Di Carmen Autuori
Si tratta di piccoli involtini – massimo otto centimetri di lunghezza – di cotica di maiale che vengono preparati proprio in questo periodo in molti paesi del Vallo Di Diano, Teggiano, Sassano, Padula, Sala Consilina, Montesano sulla Marcellana, gli ultimi della provincia di Salerno al confine con la Basilicata, in occasione dell’uccisione del maiale. La ricetta classica ne prevede la conservazione in vasetti di vetro (anticamente di creta) completamente sommersi dallo strutto che garantisce la morbidezza ed il gusto per molti mesi, a patto che il tutto sia conservato in un luogo fresco.
C’è anche chi li fa essiccare appesi ad un palo di legno, in un luogo ben aerato, come si fa con i salumi. Non è raro, ancora oggi, nelle case contadine trovarli nelle cucine, spesso riscaldate dal camino che conferisce loro un leggero sentore di affumicato così come avviene per salsicce, soppressate e pancette.
In questo periodo è molto facile trovarli nelle macellerie della zona perché non possono mancare nel ragù della domenica.
Varie sono le scuole di pensiero per quanto riguarda la farcitura. Quella più diffusa prevede aglio, prezzemolo, la ‘povra’, polvere di peperone sciuscillone, qualche pezzetto di pecorino oppure di caciocavallo stagionato.
Si possono farcire anche con pancetta, pezzi di capocollo, ‘nnoglia’ (salsiccia di maiale realizzata con le carni di scarto) e in questo caso usati freschi nel sugo della domenica con gli altri canonici pezzi di carne o, ancora, ripieni di uovo, pane raffermo, prezzemolo e formaggio pecorino grattugiato.
Per la preparazione si procede in questo modo: dopo aver tagliato in piccoli quadrati i pezzi di cotica, si lasciano per un paio di giorni sotto sale, si lavano molto accuratamente, si asciugano e si farciscono alla maniera classica che è quella adatta alla conservazione sotto strutto o all’essiccazione. Nel caso invece si vogliano consumare freschi, basta procedere al lavaggio e all’asciugatura.
I pacciarieddi sono squisiti nella minestra di verdure di stagione: un misto di cavolo cappuccio, verza broccoli, cicoria selvatica, arricchita da formaggio pecorino stagionato e, qualche volta, anche da un pezzo di salsiccia. La cottura consigliata è nel pignatiello, un contenitore di creta panciuto, posto accanto alle braci del camino.
Lo stesso procedimento è consigliato anche per i pacciarieddi che andranno ad insaporire i fagioli. Nel Vallo di Diano ce ne sono di eccellenti dal Tondino bianco detto pisiddo a quello di Casalbuono presidio Slow Food oppure quello striato dalla buccia leggermente più spessa.
In questi ultimi due casi sono fortemente consigliati i pacciarieddi conservati sotto strutto: la loro morbidezza darà al piatto sicuramente una marcia in più.
Si ringrazia per le preziose notizie il cuoco rurale Luciano Petrizzo, memoria storica delle usanze gastronomiche più autentiche del Vallo di Diano.
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