di Gianmarco Nulli Gennari e Maurizio Valeriani
La grenache è un vitigno che ama viaggiare e che ama il caldo. E in Italia cambia nome a seconda del posto in cui viene addomesticato. Granaccia in Liguria, alicante in Toscana (così come in Spagna), cannonau in Sardegna, gamay perugino del Trasimeno in Umbria, tai (una volta tocai) rosso in Veneto, il rarissimo nelson sull’Etna. L’ultima sua “reincarnazione” è avvenuta nelle Marche, in particolare nell’area del Piceno, dove ha preso il nome di bordò. Nessun francesismo: a quanto pare il nome deriva da un’espressione dialettale sarda (Sa vite burda: ossia la vite bastarda/selvaggia/trovatella) , visto che i pastori sardi, attraverso la transumanza, negli ultimi secoli hanno attraversato ampie zone dell’Italia centrale, Marche comprese.
In realtà fino ai primi anni Duemila il bordò in pratica non esisteva come vino etichettato e imbottigliato: alcuni contadini facevano un po’ di vino sfuso per la famiglia e per la vendita diretta con vecchie viti di cui però si ignorava l’origine. Di sicuro, non era montepulciano: di questo furono subito certi Marco Casolanetti di Oasi degli Angeli, Giovanni Vagnoni de Le Caniette e Valter Mattoni quando assaggiarono un po’ di quello sfuso. E di sicuro era un vino buonissimo.
Così, dopo alcune indagini, da una vecchia vigna a piede franco e dalle marze che ne furono ricavate, cominciarono a provare a produrre le prime bottiglie di quello che sarebbe diventato, nel breve volgere di un paio di lustri, uno dei portabandiera della vitivinicoltura picena. I cui unici difetti sono produzione ancora in quantità confidenziali e di conseguenza prezzo elevato.
È stata perciò una serata di grande importanza quella andata in scena alcune sere fa a Roma, presso l’Osteria Mangiafuoco, dove alla presenza dei produttori è stato possibile degustare tutti i bordò in bottiglia prodotti attualmente e poi abbinarli ai piatti eleganti e sostanziosi del ristorante del patron Carlo Fiori.
Il territorio enoico del Piceno è diviso in tre fasce collinari , una più vicina al mare dove sono Oasi degli Angeli (Marco Casolanetti ed Eleonora Rossi) e Le Caniette (Giovanni Vagnoni), una fascia intermedia dove si collocano Poderi San Lazzaro (Paolo Capriotti), Valter Mattoni e Clara Marcelli (Emanuele e Daniele Colletta), ed una più distante dal mare dove troviamo Pantaleone (Francesca e Federica Pantaloni e l’enologo Peppe Infriccioli).
Seguendo quindi questo percorso che dal mare porta all’interno del Piceno vi diamo le nostre impressioni sui vini della serata:
Igt Marche Rosso Kupra 2013 – Oasi degli Angeli
Da Cupra Marittima. Forse il più conosciuto dei bordò, grazie alla fama del fratellino Kurni. Olfatto di menta, mirtilli, rosa appassita. L’annata, definita da Marco Casolanetti “equilibrata”, ci regala in effetti un vino di buone prospettive evolutive, che già oggi può sfoggiare un’estrazione impeccabile, una bocca vellutata e glicerica, una persistenza e lunghezza notevoli. Da segnalare l’utilizzo di una vasca di cemento crudo (non vetrificato) per la fermentazione di questo vino.
Igt Marche Rosso Cinabro 2011 – Le Caniette
Da Ripatransone con terreni sabbiosi. L’etichetta più “antica”, assieme al Kupra. Profumi di frutto rosso maturo e spezie orientali, china e rabarbaro, sottofondo balsamico. Grande struttura e acidità al palato, tannino succoso, di grandissima eleganza e profondità;
Igt Marche Rosso Bordò 2012 – Poderi San Lazzaro
Da Offida con terreni che sono un mix di argilla e scheletro. Al naso emergono frutti di bosco, cioccolato bianco, cannella. Tannino molto saporito, sorso fresco ed equilibrato. Chiusura marcata nettamente dalla china e dagli agrumi; fresco, elegante e di ottima bevibilità.
Igt Marche Rosso Rossobordò 2013 – Valter Mattoni
Da Castorano. Profumi variegati: ciliegie sotto spirito, cioccolato al latte, chiodi di garofano, anche un lato affumicato. In bocca ha acidità sferzante e perfetta estrazione tannica. Gioca la sua partita puntando sulla bevibilità. E la vince;
Igt Marche Rosso Ruggine 2011 – Clara Marcelli
Da Castorano con terreni argillosi. Nomen omen, al naso spiccano note ferrose, ma anche ematiche, alloro e menta. Sorso sostanzioso ma in buon equilibrio con la freschezza, nonostante il calore dell’annata punta sulla bevibilità e ne esce benissimo. Di grande carattere e personalità;
Igt Marche Rosso La Ribalta 2012 – Pantaleone
Da Colonnata Alta frazione di Ascoli Piceno. È una zona fredda, ed a volte si devono saltare alcune annate per il bordò. Nonostante l’altitudine degli impianti, sopra i 400 mt, il vino risente un po del calore dell’annata. All’olfatto amarena schiacciata, crostata con confettura, un po’ di pepe e noce moscata, lieve traccia vegetale. All’assaggio conferma le prime impressioni con un tannino robusto e molto indietro. Ha ancora bisogno di un periodo di affinamento in vetro.
Assieme ai bordò marchigiani c’era anche un ospite esterno, un vino frutto di un blend tra grenache, syrah e carignano, prodotto a Blera (VT), in una zona senza una grande tradizione dal punto di vista vitivinicolo, realizzato grazie alla consulenza di Marco Casolanetti: l’Habemus dell’azienda San Giovenale. Per l’occasione, il titolare Emanuele Pangrazi ha portato anche un esemplare di grenache in purezza, che ci permette di capire le differenze con i vini marchigiani. Qui l’olfatto è marcato soprattutto da toni di cacao e di visciola, mirtilli e dolci da forno. In bocca è ancora giovanissimo (probabilmente perché campione da botte) ma sfoggia un bel finale di arancia sanguinella. Il “vero” Habemus 2013, un Igt Lazio, “sente” molto il syrah e le sue caratteristiche note speziate e di pepe, ha un tannino importante e buona freschezza.
Un cenno a parte meritano i piatti dell’ Osteria Mangiafuoco, preparazioni ben eseguite, che sono riuscite a coniugarsi con i grandissimi vini in degustazione.
Citiamo tra tutti i Ravioli di Chianina con salsa in erba cipollina e riduzione al Chianti, Tonno del Chianti con insalata di carciofi e chutney di mango (trattasi in realtà di maiale a straccetti), Filetto di cinghiale affumicato con rucola, arancia, balsamico e mostarda di ananas.
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