di Carmen Autuori
C’è un’abitudine tutta italiana che resiste più di ogni altra alle mode: sono i dolci della domenica, la cosiddetta “guantiera”. Costituisce il fine pasto amato da tutti, nel giorno in cui il Bel Paese celebra la cucina casalinga con l’inossidabile menù composto da pasta ripiena, arrosto di carne o di pollo, spesso contornato dalle classiche patate al forno.
In realtà si tratta di un vassoio di dolci assortiti, il più delle volte della tradizione. A dire il vero, negli ultimi tempi stiamo assistendo ad un suo graduale stravolgimento costituito da monoporzioni, in genere a base di mousse alla frutta, al cioccolato, alla crema che, per carità, saranno altrettanto buone, ma prestano il fianco ad una omologazione dei gusti che non appartiene alla nostra tradizione.
Ma facciamo un passo indietro. I primi vassoi di paste domenicali si diffusero agli inizi del Novecento in contemporanea con la nascita delle storiche pasticcerie napoletane Caflish, Scaturchio, il Gran Caffè Gambrinus, tanto per citarne alcune, che diventarono la tappa obbligata all’uscita della messa della maggior parte delle famiglie appartenenti alla nascente borghesia. Era l’epoca dei cafè chantant, dei gagà, giovanotti tanto eleganti quanto fatui, che amavano chiamare l’opulento vassoio “cabaret”, vezzoso francesismo che ricordava, anche nei colori, lo spettacolo all’epoca tanto in voga.
L’abitudine andò diffondendosi sempre di più e di conseguenza fiorirono numerose pasticcerie anche in provincia. Il vassoio cambiò nome e diventò la guantiera, una parola “apolide” che non è né napoletana né italiana. Di guantiera parla anche il Manzoni a proposito del rinfresco organizzato per Gertrude, la monaca di Monza: “vennero subito gran guantiere colme di dolci che furono presentate prima alla sposina”.
Anticamente era una scatola bassa e larga in cui riporre i guanti. Con il passare degli anni, diventò il vassoio come lo conosciamo oggi, quello elegante adatto a servire i dolci, i gelati o i cioccolatini nei rinfreschi. Dal vassoio d’argento a quello di cartone in uso nelle pasticcerie il passo è breve.
A volerla dire tutta, alla fine la guantiera è un vero e proprio elemento democratico della tavola: accomuna, nei gusti, borghesi ed operai, grandi e piccini, Nord e Sud.
Anche il packaging fa parte del rito. Una volta spettava all’uomo acquistare e farsi carico del trasporto del pacchettino incartato con maestria dalla banconiera, infiocchettato in modo da passare due dita nell’asola del nastrino così da avere le mani libere che, nel secolo scorso servivano a porgere il braccio a deliziose signorine con cappelli dalle falde larghe e misteriose velette, oggi a portare a casa le paste senza rovinarle.
Ad ogni buon conto, in ogni guantiera che si rispetti non può mancare il soffice babà, la fragrante sfogliatella nella versione riccia e frolla, la barocca cassatina, la goduriosa testa di moro, una sfera di pan di Spagna ricoperta da codetta di cioccolato, il cannolo siciliano, la zeppola bignè, la zuppetta ingentilita dallo zucchero a velo, la deliziosa, un biscotto di fragrante pastafrolla ripieno di crema al burro e rifinita con la granella di nocciole che al pari della sfogliatella ed il babà è uno dei più classici dolci della pasticceria napoletana.
La deliziosa
Ingredienti per 12 pezzi
500 g di pasta frolla
200 g di zucchero a velo
100 g di burro
150 g di crema pasticcera
100 g di granella di nocciole
1 bacca di vaniglia
Procedimento
Stendere la pasta frolla piuttosto spessa, tagliare con un coppa pasta 24 dischi. posizionarli sulla placca del forno ed infornare a 180 gradi, forno statico, per 20 minuti (devono rimanere piuttosto morbidi).
Montare i burro con 180 grammi di zucchero a velo, aggiungervi i semi di vaniglia e la crema pasticcera. Farcire, a coppia, i dischi di pasta frolla e rotolarli nella granella di nocciole. Immediatamente prima di servire, cospargere i dolci con il restante zucchero a velo.
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