di Bruno Macrì
Tra i più tradizionali ed antichi dolci natalizi dell’isola d’Ischia vanno menzionati certamente i fichi secchi infornati: uno dei piatti simbolo dell’economia contadina nella quale vanno ricercate le vere radici dell’isola.
Il fico è una delle piante da frutto più diffuse sull’isola d’Ischia. Vuoi per la grande produzione di frutti freschi apprezzati e buonissimi, ma probabilmente perché predisposti ad essere seccati e conservati. Difatti i frutti seccati al sole, per l’alta concentrazione di zuccheri, costituivano una grande riserva energetica per recuperare le forze durante il duro lavoro nei campi, oltre a rappresentare una dolce ed economica consolazione di fine pasto fuori stagione.
Data la grande abbondanza di questi frutti secchi ed il loro largo consumo, ogni famiglia contadina aveva una speciale cassapanca ove custodiva i fichi secchi. Tutte le mattine, prima di recarsi nei campi, dalla cassapanca lo zappaterra prelevava due o massimo tre “chiuppettelle” per il proprio tascapane. Operazione eseguita con estrema parsimonia, sotto il vigile ed amorevole sguardo della moglie: bisognava riservarne una scorta sufficiente per fare i “segni” a Natale.
Un’idea della grandissima produzione di fichi e della loro qualità ce la offre Giuseppe D’Ascia nell’ineguagliabile “Storia dell’isola d’Ischia” del 1863: “(…) Fichi squisiti producono i terreni, secchi sono superiori a quelli del Cilento. (…) Altro prodotto utile sono i fichi secchi squisitissimi – sia sani, sia a coppia, sia a crocette, sia seccate al sole, sia al forno. (…) Altro capo d’industria è il fico secco. Questi fichi si raccolgono in abbondanza in vari pendii dell’isola; propriamente in quei terreni asciutti e ventilati. Rinomatissime per la qualità, importanti per la quantità sono le chioppe d’Ischia, quelle chioppe che Orazio in una delle sue satire indica con questi versi ‘Tum pensilis uva et nux mensas cum duplice ficu’. Se n’esportano 90mila quintali l’anno, producendo un introito di circa duemila e più lire, oltre quelle altre sia sane seccate al sole, o al forno, che a pizze, o ad altri lavori si consumano nell’interno ad uso della famiglia, e degli operai, che sorpassano la quantità delle bianche che si vendono per fuori.”
La preparazione tradizionale dei fichi secchi
Dopo averli colti vengono messi in una cassetta nella quale si accende un “capo” di zolfo. Si lasciano così per un’intera notte affinché i fumi dello zolfo contrastino l’insorgere di muffe e batteri, allungandone la vita, garantendone la morbidezza e conferendone un colore bello bianco.
Il giorno dopo i fichi si spaccano tenendo unite le due metà per il picciolo; poi si dispongono ordinatamente sui tipici vassoi di paglia (nassielli) con la parte interna esposta al sole. Per evitare che gli insetti si poggino sui frutti si coprono con un velo. La durata di questa prima esposizione al sole può variare da un minimo di due ad un massimo di tre-quattro giorni. Trascorso questo tempo i fichi vengono rivoltati ed esposti per un tempo più o meno analogo alla prima esposizione, questa volta con la parte della buccia verso il sole.
Ovviamente, queste operazioni non vanno perse di vista: durante la giornata il sole si sposta da un lato all’altro della casa, per cui i fichi seguiranno lo spostamento del sole. È assolutamente letale lasciarli in ombra ed ancor di più all’umido. Per quest’ultimo motivo, prima del tramonto i “nassielli” con il prezioso carico devono rientrare in casa per evitare che l’umidità della notte li faccia marcire.
Il tempo di esposizione dipende da fattori quali sole e ventilazione, più sono intensi più rapidi saranno i tempi di essiccazione. Questi fattori ed il giusto grado di essiccazione vengono valutati da persone esperte.
Una volta seccati i fichi aperti vengono accoppiati a formare le classiche “chiuppettelle” (coppiette), solitamente conservate in barattoli di vetro con qualche fogliolina di “lauro” (alloro) o rami di finocchietto selvatico, oppure infilati su spiedi di legno alternati a foglie di alloro.
In un cesto natalizio che si rispetti, che il contadino offre per sdebitarsi di qualche favore ricevuto o semplicemente per amicizia, oltre al coniglio con i suoi intestini già puliti, vino, noci, il piennulo di pomodori, il barattolino con la marmellata di mele cotogne, le melanzane ed i funghi sottolio, non possono mancare le “chiuppettelle” di fichi, che serviranno per questa ricetta. Ovviamente, parliamo di prodotti “di casa” che qui equivalgono ad un marchio di tutela e qualità che racchiude e supera definizioni del tipo: biologico, bio-dinamico, doc, dop, etc.
La ricetta: fichi secchi infornati di Natale
Ingredienti: “chiuppettelle” di fichi secchi; mandorle non pelate; noci; nocciole, amaretti; zucchero a velo; mandarini di giardino appena colti; vino passito liquoroso; vino cotto (sapa); buccia di arancia candita e confettini per decorare.
Lasciare le “chiuppettele” di fichi secchi in ammollo in luogo fresco e buio per almeno due-tre giorni immerse in un vino passito liquoroso (moscato o zibibbo di Pantelleria, vinsanto o simili). Questa operazione, anche se non proprio tradizionale, aiuta a farli rinvenire e li riporta alla originaria morbidezza.
Trascorso questo tempo, scolare i fichi dalla marinata e disporre le “chiuppettelle” aperte su una placca da forno rivestita da carta forno. Preparare gli ingredienti per le farce: tostare le mandorle non pelate in forno leggermente cosparse di zucchero a velo, rompere le noci e ricavare i gherigli, sbucciare i mandarini appena colti dall’albero, tritare grossolanamente gli amaretti.
Riempire i fichi a piacimento: alcuni con amaretti, noci tritate e pezzetti di buccia di mandarino; altri con mezzo gheriglio di noce non tritato e buccetta di mandarino tritato; altri ancora con la mandorla tostata e buccetta di mandarino; o ancora con nocciole tostate e buccia di mandarino. C’è anche qualcuno li farcisce con pezzetti di cioccolato fondente e con l’onnipresente buccia di mandarino, frutto natalizio per eccellenza.
Chiudere le “chiuppettelle”, irrorare ogni fico con un cucchiaino della marinata e mandare in forno già caldo per circa 40 minuti a 130°.
Sfornare, disporre su piatto da portata, irrorare con un filo di vino cotto, decorare con la buccia di arancia candita e, a piacere, con confettini all’anice.
Dai un'occhiata anche a:
- La Paposcia del Gargano: gli indirizzi di chi la fa davvero buona
- Carciofi che passione: 33 ricette per tutti i gusti: assoluti, tradizionali,d’autore, con pasta, carne, pesce o vegan
- La mela limoncella della Penisola Sorrentina
- Il cotechino irpino e la pezzente
- Gli antenati della Carbonara al Sud: Scarpella, pastiere montorese e vermicelli pertosani
- La Ciceria di San Felice: i ceci di Cicerale al massimo livello biologico
- Il vero ragù napoletano secondo la tradizione di Raffaele Bracale
- Pasta fresca artigianale fatta a mano, tutta la biodiversità del Mezzogiorno