di Francesco Costantino
Recluso in casa da settimane, dopo aver fatto di tutto, scendo in cantina alla ricerca di non so cosa. Svuotando uno scatolone, trovo un quaderno di appunti di mia madre, ai tempi della scuola di avviamento ( che insegnava i mestieri di casa ), ricette di primi, secondi, salse e dolci. Copertina di plastica blu e fogli ingialliti dal tempo.
La curiosità aumenta , continuo a scartabellare tra gli oggetti e mi trovo davanti questi “strumenti”, intatti. Il ricordo affiora subito alla mente, comincio a percepire prima l’odore che invadeva ogni stanza e poi la fragranza ed il sapore che, inconsapevolmente, mi educavano al buono.
Sento anche le parole di mia nonna che, continuando a friggere, diceva: “nun te li mangia tutti vacant, cu la crema inta, so’ cchiù bbuoni”. Chiudo gli occhi e le immagini cominciano a prendere forma. Avrò avuto 6/7 anni, ero ad Aquara per i giorni di festa, tutte le donne impegnate in cucina.
Gli uomini erano delegati solo all’accensione del camino e del forno a legna , poi dovevano lasciare la casa , per la loro stessa incolumità. Erano loro, però, a raccogliere le canne dalla campagna, a tagliarle alla giusta misura, a ripulirle col coltello, minuziosamente, dalle asperità.
Una volta lavate, solo con l’acqua, venivano asciugate prima, poi passate con un panno intriso di olio o con la sugna (una sola volta e mai più) e messe da parte. Potevano durare tutta una vita e cosi, come nel mio caso, lasciate in dote alla figlia .
Ricetta originale : 750 g di farina – 150 di sugna -150 di zucchero – 5 uova
Ricetta ai tempi del corona virus: 900g di farina – 70g di zucchero- 60 g di olio – 7 uova – 1 bustina di lievito per dolci
Mamma, più grande delle sorelle, era l’addetta all’impasto ed a tirare la sfoglia. Le più piccole poi, come in un gioco ,la tagliavano in cerchi con una tazza o a quadrati, usando le rotelle. Poi uno per uno, venivano delicatamente avvolti sui “canniddi” .
Quando il fuoco era alto, Nonna (era suo il compito piu pericoloso) metteva sul “ treppeto” la pentola piena di olio ed una volta bollente, cominciava a calarne poche alla volte. Ci avvisava di non aprire le fontane, di non far scorre acqua (non ho mai capito perche, ma se lo diceva lei, non andava fatto).
Lo strepitio della sfoglia nell’olio, era come una melodia che annunciava qualcosa di buono, cosi come il pippiare del ragù, ma questa è un’altra storia. Una volta cotti, venivano tirati su con una “scummarola”, e con l’aiuto di uno straccio da un lato, venivano sfilati e riposti a asciugare.
Intanto si preparava la farcia che, a secondo del gusto, poteva essere crema bianca, al caffè , al cioccolato ; d’estate con la ricotta fresca , se lo zio pastore ce ne mandava giù dal pascolo ; qualsiasi fosse il ripieno, erano sempre deliziosi. Non esistevano sacchi à poche , ma usando un cucchiaio il risultato era garantito. Ne preparavano a decine , ma sembravano sempre pochi; adoravo quelli con la crema pasticcera, forse è per questo che ne facevano tanti a due gusti: da un lato bianco e dall’altro con crema al caffe, anche se finiti i miei preferiti, non disdegnavo attingere anche da quelli.
Il tempo non torna indietro,perdiamo le persone care, ma le tradizioni che vengono tramandate, possono far rivivere i ricordi, soprattutto quelli più cari. In un momento in cui la tristezza, stringe il cuore di noi tutti, aver ritrovato questi oggetti mi dona un momento di spensieratezza. Non resta che chiamare mia cugina Clorinda, ultima custode fedele delle nostre abitudini e farmi dare la ricetta cosi da poterla condividere. A volte per essere felici basta poco: una Nonna, una tradizione, una festa e ricordi di una famiglia unita e serena…e tanti cannoli alla crema
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