di Francesco Immediata
Senza perderci in troppi fronzoli e ripartendo subito dalla domanda con cui ci siamo lasciati possiamo facilmente affermare che se l’America chiama l’Europa risponde. Se poi si considera la multiculturalità europea presente anche in campo brassicolo è facile immaginare come al posto di una singola risposta l’Europa si sia espressa in modi diversi riguardo il trend della luppolatura massiva. Ecco quindi poter scorgere tre diversi filoni di pensiero che attraversano il vecchio continente (alcuni direttamente sentiti dalla bocca dei produttori altri invece dedotti dall’analisi delle politiche commerciali).
Non è mia prassi inventare degli appellativi ma, in questo caso, consentitemene tre, utilizzati in maniera leggera e ironica, per caratterizzare le birre e i birrifici che al momento meglio rappresentano questi tre filoni.
Per iniziare parliamo dei “recuperatori” e dei loro prodotti come la XX Bitter del Birrificio De Ranke di Wevelgen nelle Fiandre Orientali. Quando nel 2007, per una serie di fortunate coincidenze insieme ai miei cari compagni di viaggi cultural brassicoli, visitammo il birrificio De Ranke, di Nino Bacelle e Guido Devos (nomi e cognomi tipicamente fiamminghi!!!) la prima cosa spiegataci fu l’origine del nome De Ranke. Con questo termine s’intende la parte finale del rampicante da cui poi fuoriescono le infiorescenze usualmente utilizzate fresche nella fase di luppolatura. La seconda inscindibile dalla prima è che questo luppolo è quello esclusivamente di Poperinge (piccolo paese delle Fiandre Occidentali) e la terza, che chiude il cerchio, è la motivazione di tale utilizzo. Secondo Nino il mercato belga negli ultimi 35 anni dello scorso secolo si era appiattito a causa dell’immissione di prodotti simil abbaziali spiccatamente alcolici e dal corpo pieno, carichi di sentori caldi e di spezie ma così omogenei tra di loro che quasi nessuno riusciva a emergere e contraddistinguersi. Per non cadere nella stessa trappola della stereotipizzazione Nino e Guido decisero di riprendere delle vecchie ricette di quelle terre che prevedevano un utilizzo netto ma ponderato del luppolo di Poperinge. Da queste basi nacque la XX Bitter, belgian Ale fortemente luppolata al naso e potentemente amaricante in bocca e la sua sorella più abboccata e beverina che ben nasconde il suo tenore alcolico di 8,5% la Guldenberg. La scena più bella che ci è apparsa dinanzi agli occhi è stata l’apertura della cella frigorifera in cui erano conservati i luppoli freschi e interi che continuavano a sprigionare i lori sentori. Niente panetti ne pellet di luppoli americani ma semplici e verdi infiorescenze coltivate e raccolte a poche decine di chilometri dal birrificio. Tale produzione iniziata in tempi non sospetti, alla fine degli anni ’90, quando APA e Double IPA da oltre oceano ancora non erano sbarcate, al contrario ha fatto si che la XX Bitter avesse un grande successo proprio negli States. Volendo avvalorare ulteriormente la tesi del recupero vi è il vicinissimo esempio della Poperings Hommelbier una delle poche birre luppolate da anni presenti sul mercato prodotta sempre con i luppoli amaricanti di Poperinge.
Nel secondo filone è possibile inserire un gruppo di produttori che mi permetto di definire in maniera fortemente sarcastica i “cavalcatori”. Questi infatti per cavalcare quell’onda di entusiasmo che dall’America sta permeando l’Europa, nonché per aggredire il florido mercato che si è creato per le famiglie APA & Co, da un triennio circa ha iniziato a diversificare la produzione ordinaria portando alla luce single shot esclusivamente per questo nuovo target di consumatori.
