Si legge Martusciello, ma si pronuncia Campi Flegrei. Ma anche Gragnano, Lettere, Asprinio d’Aversa, Lacryma Christi. La quarta generazione di questa famiglia puteolana ha completato il lavoro iniziato dalla terza, cioé da Gennaro e Salvatore Martusciello che nel 1992 attraversarono il loro Stargate enologico lasciando alle spalle il tranquillo mondo della vinificazione in cui tutte le uve diventavano vino per iniziare a dare nome e cognome alle bottiglie, comprese quelle dei conferitori di Gragnano.
Dalla Vinicola Flegrea, nata a fine ‘800, a Grotta del Sole.
Che rivoluzione culturale in una città dove tutto il vino era o Gragnano o Solopaca di nome ma non di fatto, che anticipo su tematiche alle quali il vino italiano è arrivato nel suo complesso solo dopo la crisi aperta dall’attacco alle Torri Gemelle. E come doveva essere difficile, appena vent’anni fa, spiegare semplicemente che in Campania si faceva vino e riuscire a piazzare le bottiglie con le etichette.
Nel 1999 pubblicai per il Mattino una serie Le Famiglie del Vino e rileggendo la puntata sui Martusciello emergono suggestioni e nodi, in parti risolti in parte no. Li avevo visitati per la prima volta nel 1996 affascinato, appunto, dalle loro prime bottiglie di Gragnano, un vino sempre fantastico sulla pizza marinara. Con Salvatore, il figlio di Elena, avevo fatto un giro per conoscere di persona i conferitori.
La fortuna di questa cantina è nella esistenza di un doppia anima, una vocata alla comunicazione e al commercio che vede protagonista Elena Martusciello, presidente delle Donne del Vino, il figlio Salvatore e la moglie Gilda, l’altra testarda e anche un po’ introversa che vede Francesco il Grande (fratello di Salvatore), Francesco il Piccolo (cugino) e che aveva come riferimento in azienda Gennaro, per anni presidente dell’Associazione Enotecnici, che ha vissuto una vita da tecnico nella Vinicola e una da studioso e appassionato ricercatore di biodiversità in Grotta.
Dall’equilibrio di queste due anime, spesso intercambiabili, è uscito fuori un coerente progetto enologico di recupero dei territori. Un po’ come gli astronomi battezzano le galassie, così i Martusciello hanno restituito i nomi ai territori della Campania: Gragnano, Campi Flegrei e Asprinio d’Aversa sopra tutti gli altri.
Agricoltura, rapporto decennale con i conferitori, impostazione seria in cantina: ecco il contesto in cui opera questa cantina leader sul territorio a Nord di Napoli e punto di riferimento per la Campania.
“Perché non proviamo insieme tutte le annate di Falanghina che abbiamo?” Così che nasce l’idea di una serata prima della vendemmia per stare insieme, noi del gruppo Slow Wine, con gli amici Romualdo Scotto di Carlo e Tommaso Esposito, ospiti della famiglia Martusciello e del nostro fiduciario Vito Trotta, responsabile del progetto presidi Slow.
Certo non è facile, nell’accezione comune Falanghina e tempi lunghi costituiscono un ossimoro incolmabile. Non solo: nessuno poteva pensare ad un tempo invecchiato dal punto di vista commerciale ed è per questo che noi berremo vini di cui l’azienda ha disponibilità solo nel 2010 e nel 2009. Le altre sono state reperite in giro tra mille peripezie.
Costa di Cuma nasce proprio con l’ambizione di creare qualcosa che abbia la possibilità di durare più di un anno, tempo massimo nella testa della maggioranza dei ristoratori entro il quale si deve bere un vino bianco. Come dire: conoscere un uomo a dieci anni e poi non interessarsi più della sua evoluzione mentale e professionale.
Nasce in uno dei primi due vigneti acquistati dalla famiglia Martusciello, due ettari e mezzo a circa 230 metri di altezza sul cocuzzolo di una collina nata da quell’enorme frullatore vivente che è il sistema dei vulcani nei Campi Flegrei che all’epoca di Roma Imperiale era il porto tirrenico più importante proprio per il commercio di derrate alimentari e dove i ricchi si costruivano le ville. La Campania Felix che abbracciava il Falerno e il Vesuvio.
Un 30% è a spalatrone puteolano, in cui la vite si marita con il palo, il resto a spalliera, inizialmente doppio guyot con quattro cinque gemme per lato, poi su un solo lato sino a nove gemme perché l’esperienza ha dimostrato che la Falanghina è ben prolifica più o meno dalla terza gemma in poi.
Un vigneto a piede franco grazie al terreno vulcanico sabbioso e sciolto, secondo me elemento poco messo in risalto nella comunicazione e che invece fa di questo vino un episodio unico e irripetibile su questa scala. La prima vendemmia è stata nel 1995, Gennaro ci ha lavorato sino al 2003 quando è iniziata la collaborazione con Attilio Pagli, durata sino al 2009 quando in vigna è subentrato Francesco jumior, e con Federico Curtaz che prosegue felicemente.
Dalla 1999 si è iniziato ad usare barrique di secondo passaggio sia per la fermentazione che per l’affinamento mentre sino al 1998 la fermentazione alcolica era gestita in acciaio e poi il vino travasato in legno. In legno il vino resta per sei mesi, poi si eleva in bottiglia per circa otto, dieci mesi ancora. La vendemmia inizialmente si faceva alla terza settimana di ottore, adesso poco dopo San Francesco.
