete; ad Ostellato ti alzi e senti caldo, ti ronzano intorno le zanzare e le mosche, l’erba dei campi non è verde e pensi “accidenti, un altro giorno !”
Dalla “Cucina del Territorio” alla fusion e oggi alla Cucina garibaldina. Ci puoi spiegare differenze e motivi delle scelte?
Sembrerà forse presuntuoso dirlo ma la cucina del territorio l’abbiamo inventata noi ad Argenta al Trigabolo. Ai tempi c’è stato un approccio molto interessante col territorio, poi la fusion.. negli anni 90 era troppo presto, i tempi non erano maturi, anche grandi cuochi hanno tentato di fare cucina di contaminazione ma mancavano i prodotti, non c’erano grandi etnie da valorizzare, in un momento di confusione, di crisi d’identità noi cuochi siamo andati prima dietro alla cucina francese, poi a quella giapponese, poi alla spagnola e infine oggi a quella danese, tutte grandi cucine sicuramente ma eravamo persi nelle identità altrui. Dovevamo imparare a focalizzarci sul prodotto italiano che è e resta un prodotto vincente. Non tanto il km. zero perchè se il miglior aglio è quello di Sulmona lo prendiamo a Sulmona, se le migliori patate sono di Avezzano andiamo ad Avezzano: questo è un po’ il concetto di cucina garibaldina.
Riprendendo il concetto della cucina garibaldina la cucina si deve si adattare al territorio e sono d’accordo, però la cosiddetta cucina a km. zero secondo il mio parere non fa bene all’alta cucina, forse è meglio per la trattoria o per il piccolo ristorante. Cosa ne pensi aldilà delle mode del momento?
Può essere che vada bene per la trattoria ma secondo me il km. zero non deve essere legge, altrimenti diventa un dogma. Le cipolle pugliesi sono buone, oggi con 16 euro di corriere espresso in un giorno ti arriva lo sponsale di Puglia, io oggi telefono a Porto Santo Spirito a Bari, mi caricano i gamberi viola, rossi, le seppioline e gli scampi, pago 42 euro/kg. piu 16 di corriere e la mattina dopo sono qui ! certo che poi i fagioli li prendo qui a Sorana. Abbiamo fatto un orto di duemila mq., con un contadino che coltiva dei prodotti che sono la base. Le eccellenze le andiamo a prendere in giro: l’Italia ha mille prodotti da valorizzare, sfruttiamo questi giacimenti.
A proposito del tuo nuovo “orto” sulle colline pesciatine, parlacene un po’.
Per adesso ci ricavo qualche verdura e ortaggio ma abbiamo interrato 40 piante, un percorso italiano, pera volpina, mela cotogna, sorbo, un ciliegio molto particolare, una serie di frutti banali ma molto importanti, stiamo studiando per mettere su una piccola vigna per fare un vinsanto, una cosa un po’ particolare, un giochino se vuoi. Poi dopo c’è tutta una serie di prodotti che ci portano i nostri amici, infatti qualche settimana fa è venuto a trovarmi un amico di Faenza e mi ha portato le cipolle bianche di Ravenna, da Avezzano mi arrivano le patate che andremo a piantare, ecc..
Da qualche anno, anche grazie a te e alla tua esperienza insegnata a Roma al Gambero Rosso, la cucina sta avendo un successo mediatico straordinario, secondo te questo può portare vantaggi alla ristorazione?
Ci sono dei cuochi che fanno spettacolo e funzionano come Gordon Ramsey, Rugiati e altri, pero é spettacolo puro, poi ci sono dei professionisti che possono creare vantaggi come Barbieri, Cracco. In verità l’importante è che si parli di cucina.
