Difficile definire cosa sia un aglianico tradizionale. Molto più facile specificare cosa non è sicuramente: dolce, morbido, fruttato, balsamico.
Psicologicamente, il Taurasi tradizionale deve far rivivere le atmosfere del camino con la sue note di cenere, vagamente fumé, meglio di buon legno bruciato, buccia d’arancia e ciliegia, deve essere acido per sovrastare formaggi antichi e piatti robusti di agnello e capretto. Un vecchietto arzillo che continua a correre la maratona di New York mentre ai giovani scoppia il cuore.
Mi deve far stare da solo, allineato ai miei pensieri senza sovrastarli ma imponendo comunque concentrazione. Devo poter bere tutta la bottiglia perché è poca, grazie a vaghi rimandi di tabacco. Farmi desiderare la donna e non il sesso.
1-Campoceraso 2001 Taurasi docg Struzziero
Magia pura, l’auto fende la nebbia e arriva davanti alla cantina in costruzione. Bevo e cala l’ansia di prestazione, in assoluto il vino rosso che prediligo, frutto dell’algoritmo in cui si calcola l’età del produttore, quella del bevitore, quella delle botti grandi, si divide il tutto per gli anni di attesa e si moltiplica per qualcosa che è sempre più rara, i rapporti umani non monetizzati. Mi piace anche la tua etichetta d’antan Mario, meglio di quelle che ti fanno avere i premi perché vale di più.
2- Radici Riserva 2004 Mastroberardino
Una evoluzione del precedente, ma senza tanta fregnacce: semplice, altrettanto essenziale e silenzioso, ama stare da solo, senza urlare, con quelle simili note di cenere e di ciliegia che si interfacciano in continuazione in un crescendo eterno. Un benchmark territoriale.
3-Taurasi 1999 Gmc Vinicola Taurasi
Remember Emilio Di Placido. Cosa lo avrà spinto a iniziare e cosa lo avrà obbligato a smettere? Il Sud è questo, umore istintivo puro, niente programmazione. Lo spermatozoo a caccia dell’ovulo dal quale poi alla fine nessuno di noi è così distante. Fatto sta che questa versione, provata in jeroboam durante un magnifico Ferragosto 2012 organizzato da Frank Rizzuti ci induce a riflettere sul motivo per cui avendo Brigitte Bardot nel proprio letto, alcuni preferiscono chiudere la porta e andare a giocare a carte al bar.
4-Bosco Faiano 1999 docg I Capitani
Bella la mano straniera di Carlo Introini, uno dei pochi nordici ad essere stato capace di imporre un modello di aglianico non urlato, semplice, efficace e lungo nel tempo. Bevuto a ripetizione e in più circostanze, questo rosso, supportato da un marketing pari a zero, esprime il gusto taurasino della ciliegia matura, della buccia di arancia e della cenere sostenuto da una inesauribile acidità e ci ricorda che la vita di un uomo è molto breve se confrontata a quella di una bottiglia di aglianico.
5-Macchia dei Goti 1994 Antonio Caggiano
Magico anno di cui ci apprestiamo a celebrare il ventennale, a Dio piacendo: io primi articoli, lui ritorno in Campania. Il professore Moio. Tradizionale con le barrique? Ma certo, cribbio: non è lo strumento che impone lo stile ma il suo utilizzo. E il risultato di questo Tarasi non concentrato, dall’unghia aranciata e dal respiro lungo e vitale è semplicemente carismatico e rassicurante. Una sorta di Papa Giovanni, per intenderci.
6-Don Ciriaco 2003 Taurasi docg Mier Vini
Giacomo Pastore è il Taurasi, una vita intera spesa alla ricera del bicchiere giusto, la proiezione non verso il tradizionale, bensì verso l’antico, a cominciare dai legno usato, castagno in questo caso. Un suo bicchiere del palato svezzato senza omogeneizzati lo si capisce, gli altri devono studiare questo rosso irrequieto, baldanzoso, in cerca di cibo ben strutturato.
7-Taurasi 2008 docg Antico Castello
Se c’è un enologo che immedesima il Taurasi naturale, non forzato, questi è Carmine Valentino. La sua concezione un po’ antiquata del ruolo, occhio alla sostanza più che all’immagine, non lo ha fatto diventare padrino di nessun critico e neanche spensatore di etichette. Gira ovunque, il suo interfaccia sono i suoi clienti e la cosa si chiude lì. Questo non lo fa amare dai procacciatori di tangentine enogastronomiche ma a noi che viviamo del nostro sì. Qui il suo incontro con la famiglia Romano è totale, pieno e questa è al momento la sua versione più riuscita.
8-Nero né 2006 Taurasi docg Il Cancelliere
L’approccio di Antonio Di Gruttola non è immediato, bensì cerebrale. Un po’ sul modello del populismo russo di fine ‘800. Ma questo andare alla sapienza contadina antica gli ha consentito di creare grandi capolavori come il Nude 2004 della sua Cantina Giardino. Con Il Cancelliere la sintonia è piena, totale: tutti i membri della famiglia lavorano in vigna e faticano. Dovessi bere un bicchiere in famiglia prima di partire per Marte verrei qui e saluterei tutti beato tra queste piante.
9-Taurasi 1997 docg D’Antiche Terre
A sorpresa scegliamo il rosso di questo vinificatore. Non solo perché è la quarta azienda in attività dell’Irpinia, ma anche per la sua corenza stilistica che non ha mai abbandonato l’essenzialità e l’eleganza. Lo abbiamo provato per caso nella pizzeria Apollo di San Michele di Serino, terra di patate più che di uva, e ci ha soddisfatto moltissimo. E i vini di questa azienda in generale non ci hanno mai deluso. Indicati a chi ama il giusto rapporto tra qualità e il prezzo.
10-Taurasi 1999 docg Caspariello
Ecco un altro esempio classico di Taurasi tradizionale, riferimento per il territorio taurasino. Rosso non concentrato, acidità a morire, energia contadina che spazza le pietre e rovista le zolle, lungo e immortale.
Cosa ci dobbiamo aspettare da questi vini? Sicuramente non la complessità olfattiva, bensì la capacità di evolversi sempre meglio nel tempo e di stare molto bene con il cibo. Il giusto approccio latino al rosso. A molti questa classifica potrà stupire, non a chi gira il territorio perché lo ama e senza guardare a chi fa l’enologo, a chi fa l’etichetta, a quale manifestazione si iscrive.
Il tema dell’anno? Il padrone del vero giornalista è il lettore, quello del vero produttore è il cliente.
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