E’ ad esempio oggi possibile reperire e provare, anche sul mercato italiano, la Lupulus della Brasserie 3 Forquets, la Hopus della Brasserie Lefèbvre e ancora la Hop-it della Urthel ma soprattutto la Houblon della Achuffe e la Hopsinjoor della Het Anker. Chi mi conosce sa che arrivati a determinati valori di IBU il mio palato inizia a protestare ma ciò non toglie che parimenti esistano degli amanti del bittering; il nodo in questo caso è però legato, soprattutto per questi ultimi due birrifici, al totale allontanamento dagli stili birrari usualmente prodotti.
La Houblon è stilisticamente pulita e netta nella sua definizione ma è innegabile che il birrificio dello gnometto delle Ardenne deve la sua fama alle sue Chouffe, Mc Chouffe e Chouffe’n’ice che di bittering non hanno nulla. Stesso discorso per Het Anker Browerij che dalla lontana Michelen (Malines) oltre alla tradizionale linea Goulden Carolus, ci delizia e ci gratifica ogni 24 febbraio con la cotta delle Cuvée van de Keizer, ma poi ci propone questa nuova ma “normalissima” Hopsinjoor. Non credo che in questi casi si possa parlare di diversificazione dell’offerta quanto di semplice rincorsa alla soddisfazione della domanda (alimentata da chi poi è tutto da scoprire)!
E infine ci sono i giovani “innovatori”. E’ con non poco piacere che negli ultimi anni si è assistito alla nascita di birrifici dal valore aggiunto altissimo che hanno subito deliziato il mercato mondiale con delle chicche a dir poco stupefacenti. Ancor più stupefacente è poi il fatto che, a parte casi come i De Struise che sono belgi e i De Molen che sono olandesi, si tratti di birrifici sorti in nazioni come la Danimarca e la stessa Italia dove la cultura birraria non è proprio sempre stata di casa.
Andando nella terra di Amleto è allora facile imbattersi nella 100 grams IPA della Ølfabrikken che grazie a un’aggiunta continuata di luppolo raggiunge i 100 di IBU ma soprattutto si ha la possibilità di provare i prodotti del Birrificio Mikkeller. Proprio Mikkeller, insieme a De Struise (Belgio), De Molen (Olanda) e BrewDog (Scozia), rappresentano oggi il pool di maggior impatto produttivo birrario in Europa. Continue e spettacolari sono le produzioni “sperimentali” di questi danesi da cui è possibile pescare oltre alla più convenzionale Mikkeller DIPA (Double IPA) anche una GIPA (German IPA così chiamata per l’utilizzo del luppolo tedesco Tettnanger) ma soprattutto la serie delle Single Hop (cioè prodotte con l’utilizzo di una sola tipologia di luppolo) su cui spicca la Mikkeller Single Hop Nelson Sauvin senza dimenticare quel pazzo esperimento (singola cotta) dal nome Mikkeller X HOP Juice 2007 dove si dice si raggiungono addirittura i 2007 di IBU!!!
Questa volta l’Italia non ha atteso tempi atavici per mettersi al passo con gli altri e, grazie all’intraprendenza dei nomi noti (che non si sono addormentati sugli allori iniziali) e meno noti del mercato brassicolo artigianale italiano, sono usciti prodotti come Re Hop del birrificio Toccalmalto di Fidenza (PR) o la ReAle extra del più noto e famoso Birra del Borgo di Borgorose (RI) senza dimenticare la Boot Hill APA del White Dog di Guiglia (MO) e altre ancora che non cito perché non ancora provate o che mentre scrivo stanno vedendo la luce dal tino di cotta o stanno toccando il loro primo vetro.
Recuperatori, cavalcatori o innovatori che siano i prodotti sono molti è la scelta ampia ma come questo esempio ci mostra l’importante è sperare che sia sempre il cliente a fare il mercato e non il mercato a imporre i prodotto altrimenti …… mettete sotto chiave la vostra riserva di Westvleteren 12!!!