Ma a proposito di cucina in TV: mi sono arrabbiato una volta con Heinz Beck perché da Vespa a Porta a porta gli fu chiesto di preparare 4 piatti a 10 euro. Te li faccio anche io! a casa mia, però, non in un ristorante dove devo pagare il personale… Un risotto al pomodoro: il riso migliore, euro 1,90 a porzione, un kg. di “piennolo”, 3,50. Con poco più di 5 euro ti faccio un risotto da fine del mondo. Un’altra volta in televisione allo chef che aveva preparato un’ostrica il conduttore chiese: “ma quanto costa un’ostrica?” e lo chef rispose che una belon costava 3 euro; “come la fa?” “affumicata con un fumo di faggio” “e a quanto la vende?” “30 euro”. “Come 30 euro! mi ha detto che costa 5…” Lo chef, giovane, non ha saputo dire “guardi che io ho 20 cuochi, le spese di gestione, le tasse…” finisce lì, e così la gente a casa si convince che la ristorazione fa guadagnare, che i prezzi sono inusitati, ecc…
Quando eravamo ragazzini e ci veniva chiesto cosa volevamo fare da grande di solito rispondevamo astronauta o esploratore. Oggi un giovane ci risponderebbe calciatore o chef. Capisco il calciatore per i molti soldi e per le belle donne ma i ragazzi di oggi si rendono conto cosa significa lavorare in cucina? Tornando a quello che dicevamo sopra, non avremo dato un’immagine troppo patinata di questa professione?
Sì, questo é vero. Ho notato dai corsi che faccio con il Gambero che dopo tre mesi diventano cuochi e poi subito vanno in televisione. Si esce dal corso e si diventa chef immediatamente: questo non é vero. Un’altra cosa che ho notato è questa: a fine corso gli allievi invitano i genitori (di solito avvocati, professori, medici) tutti ben contenti che i loro figli abbiano sposato questa carriera, dieci anni fa mai un figlio di un avvocato avrebbe potuto fare il cuoco ! questo succede grazie a un processo mediatico. In effetti non é tutto rose e fiori: dopo averci investito tempo e denaro molti chiudono e si arrendono anche perché é un lavoro molto duro.
Non possiamo negare che in momenti di forte crisi come quello di adesso chi ne fa le spese sono soprattutto i ristoranti a prezzo medio mentre si dice che i locali con pochi coperti e prezzi alti non ne risentano poiché un certo tipo di clientela c’è ugualmente. Non pensi che sia un discorso qualunquista?
Sì, nè grande ristorazione nè bassa ristorazione fanno i soldi, gli unici che sopravvivono in questo momento sono i locali a conduzione familiare, tutti gli altri sono con l’acqua alla gola. L’alta ristorazione ne soffre perché sono quelli che hanno bisogno di maggior numero di manodopera per curare il tutto e quello che costa non é la materia prima ma il personale, per dire un posto come Atman ha 24 coperti e noi siamo in otto…
Mauro Uliassi mi raccontava, entusiasta, del suo nuovo progetto di Street Food, cibo da strada di qualità a basso costo. Credi, come scrivono molti, che per ampliare la platea gastronomica dovremo abbandonare le mise en place importanti, il foie-gras, i tartufi e lo champagne e tornare alla semplicità oppure le due identità possono coesistere?
Io sono convinto che il ristorante come concezione é vecchia, fallimentare direi, le spese sovrastano i ricavi. Noi in cucina dobbiamo essere in cinque, ma ad un certo punto dopo le preparazioni giornaliere come il pane e le salse queste cinque persone possono anche servire in tavola. Al Noma (il famosso ristorante di Copenhagen numero uno al mondo secondo critici autorevoli) si fa già questo, c’è un direttore di sala e un sommelier, poi 19 o 20 cuochi che gli servono per fare i piatti e che servono ai tavoli, ciò gli permette di non avere quei nove o dieci camerieri in più e rientrare nei costi. Ferran Adrià al El Bulli, sempre pieno, ci rimetteva circa 1.500.000 euro all’anno per tutta la brigata di cuochi e camerieri e ha preferito chiudere. Quindi bisogna rivedere il tutto..
Amici critici gastronomici mi hanno sempre descritto Igles Corelli come un grande esperto di selvaggina e qui a Pescia ho avuto modo di constatarlo di persona. Da cosa proviene questa passione e, soprattutto, come riesci ad avere sempre prodotti di qualità? Fra gli altri ricordo un germano reale da sogno.
Come ci riesco non te lo dico nemmeno sotto tortura (ride). La passione viene da mio nonno, comunista sfegatato, che durante il fascismo non prendendo la tessera per poter mangiare faceva il bracconiere, andava a Comacchio e rubava le anguille, cacciava di frodo, aveva addirittura il barchino tutto rosso, pure sei mesi di galera ha fatto. Ricordo i nomi: Mingoccio e Buaren. Il primo era mio nonno e il secondo era l’amico addetto alla barca, erano tutti e due dei corridori facevano i 100 metri in 12 netti, visto che scappavano di continuo dalla polizia fascista… Tutta la passione per quei sapori e odori la devo a mio nonno.
