I numeri del senza glutine in Italia: perché anche chi non ha patologie lo preferisce

Pubblicato in: Curiosità
Cereali naturalmente senza glutine

di Alfonso Del Forno
Uno dei fenomeni sorprendenti, nella storia recente dell’enogastronomia, è la presenza sempre più diffusa di menù con asterischi, loghi o descrizioni che riportano a due parole: senza glutine. Fino a qualche anno fa, questa scritta era percepita come la segnalazione di prodotti per malati, ma negli ultimi tempi questo fenomeno si è ribaltato, con una presenza sempre più diffusa di piatti senza glutine nell’offerta della ristorazione.

Stesso fenomeno si è verificato con i grandi marchi delle industrie alimentari, pronti a invadere gli scaffali dei supermercati con prodotti gluten free. Che cosa ha determinato la scelta da parte di ristoratori e industrie di investire fortemente in questo settore? Per rispondere a questa domanda, facciamo un passo indietro per capire cosa c’è dietro questo mondo. L’esigenza di apporre su alcuni prodotti la scritta “senza glutine”, nelle sue varianti linguistiche, nasce da una normativa europea (Reg. UE 828/2014) che offre la possibilità di usare il claim sui prodotti alimentari che contengono meno di 20 ppm (mg/kg) di glutine, una proteina contenuta in alcuni cereali come frumento, orzo, farro e segale.

L’uso di questa scritta permette di identificare prodotti idonei agli intolleranti permanenti al glutine, meglio noti come celiaci. Queste persone, una volta diagnosticata la patologia, possono ripristinare i danni procurati dal glutine all’intestino, seguendo una dieta basata su prodotti gluten free o naturalmente privi di glutine. Statisticamente, i celiaci sono l’1% della popolazione, circa 600.000, ma a oggi sono state diagnosticate in Italia solo 200.000 persone, come riportato nell’ultima Relazione annuale al Parlamento sulla celiachia, redatta dal Ministero della Salute.

I numeri che giustificano una crescita dell’offerta di prodotti e servizi gluten free è quindi da ricercare altrove. C’è una grande fetta della popolazione che soffre di sensibilità al glutine, una patologia, non ancora diagnosticabile scientificamente, che procura malessere a chi ingerisce glutine, senza però procurare danni all’intestino, come accade con la celiachia. A questi si aggiungono quelli che seguono una dieta salutistica che prevede l’assenza della proteina “incriminata”, così come largamente diffuso negli Stati Uniti, con molte star di Hollywood testimonial di questo stile di vita.

Nel complesso, queste categorie di persone fanno schizzare in alto i numeri, raggiungendo una quota della popolazione italiana che oscilla tra i 5 e i 6 milioni, circa il 10%. Questi numeri, meglio esplicitati nelle analisi di mercato in possesso soprattutto delle grandi aziende, hanno fatto esplodere il settore, in forte crescita, come evidenziato nella recente edizione del Gluten Free Expo di Rimini, Salone internazionale del settore. Il rischio che si corre oggi è di avere con una forte richiesta di alimenti senza glutine, con operatori del settore invogliati dai numeri a tuffarsi a capofitto in questo tipo di ristorazione, con una preparazione di base non sempre adatta.

La formazione è fondamentale, soprattutto per garantire la sicurezza alimentare, necessaria per i celiaci. Allo stesso tempo è importante la conoscenza di tutti i prodotti naturalmente privi di glutine, adatti a chi segue questo regime alimentare, con la possibilità di proporre piatti alternativi, magari riscoprendo cereali, o pseudo tali, come miglio, sorgo, amaranto, grano saraceno, teff e quinoa, che affiancano il riso e il mais, i più diffusi al mondo. La gastronomia senza glutine è una delle sfide più intriganti dell’enogastronomia attuale. Scoprire come la affrontano i ristoratori, sarà davvero entusiasmante.


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