a cura di Arturo Celentano
Edizioni La Conchiglia, pagg.148. Euro 60
Negli anni Ottanta il nome di Sante Lancerio circolava solo sulle etichette dei vini, frettoloso sigillo di presunte radici antiche a scopo commerciale. Adesso il resoconto dei viaggi in giro per le vigne italiane del bottigliere di Paolo III Farnese, un vero enoturista ante litteram, sono nuovamente un libro. Anche questo è un segno di come è cambiata nel giro di pochi anni la nostra viticoltura, segnata da una decisa spinta alla qualità generalizzata a tutti i terroir della Penisola che determina una nuova voglia di conoscere il passato, catalogare scientificamente le uve, bere nel modo giusto.
Il libro, un bellissimo oggetto di collezione, è l’occasione per fare una riflessione sulla grande trasformazione avvenuta negli ultimi quindici anni e al tempo stesso godere di una riedizione del testo pubblicato da Bastogi a Livorno nel 1890 con la prefazione di Giuseppe Ferraro.
Dalla prima metà del Cinquecento alla fine dell’Ottocento, sino ai giorni nostri, per fare davvero i conti con i tempi lunghi della storia di Braudel. «In nome del vino contadino – scrive Celentano nella sua appassionata introduzione – siamo stati costretti, con doverose eccezioni, a degustare alcuni tipi di aceto, molta acqua, un po’ di feccia, quantità anomale di bisolfito, anitride carbonica aggiunta e altre sostanze di dubbia comprensione. Oggi possiamo finalmente e felicemente asserire che anche il vino del contadino per essere buono deve proporre anche la scelta di materie prime selezionate, una corretta vinificazione e un adeguato controllo igienico sanitario e un’accertata qualità finale del prodotto».
Temi, questi, che segnano il ritardo accumulato nei confronti dei francesi di cui scrive a lungo anche Giuseppe Ferraro nell’edizione citata. Arturo Celentano non è un bibliofilo seppellito nelle biblioteche, ma un architetto che, dopo aver studiato da sommelier, è diventato uno dei protagonisti della rivoluzione vitivinicola campana con la sua azienda nell’Alto Casertano insieme alla moglie Dora Catello, al cognato Francesco, a Maria Luisa Murena e a Roberto Maria Selvaggi purtroppo da poco scomparso.
Una riedizione vera e propria, dunque, con tanto di aggiornamenti scientifici e geografici che consente a tutti di affrontare la lettura dei viaggi del mitico Bottigliere del Papa senza preoccupazioni, mentre gli esperti hanno di che divertirsi. Basta sottolineare, tanto per fare un esempio, le innumerevoli volte in cui cita il greco: ancora oggi è uno dei vitigni meno esplorati dalla scienza enologica e con un nome si comprendono spesso varietà diverse e opposte fra loro. Solo un esempio, per capire come in realtà, nonostante la nostra generalizzata autostima rispetto al passato, non siamo tanto lontani dalla scienza vitinicola rinascimentale tanto amata da questo Papa figlio del suo tempo.
Dal Mattino del 14 gennaio 2005
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