di Giovanni Gagliardi
Uno spazio rilevante del vino calabrese è oggi “abitato” dai vini dolci passiti.
Da qualche anno in due zone molto diverse della Calabria si sono sviluppate in un caso e riscoperte in un altro, antiche tecniche di vinificazione di uve bianche per produrre vini artigianali molto particolari. Stiamo parlando del Moscato di Saracena, il vino dolce passito di un paesino dell’alto cosentino, incastrato tra i monti del Pollino calabrese, l’Orsomarso e la Pianura di Sibari e il Greco e il Mantonico di Bianco, piccolo centro della Calabria Sud orientale, terrazza naturale della Locride.
La degustazione guidata da Luciano Pignataro si è svolta presso lo stand dell’Unione delle Camere di Commercio Nord – Sud della Calabria al Vinitaly. L’evento dal titolo “La calabra tradizione dei passiti” era inserito nel programma di incontri dedicati all’approfondimento della produzione vitivinicola regionale “Una Calabria che non ti aspetti” ideata da Gennaro Convertini, presidente Ais Calabria in collaborazione con il settore promozione delle Camere di Commercio di Cosenza e di Reggio Calabria.
In abbinamento la pasticceria fresca e secca di Reggio Calabria, il caciocavallo di podolica con tre anni di stagionatura con un crema di peperoni dolci e i fichi dottati cosentini fatti a crocetta e ricoperti al cioccolato.
Il Greco di Bianco è realizzato con un uvaggio di Greco di Bianco in purezza, un clone della malvasia che nella locride ha trovato un ottimo habitat e un terreno (terre chiare) che gli conferiscono un’eleganza particolarissima. La leggenda vuole che i colonizzatori greci nell’VIII secolo a. C. portarono da questo lato del mare Jonio un tralcio di questo vitigno. I produttori dell’azienda Capo Zefirio di Bianco sono tre giovani amici, due agronomi e un commercialista che dopo alcuni anni di “formazione” con i vecchi vignaioli del luogo, producono poche bottiglie di questo nettare pregiatissimo.
Il 2002 in degustazione si trova in enoteca a 30/35 euro la bottiglia da 0,37 l.
Il Moscato di Saracena come afferma Pignataro durante l’incontro è ormai è un vero e proprio vino cult, alla moda tra i consumatori esperti. Le prime notizie certe della produzione risalgono al 1500, documentate dalla lista degli ordini dell’enoteca papale, cui arrivava via mare dal porto di Scalea sul tirreno cosentino. È prodotto con l’antica pratica dell’arricchimento degli zuccheri e l’abbattimento dei lieviti tramite un passaggio del mosto fiore, blend di Guarnaccia, Malvasia e Odoacra, in una caldaia di rame. Prima di essere stoccato in botte viene unito al mosto di moscatello preventivamente appassito. E’ un vino particolarissimo dal colore ambra lucente e una bocca con un buon equilibrio tra acidità e freschezza.
La Feudo dei Sanseverino dei fratelli Bisconte, è una delle poche aziende di Saracena che ha saputo trasformare questo prodotto casalingo in un vino per il mercato. Si compra in enoteca sui 25/30 euro a bottiglia da 0,37 l.
Il Mantonico di Bianco è un vino di molto raro da poco riscoperto, prodotto dalle uve da cui prende il nome. La vista è brillante e alla bocca si evidenziano note amarognole di mandorle tostate, fresco e potente al tempo stesso. Ceratti è una piccola azienda a conduzione familiare della Locride tra le prime, fin dagli anni 60, a riscoprire il Greco di Bianco e da qualche tempo anche il Mantonico, imbottiglia tutta la sua produzione (6.000 bottiglie di Mantonico e 20.000 di Greco di Bianco) nelle caratteristiche bottiglie ad anfora da 0,50 l. e si trova in enoteca a 25/30 euro. Umberto Ceratti, giovane titolare dell’azienda storica, continua nella tradizione la produzione di queste vini e negli ultimi anni sta tentando nuovi approcci produttivi come l’utilizzo della barrique (4 mesi) e la vinificazione secca del Greco di Bianco.
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