La serata è stata latina, piena di risate, di gioia, con tanti giovani professionisti a cui spetta il compito di coltivare, vinificare e scrivere il futuro di questa bellissima regione. Di schiettezza perché la famiglia era curiosa di sapere e un po’ in ansia per quel che sarebbe avvenuto, noi di Slow Wine perché non siamo rivenditori di vino o grafici di etichette e possiamo scrivere e parlare in sincerità perché rispondiamo solo al lettore, all’associazione e all’editore.
Per me e per Vito è stato sicuramente strano entrare in Grotta sapendo che Gennaro ci ha lasciato. Ma poi, a conti fatti, è stata la persona più presente in tutta la serata, non solo nei bicchieri, ma anche e soprattutto nei discorsi.
Ecco come è andata.
Coste di Cuma 2010 Campi Flegrei doc
Il primo bicchiere è ancora giovanissimo, gode di un’annata decisamente favorevole, che gli regala spalle larghe e buone prospettive negli studi. E’ ricco di agrumi, arancia soprattutto, con una vocazione inespressa al dolce olfattivo che al palato viene dimenticata dai toni freschi, secchi e amari di una beva senza compromessi piacioni. Potente e appena con l’alcol sopra le righe.
Coste di Cuma 2009 Campi Flegrei doc
La seconda annata ha equilibrio, forse un po’ meno complesso della precedente, ma ha il vantaggio di un anno e si esprime con una bella nota di pesca bianca al naso, il sottofondo di agrumi mentre al naso viaggia veloce e snella come un treno ad alta velocità. Dissetante, di grande precisione in ogni punto del palato, ha un finale lungo ed efficace.
Coste di Cuma 2007 Campi Flegrei doc
Forse la delusione della serata. La frutta, evoluta, cede il passo al legno, cosa che non era avvenuta per le precedenti due. Un olfatto sostanzialmente dolce a cui corrisponde un palato leggermentre molle, un’acidità sovrastata da tanta materia. Trattandosi di una bottiglia non conservata in azienda, come le seguenti, non possiamo sapere se è l’evoluzione dell’annata o se si tratta di un episodio. Avremo modo di riconsiderare il tutto.
Coste di Cuma 2004 Campi Flegrei doc
Un bianco molto affascinante e vivo, in piena amaturità, con note di frutta evoluta, un po’ di miele di acacia, agrumi maturi e un sottofondo di idrocarburi e funghi. Il legno è completamente fuso nella bottiglia, rispunta di tanto in tanto con segnali di tostatura poi declinanti verso le note fume. Di grande impatto e destinato a vita ancora molto lunga.
Coste di Cuma 2003 Campi Flegrei doc
La sorpresa della serata, come sempre accade con i vini di questa annata che però rivela ottimi rossi da Aglianico e bianchi molto interessanti se partiti da buona verve acida, sempre in secondo piano nelle prime battute ma che poi emerge rendendo possibile l’impianto enologico e reggendo tutta l’impalcatura. Perfetto equilibrio aò naso tra frutta matura e note speziate del legno, in bocca è frescco, con una leggera punta di alcol in eccesso, buona chiusura amara lunga e piacevole.
Coste di Cuma 2000 Campi Flegrei doc
Anche in questa occasione il millesimo, primo della batteria tropicale ancora in corso, rivela tutte le sue problematicità. Intendiamoci, il vino ha un buon naso evoluto, ma è il primo che rivela note ossidative mentre in bocca è scattante ma con il limite di essere inaspettatatemente magro, corto. Tanto è vero che l’ultima sensazione percepita è la freschezza che lo trascina fino al centro bocca per poi fermarsi. Una incompiuta insomma.
Coste di Cuma 1998 Campi Flegrei doc
Questo vino, fresco, agile, pimpante, vulcanico, complesso, lungo e giovanile mi ha ricordato per certi versi il brio del Montevetrano 1992. Una grande bottiglia che ha conquistato in maniera unanime il cuore di tutti i degustatori. Un vino i cui bicchieri sono stati tracannati per la faciltà di beva, il naso piacevolmente balsamico ben lontano da ogni caricatura. La chiusura amarognola ci lascia in ricordo una notà fumé appena accennata e un ritorno di idrocarburi. Ci siamo tutti emozionati.
Coste di Cuma 1997 Campi Flegrei doc
L’annata del secolo, lo ricordiamo tutti. Qui c’è la prima volta forte la percezione di vino da inizio declino ossidativo. Ha il grande svantaggio di essere bevuto dopo il 1998, ma la vità è così. Altrimenti avrebbe comosso tutti per il suo naso ricco di miele e di frutta agrumata candita e la freschezza che, sia pure integrata nel corpo della beva, regge ancora l’impianto impedendo ogni appiattimento nel palato.
In conclusione, il voto finale per annata, in cui ciascuno poteva esprimre una sola preferenza fatta salvo la 1998 giunta prima, abbiamo a seguire la 2004, la 2003, la 2009. Bene 2010, benino 1997, delusione 2007 e, in parte 2000.
Una serata indimenticabile, che restituisce le ragioni della passione per il vino e per l’agricoltura.
Poi consolati dai piatti di Bobò.
Grotta del Sole
Abbiamo bevuto un vino che in uscita, prezzo al pubblico, costa 8,60 iva inclusa.
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