Era da tempo che non si svolgeva una grande degustazione dei vini d’Irpinia, due anni di Covid, l’estate frenetica per tutti. Alla fine l’occasione è stata la degustazione organizzata da Lello Tornatore, il talebano irpino, nell’ambito della riuscita edizione del Fiano Music Festival ad Aiello del Sabato. La presenza del sindaco Sebastiano Gaeta dal primo all’ultimo calice ha dato un tono istituzionale alla degustazione alla quale hanno preso parte ben dodici protagonisti che hanno fatto grande questa etichetta a partire dagli anni ‘90 insieme ovviamente alla Mastroberardino che prima di ogni altro ha capito le potenzialità delle uve autoctone del territorio.
Dodici le cantine che hanno portato in deguistazione l’annata 2020, vendemmia difficile, irregolare, svolta appunto durante il primo anno del Covid tra mille difficoltà, ma che alla fine ha portato a casa un risultato decisamente soddisfacente.
C’erano i nomi che hanno fatto grande questo vino mietendo premi a destra e a manca come Ciro Picariello, Colli di Lapio, I Favati, Guido Marsella, Villa Diamante, Di Meo, Rocca del Principe e aziende diventate nuove leve ma con le idee ben chiare come Laura de Vito, Terre de’ Guerriero, VentitréFilari, Villa Raiano, Scuotto.
Diversi i territori, diverse le interpretazioni e i metodi di allevamento, ma alcune cose sono state ribadite con molta chiarezza, emerse nel corso della degustazione.
La prima è la capacità del Fiano di Avellino di evolvere, migliorare, crescere nel tempo: non a caso tutti i partecipanti sono impegnati ad uscire in commercio con una o più etichette che hanno almeno un anno, se non tre, di cantina. I primi, dopo il More Maiorum di Mastroberardino, sono stati Villa Diamante e Marsella nel 1997, seguiti a ruota da Picariello che sin dalla prima vendemmia, la 2004, ha puntato ad un anno di attesa. Anche i Favati con l’Etichetta Bianca, Tenuta Scuotto con Oi Ni e Colli di Lapio con Clelia, si sono spinti avanti nel tempo mentre Villa Raiano ha lanciato i cru di due anni e Di Meo è impegnato ormai in un vero e proprio viaggio nel tempo considerato che il Fiano Alessandra è del 2013. Le nuove leve come Ventitrè filari a Montefredane e Laura De Sio escono con un marcato ritardo, come pure l’ultima arrivata, Terre de Guerriero nel comune di Avellino.
La seconda considerazione che si può fare è nel fatto che quasi tutti preferiscono, anche quando puntano sui tempi lunghi, lavorare solo in acciaio. Il legno entra rararmente, e comunque siamo davvero alle prime battute con questo prezioso alleato dei grandi vini. E, nonostante questo, quando si stappa un Fiano si va sempre a colpo sicuro.
Il terzo elemento è il cambio generazionale nelle aziende storiche in corso ovunque che garantisce la continuità, a cominciare da Villa Diamante con la prematura scomparsa di Antoine che vede la figlia Serena laureanda in Enologia, Federico Basso a Villa Raiano, Carmela e Federico Cierri di Colli di Lapio.
Infine le conclusioni: il Fiano è un bianco che non teme confronti non solo in Italia ma anche nel mondo. La purezza del vitigno, la sua capacità di evoluzione, la complessità e la sua tipicità ne fanno davvero, senza campanilismo alcuno, un vitigno prezioso per l’enologia campana e italiana.
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