di Giulia Gavagnin
Quando lo chiamano “Re del Barbaresco” ci ride sopra e dice che non è vero: “non sono fatto per avere sudditi, non sono per la monarchia”. E’ un uomo libero, è vero, ma i geni da primus inter pares sono di famiglia. La nonna era Clotilde Rey, un nome, una garanzia. Ma soprattutto una scuola. Angelo Gaja, 79 anni, rappresenta la quarta generazione di una famiglia di predestinati che ha cambiato la viticoltura piemontese. Nel 1859 Giovanni Gaja si trasferisce dalla Spagna alla Langa, il nipote Giovanni, marito di Clotilde produce già il miglior Barbaresco in Langa. Nel 1961 Angelo prende in mano le redini dell’azienda, e i vini eccellenti divengono straordinari. Regali, appunto. Essenzialità nel packaging, la scritta nero su bianco del nome dell’azienda: “Gaja”, what else? Marketing intelligente, rivoluzioni in vigna e quella cosa che o hai o non ti puoi dare, come diceva Don Abbondio. Il Coraggio. L’aggiunta di 5% di barbera ai cru importanti, il Sorì Tildin, il Sorì San Lorenzo, il Costa Russi e lo Sperss decreta l’uscita dalla Docg e il declassamento a “Langhe”. Ma che Langhe! La sostituzione della barrique alla botte grande e la sapienza nel suo utilizzo. Oggi, con una proprietà complessiva di 92 ettari l’azienda continua a produrre solo 350.000 bottiglie e segue procedimenti di coltivazione e vinificazione che in parte restano segreti, alimentando il mistero di un vino straordinario. Basse rese, questo è certo, ma non si sa se l’approccio sia integrato o vicino alla biodinamica. Unica certezza: le eredi di Angelo hanno dichiarato che dal 2013 l’azienda è tornata al nebbiolo in purezza. Quindi, niente più correzione con “il” o “la” barbera, a seconda dell’inclinazione e del capriccio dell’utente.
I vini langaroli di Gaja (l’azienda possiede anche due aziende in Toscana) sono come l’Araba Fenice: se muoiono, risorgono dalle proprie ceneri. Sono portatori, quindi, di una straordinaria longevità e di un mutamento costante nelle tonalità del bouquet, che li rende unici. Tendenzialmente il nebbiolo di Gaja per i primi vent’anni mantiene un colore rosso rubino, solo in seguito inizia a trascolorare verso le tonalità del granato e dell’amaranto. L’eleganza è il minimo comune denominatore di tutte le annate; le piccole, numerose sfumature che emergono anno dopo anno sono il sigillo della sua ricchezza.
Abbiamo avuto la fortuna di essere stati protagonisti di una verticale di Barbaresco di Gaja presso l’accogliente ristorante Cantine del Gavi, dell’omonima località, più nota, invero, per i vini bianchi. Questi i vini in degustazione, con adeguato accompagnamento gastronomico. Trattandosi di annate vecchie, il ristoratore ha prudentemente ritenuto opportuno iniziare dal vino meno giovane, più scarico di tannini.
Barbaresco 1982: Colore rosso granato, inizialmente chiuso, con sentore fungino e terreo, necessità di una ventina di minuti prima di dispiegare il proprio scalpitante carattere. La frutta rossa (ribes, cranberry) in composta lascia spazio a un bouquet speziato di legno aromatico e cannella. Emerge un leggero sentore animale che ne finale si rivela marino, con note di alga nori. Una bottiglia alla ricerca del tempo perduto.
Barbaresco 1988: Colore rosso granato con note rubino, è più esile, la frutta rossa è più dolce, come il lampone sotto spirito, in primo piano. Marcato il tratto etereo, mantiene le caratteristiche del vitigno, con l’aggiunta di un importante corredo di spezie dolci, zafferano, caffè e nocciola. Un po’ spento nel finale, ha perso qualcosa nell’invecchiamento. In ogni caso, un vino dai tratti decisamente femminili e seducenti.
Barbaresco 1989: è trascorso solo un anno dal vino precedente, il territorio è lo stesso, eppure sembra che l’esposizione sia stata totalmente diversa. Il colore è lo stesso, diversissima la composizione del bouquet: mirtillo e cassis in primo piano, anche sotto spirito, cui si uniscono inaspettate note salmastre di salicornia, che donano una certa sapidità all’insieme. Insieme al mare, la terra di montagna: note balsamiche, soprattutto sul finale, che ricordano il pino mugo e la resina. Un grande vino, che sorprende.
Barbaresco 1997: un salto di otto anni dal precedente e una maggiore familiarità con il mondo attuale dei vini di Gaja. Il colore è rubino tendente al granato, aleggia una rassicurante e più “internazionale” nota di amarena insieme al corredo fruttato dei precedenti. L’elemento balsamico diventa preponderante, con aghi di pino e resina in primo piano. Meno intensi i sentori speziati di pepe e cannella e un finale di castagna arrosta, inedito nei precedenti. Un vino in continuo movimento.
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