Viaggi e hai viaggiato molto anche nei paesi dell’estremo oriente. Cosa ti è rimasto di quella cucina?
Quanto é buona la cucina italiana…
Ogni giorno leggiamo scandali per mozzarella e prosciutti adulterati, prodotti scaduti venduti per buoni, pangasio spacciato per sogliola e così via, per non parlare dei morti dal metanolo di 25 anni fa. Necessitiamo di più attenzione noi consumatori o dal punto di vista legislativo siamo ancora un paese arretrato?
E’ facile comprare la gente in Italia, qui i Lanzichenecchi sono di casa. Tu guarda nei DOP: ci sono sempre problemi, dai prosciutti alla mortadella, c’è qualcosa che non quadra, chi controlla il controllore?
Una domanda un po’ difficile: quando sei in giro dove preferisci mangiare? O, andando diretti al punto, quali sono le cucine dei colleghi che ami di più? Non so, qualche collega di cui ammiri le capacità e la creatività? E qui in zona hai provato qualche locale?
La capanna di Eraclio a Codigoro (FE), dove mi vengono in mente i ricordi di infanzia, eccelsa qualità del pesce e della cacciagione che ritrovo solo nei piatti di mia nonna, fra l’altro sono anche amici. Sono 60 anni che la mamma della Grazia, la chef, cucina germani e faraone. Pensa che io sono andato con loro a Goro al mercato del pesce e sono gli unici che prima che inizi l’asta entrano e scelgono pesce per pesce! è un privilegio che si sono conquistati in 50 anni da clienti. In zona invece mi é piaciuto molto Romano a Viareggio che è un caro amico, a Firenze l’Ora d’Aria e Pinchiorri perché c’è Italo Bassi, mio allievo, a Marlia (LU) il Butterfly, anche loro stellati Michelin.
A tal proposito, dopo appena un anno dall’apertura sei stato insignito della stella Michelin e della lusinghiera valutazione di 14,5 ne La Guida de L’Espresso. Le grandi Guide cartacee sono ancora utili nel 2012? magari integrandole col web? E, per inciso, cosa ne pensi della critica gastronomica di internet?
Io sono un guidarolo. Pensa che quando eravamo al Trigabolo facevamo l’albero di Natale all’esterno con le guide di Veronelli, L’Espresso, Michelin quindi da parte mia hanno tutta la mia approvazione. Per quanto riguarda il web invece va analizzato; per esempio io ho ricevuto delle recensioni bellissime ed altre pessime, in questo caso io rifletto, ripenso a quella serata, vado a vedere il nome e vado a valutare se c’è stato qualcosa. Io credo sempre e comunque nella recensione del giornalista, colui che mette il nome e cognome.
Montecatini Terme, Chiesina Uzzanese, Ponte Buggianese, Pescia e un po’ tutta la Valdinievole e le provincie di Pistoia e Lucca hanno dato grandissimi chef alla ristorazione, penso a Sirio Maccioni di New York, al due stelle Aimo Moroni di Milano ma anche al giovane amico Enrico Bartolini, stellato di Cavenago (MI) e a decine di altri meno famosi che hanno portato la nostra cucina in tutto il mondo. Qui a Montecatini Terme, dopo qualche tentativo non fortunato, da anni manca un locale di livello come il tuo a Pescia. Cosa ci manca?
Montecatini è una bella cittadina, è strano che non ci siano stati grandi ristoranti al di fuori dei grandi alberghi, forse i costi degli affitti…
Ah, non so se ne eri al corrente ma nella prima Guida Michelin Italia del 1957 Pescia era stata una delle 13 stelle di quell’anno con il classicissimo Cecco. Nessuno ha fatto notare che dopo 55 anni la stella è tornata a brillare nel cielo della nostra cittadina. Ti ringrazio anche per questo.
Allora non è vero che la mia è stata la prima stella della Valdinievole ! mi dispiace che un locale come Cecco abbia chiuso, era una realtà storica e, avendolo conosciuto, posso dire che il proprietario è una persona molto simpatica e piacevole, un vero peccato la sua chiusura.
Questa intervista si trova anche sul mensile MESE del mese di agosto, distribuito gratuitamente nelle edicole e negli esercizi pubblici della provincia di Pistoia.
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