E’ molto saggio preferire le proteine vegetali a quelle animali. Ed è molto saggio occuparsi della biodiversità dei legumi in qualsiasi modo si manifesti.
Questi fagioli sono di otto tipi diversi, si chiamano Pallatiello, Janco, Niro, Borlottino, Riginiello, Tabacchiello, Marrò, Verdone e Viola. Non vengono dai cinque continenti, ma dal piccolo areale di Tramonti dove i contadini se li tramandano da padre in figlio da molti secoli, alcuni sicuramente prima della scoperta dell’America (quelli tondi).
Il dottore Alfonso Arpino dell’azienda Monte di Grazia li ha recuperati e li coltiva in vigna secondo il tipico metodo della Costiera Amalfitana, sempre bisognosa di spazio, dell’agricoltura a due piani: i fagioli lasciano azoto e la vite l’ottimizza per la propria sopravvivenza.
Perché otto fagioli? Semplice: ciascuno ha tempi diversi, ed ecco perché i contadini, quando non esisteva la possibilità di approvvigionarsi con regolarità, soprattutto in ques’area poverissima della Costiera dissanguata sino agli anni ’70 dall’emigrazione, coltivandoli avevano la possibilità di disporne nel corso dell’anno al meglio.
Il termine dialettale è Mèsca ‘e fasule tradizzionale ‘e Tramunte.
Naturalmente questa tradizione stava per scomparire e la cultura del dottore l’ha recuperata.
Questi fagioli secondo me non hanno prezzo di fronte alla biodiversità, la sanità e soprattutto il sapore: vogliono pasta piccola (tubettini, cocchiolette).
Non se se ce ne siano ancora. Però magari ordinateli per quest’anno.
Azienda Agricola Biologica Monte di Grazia, Via Orsini, 26
Tel e fax 089.876906
www.montedigrazia.it
E infine, secondo voi come può essere il vino di cura in questo modo l’agricoltura?
Ve ne potete fare una idea leggendo qua, qua, qua e qua.
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