Quando leggo i blog del vino trovo sempre qualcosa che ignoro, ho la spinta a cercare, soprattutto percorro sentieri culturali inediti, acchiappo idee e scippo progetti. Quelli del food, anche quando sono perfetti nella loro algidità senile, invece sono spesso noiosi deja vu.
Come mai? Ma, soprattutto: è vero? Non dovrebbe essere il contrario? Il compleanno del sito Lavinium mi ha spinto ad alcune riflessioni che vi trasferisco.
Una cosa è certa: se in rete Ornellaia, Antinori, Gaja, Feudi, Zonin &C.ricevessero la stessa attenzione di Uliassi, Esposito, Scabin, Bottura &C potrebbero dormire sogni tranquilli. Invece di fatto mentre nei blog e siti specializzati nel vino si cerca continuamente il nuovo, in quelli di food si mangia quasi sempre la stessa minestra riscaldata.
Il discorso è molto interessante perché ha secondo me implicazioni profonde per il breve e forse il medio periodo.
La cartina di tornasole è il rapporto tra rete e cartaceo. Nel primo caso chi scrive di vino già da almeno cinque anni ha imposto un cambio di marcia alle guide ufficiali, un po’ con la solita valanga di insulti e contumelie, ma, secondo me, anzitutto con il lavoro sul campo. Effettivamente le guide tradizionali difficilmente possono scovare novità e battere internet e sono numerosi i vini evento ancora privi di riconoscimenti ufficiali.
In questo caso internet rende superflue quasi le guide cartacee, oppure impone un profondo ripensamento come è avvenuto con Slow Food che prova una strada nuova il cui esito, al quale io partecipo entusiasta, è tutto da verificare.
Completamente opposto il discorso sui ristoranti. Qui nessuno può scoprire niente, a meno che non abbia letto attentamente le guide prima di sputare sentenze come pure è capitato con il Kresios di Benevento. Il food dunque è solo una lettura di comparazione tra internet e cartaceo, anzi, la rete si nutre di quello che stabiliscono le guide, prova a giocarci di rimbalzo senza poter mai costruire un’alternativa reale. Leggiamo recensioni dissacranti, ma i protagonisti sono sempre gli stessi, non c’è nessun Francesco De Franco, nessun Antonio Di Gruttula da portare in vetrina nel food che non lo sia già stato nelle guide.
Io ho qualche spiegazione di questa cosa, forte di una posizione privilegiata perché mi occupo di entrambi e soprattutto lavoro sia sul web che nelle guide tradizionali.
Prima considerazione
Il vino è qualcosa di obiettivamente molto nuovo in Italia, si può diventare esperti anche in età giovanissima perché le bottiglie viaggiano ed è possibile con quattro, cinque anni di intenso lavoro raggiungere buoni livelli di conoscenza e degustazione. Questo rende più facilmente comparabile il giudizio delle guide e soprattutto di lavorare in un mondo che non potrà mai essere completamente mappato a livello istituzionale.
Il vino è giovane, la rete è giovane: il binomio è stato naturale. Per me è stata una sorta di gerovital l’immersione in internet e quando guardo i colleghi che ne sono rimasti fuori mi sembrano personaggi da Jurassik Park.
Seconda considerazione
Esattamente opposta la situazione dei ristoranti, non a caso l’età media degli esperti è più alta con meno ricambio, fatta eccezione di Marco Bolasco che a dieci anni aveva già mangiato quattro volte in tutti gli stellati d’Europa. Io stesso nel vino sono ormai “anziano” mentre nel food ancora “giovane”.
Per conoscere la ristorazione serve disponibilità di tempo e di danaro e l’impresa di mappatura funziona solo se collettiva, se cioé esiste una grande rete sparsa sul territorio.
Con questo non voglio dire che la rete è inutile nel food, ma solo che dovrà confrontarsi ancora per molti anni con le guide cartacee mentre il mondo del vino di fatto già le ignora, e non per snobismo, ma semplicemente perché non servono più come prima.
Vista dall’altra parte della barricata, questa situazione facilita i ristoratori i quali devono continuare ad essere semplicemente se stessi, ciascuno con le proprie astuzie e bravure mentre impone un radicale ripensamento alle aziende del vino, soprattutto alle grandi che, al di là dei responsi di mercato, devono totalmente ripensare il proprio posizionamento di immagine.
In finale, ho la sensazione che la rivoluzione internettiana sia stata ormai già completamente consumata nel wine mentre è ancora agli albori nel food.
Per dirla tutta: oggi non è concepibile una manifestazione di vino senza la presenza dei siti specializzati che contano quanto e forse più di quotidiani e riviste (la tv è fuori da questo discorso). Mentre una iniziativa di food è ancora possibile pensarla con gli ospiti di sempre.
E vi dirò, so che questo discorso va incazzare il simpatico Vuggì, ma questa situazione a me non dispiace perché scrivere di vino implica preparazione e competenza, la rete automaticamente mette ai margini chi scrive coglionate o imprecisioni, mentre tutti pensano di poter dire la propria sul ristorante dove si è mangiato.
Vuggì non è il futuro, è solo la dimostrazione del punto massimo di penetrazione della rete in questo gioco di sponda con il cartaceo che gli detta l’agenda degli appuntamenti. Sarà sempre lui ad andare da un ristorante segnalato in guida e mai viceversa.
Nel primo caso, nel vino, la rete esprime competenze, nel secondo, nel cibo, regala solo dignità scritta al passaparola di qualche anno fa.
Il mio consiglio alle aziende di vino, gratis e dunque inascoltato, è quello di bagnarsi nel mare magnum dell’umiltà e puntare sui contenuti invece che sulle cazzate. L’abbiamo ripetuto più volte, il tracollo d’immagine del Brunello è avvenuto perché i discorsi sull’agricoltura sono stati immediatamente accantonati. Ma forse perché, in questo caso, c’era poco da dire.
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