Ore 12, 30 la Sala blu è gremita, l’attesa è nell’aria, sul palco solo gli aiutanti del “Re del Cacio e Pepe” come lo chiamano a Roma. Musica e video in sottofondo, Eleonora Cozzella, instancabile e briosa crea la suspence, attendiamo Antonello Colonna dal back stage, lui, effetto sorpresa, arriva dalla porta d’ingresso al pubblico per raccogliere la standing ovation.
L’omone ironico, “anarchico” e provocatorio, passato da Labìco a Roma, è uno che non ama chiacchiere e divagazioni, lui le cose le fa, punto e basta.
I suoi ragazzi, Marco Martini da Colleferro e Vincenzo Paolicelli, lucano d’origine, ma romano d’adozione, sono già all’opera: le pentole con l’acqua bollono, da un lato si intravede una teglia di strane sfere bianche mah… Antonello comincia a spezzare i bucatini in tre, spezzare? Si, avete capito bene, e la ragione c’è, la capiremo procedendo con la ricetta. Qualcuno in sala ricorda che a Roma le mamme e le nonne usavano, e qualcuna ancora usa, i “tonnarelli” o “strozzapreti” fatti in casa. Cacio e Pepe, racconta Colonna, è un piatto povero e antico di origine contadina e pastorale, ecco perché l’esibizione di oggi è intitolata “la leggenda del cacio e pepe”. La versione di circa 2 secoli fa, quando nel 1874, la sua famiglia aprì la prima osteria, è sorprendentemente semplice:
– bucatini spezzati ( concessione odierna alla modernità) vengono “impeppati” crudi, poi un bollo, 2 -3 minuti non di più
– si tirano su molto asciutti, spruzzata abbondante di pepe nero grezzo e tanto pecorino, la pasta era di colore praticamente nero
– il piatto deve risultare secco, “deve intorzare” come dicono a Roma.
La ragione? Le osterie vendevano vino, ergo, se tanto mi dà tanto, più i passanti, i cocchieri, la gente del popolo, “si intorzava”, più vino beveva, chiaro no?
La versione degli anni duemila, quella che ha battuto a Roma il sushi quando era all’apice del mangiar trendy, è semplice
– si spezzano i bucatini in tre
– si passano nel pepe crudi
– si fanno bollira un paio di minuti , si tirano su e si continua la cottura, mantecando con l’aggiunta dell’acqua di cottura, come fosse un risotto, dalla sensazione tattile che mi dà la palettina – dice Colonna- intuisco che il punto di cottura è giusto
Il risultato è altrettanto invitante, un profumo atavico pazzesco. Adesso entrano in scena le palline bianche di cui sopra, preparate da Marco Martini. “Apro parentesi, prosegue, lo chef de Roma, io i ragazzi me li cresco, quando non sono ancora contaminati, direttamente dalle scuole alberghiere, se ci troviamo bene andiamo avanti, se no ognuno per la sua strada.”
Torniamo alle palline,
a Roma, continua Colonna, i cinesi imperversano, difficile raccontare loro un piatto come il cacio e pepe, allora ci siamo inventati qualcosa più vicina alla loro cultura, Una pallina di acqua e farina di riso farcita di cacio e pepe e poi bollita come la pasta e condita allo stesso modo. Il risultato è oltremodo originale, poco convincente per i “romani de Roma” e anche per noi.
Siamo in chiusura. Eleonora, chiede ad Antonello, che cosa “bolle” in pentola, dopo l’enorme successo dell’Open Colonna. “Beh, risponde Colonna, mi mancava la chiusura del cerchio della Scienza dell’accoglienza, all’ombra del Pantheon, nella primavera 2012, aprirà la Farmers’ Chef, un luogo della memoria con 12 suites, terme, centro benessere, prodotti biologici e biodinamici. Insomma si ritorna al “convivio”, Cacio e Pepe del Re di Roma: lo chef “anarchico” e appassionato “ Er Colonna”.
dall’ inviata a Milano Giulia Cannada Bartoli
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