di Albert Sapere
Qualsiasi esperienza si viva sarà tanto più intensa quanto maggiore sarà la capacità di ricordarsela nel tempo. Mi piace a distanza di tempo valutare il grado di piacevolezza di un pranzo o una cena attraverso la pesca nella mia memoria. Quanto più sarà vivo ed intenso il ricordo dei piatti, del loro gusto e delle sensazioni che mi hanno provocato, tanto più desidererò tornare al più presto a vivere quel momento. Voglio raccontare quest’ultima edizione di Identità Golose proprio attraverso questo meccanismo descrivendo le cose che conserverò a lungo nella mia memoria.
1. Il momento inaugurale
Paolo Marchi, visibilmente emozionato, da il via al congresso che quest’anno compiva dieci anni. A ben pensarci dieci anni è quasi una generazione, eppure i contenuti sono sempre in evoluzione, anno dopo anno moderni, una grande occasione di formazione innanzitutto culturale, poi professionale. Il pubblico aumenta ogni anno, se qualcuno vede ciò come una perdita di valore, per me è invece l’esatto contrario, perché è il segno che la ristorazione d’autore e di conseguenza l’agroalimentare italiano sono sempre più al centro dell’attenzione.
2. L’intervento di Jean Francois Piége moderato da Enzo Vizzari
Una lezione di cucina molto bella, forse la più tecnica del congresso. Le basi classiche come fondamento di qualsiasi progetto creativo. Prepara una sella di capriolo rosolandola per pochi minuti in una padella con un cucchiaio di olio evo, poi delicatamente su una griglia, dove al posto dei carboni roventi ci sono delle castagne calde che assorbono il calore dalla piastra. Completa il piatto con la zucca preparata in più maniere, una salsa ricavata dalle ossa realizzata attraverso la procedura classica ed una polvere di castagne. Piatto, come tutta la sua cucina, ricco di personalità e di grande sensibilità per la materia prima, che parte dalla classicità per non porsi alcun limite nella creatività.
3. FFF
Davide Scabin, sempre capace di proporre innovazioni intelligenti, porta in scena in maniera vulcanica il suo progetto food for fighting. Lo scopo e quello di trovare, in collaborazione con il professore Matteo Goss dell’ospedale Molinette di Torino, soluzioni gastronomicamente appetibili per rispondere attraverso il cibo ed il piacere che provoca, a varie patologia. L’idea è quella che di fronte ad un problema di salute, momento ovviamente debilitante innanzitutto moralmente, non è necessario abbandonarsi a cibi tristi. Con attento studio si cerca di alleggerire i problemi attraverso piatti gustosi. Ha fatto sorridere l’agnello brodettato per rispondere a problemi di colon irritato, ancora più divertente la presentazione della bavarese di kiwi con meringhe al mannitolo per sconfiggere la stitichezza. Toccante invece l’idea di far ritrovare il piacere del cibo a chi si sta sottoponendo ad un ciclo di chemioterapia attraverso dei piatti pensati per smussare il senso di amaro e di ferro che porta ad un progressivo allontanamento dal cibo e di conseguenza ad una maggiore debilitazione e depressione. Paolo Marchi sale sul palco alla fine dell’intervento e dice: “Davide è dieci anni avanti”.
4. Noi di sala sul palco grande
Giuseppe Palmieri, sommelier dell’Osteria Francescana di Modena, Alessandro Pipero, patròn e sommelier di Pipero al Rex di Roma e Marco Reitano, sommelier della Pergola del Rome Cavalieri di Roma, portano in un auditorium gremito, il tema centrale dell’ospitalità, del servizio, della gestione operativa dei clienti, del loro rapporto con la cucina, la complessità di gestire un gruppo spesso composto da ragazzi giovani. Raccolgono applausi a scena aperta. In maniera schietta e qualche volta ironica si raccontano, raccontano che sempre di più nei prossimi anni l’imperativo per un ristorante sarà: “NOI”. Massimo Bottura e Oscar Farinetti, testimonial d’eccezione dell’associazione Noi di Sala, salgono sul palco e chiudono uno degli interventi più apprezzati del congresso.
5. Il territorio di Franco Pepe
Una valigia di plexiglass al centro del palco e anche dell’intervento. Sono i prodotti del suo paese. La parola che ha usato di più durante il suo intervento è stata “Caiazzo”. Mi aspettavo una lezione appassionata, ma non credevo tanto coinvolgente e sentita. Si presenta, parla solo per poco del suo percorso e poi fa un passo indietro, non è più il protagonista del laboratorio, non si parla del suo impasto, del suo lavoro, si annulla e mette al centro dell’attenzione il suo territorio. Il progetto è quello di avere nel suo menù almeno una pizza con tutti ingredienti locali, compreso la farina. Con il supporto dell’agronomo Vincenzo Coppola hanno recuperato semi quasi scomparsi, messo a coltivazione terre, acquistato alla semina i prodotti futuri. Etica e lungimiranza in un progetto “visionario”.
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