Greco di Tufo Vigna Cicogna e Fiano di Avellino di Guido Marsella? Questo è stato il dilemma di una partita iniziata con la vendemmia 2007 e terminata ieri tra un Brut Paillard 2004 e un Antica Fratta 2006:-)
Il grande vantaggio di aver seguito la Campania negli ultimi 20 anni è trovarsi bottiglie di grandissimo pregio a cui nessuno dava valore quando uscivano dalle cantine. Basti pensare che un Greco di Gabriella stava a poco più di 8 euro e Marsella non superava i dieci. Erano i primi anni di riflusso commerciale, tra ingresso dell’euro e Torri Gemelle, il prezzo dell’uva era crollato in maniera incredibile e moltissimi, dal 2004 in poi, iniziarono a vinificare in proprio.
I brand costruiti negli anni ’90, quelli d’oro, hanno però affrontato meglio la crisi e ancora oggi si legge Greco ma si pronuncia Benito Ferrara, si legge Fiano e si pronuncia Marsella o Clelia Romano, si legge Taurasi ma si pronuncia Molettieri o Caggiano.
Parliamo di piccole aziende che sono nate proprio dalla specializzazione di un vitigno anche se poi, a nostro giudizio sbagliando, hanno ceduto alla tentazione di fare anche altro. Ma è andata così e in fondo il nome è rimasto comunque attaccato al vitigno da cui hanno avuto ragione di vita.
La 2007 è stata un’annata calda, il che vuol dire che gli enologi sono contenti e le zone più fredde come l’Irpinia se ne avvantaggiano notevolmente.
Non mi piacciono gran che i Taurasi di questo millesimo, ma devo ammettere che non hanno mai una sbavatura, non emozionano.
I bianchi, invece, sono un altro discorso.
Dunque in una cena tra amici, alici calabresi, burro piemontese, pasta campana, provolone lucano e talli cilentani, ci inventiamo il tema e andiamo a vedere cosa hanno da dire questi due mostri sacri e affidabili.
La sintesi giornalistica è questa, il naso gode con il Fiano, il palato con il Greco di Tufo. Ma la realtà poi alla fine è un po’ più complessa di quanto appare.
La tavolata finisce per preferire il Fiano, ma il mio bicchiere è stato il Greco.
Il Fiano di Guido si presenta come lo conosciamo: opulento, ricco, con la nota fumé e lo sbuffo di idrocarburo, al palato è ancora fresco, sapido ma inspiegabilmente debole nel finale, ossia privo di quel balzo che di solito la caratteriza dal centro bocca, chiude quasi a fatica, sommesso, ma pulito e preciso.
Un naso che evolve di continuo man mano che il bicchiere si riscalda, rimandando ad esempio a confettura di agrumi, note di pasticceria, funghi.
Il naso del Greco di Grabriella invece appare inizialmente vissuto, con sentori di frutta molto evoluti e quelli di zolfo che coprono il filino ossidativo che però a me non dispiace. Già il colore tra i due vini è diverso, per usare termini tecnici, un color paglierino carico il Fiano, un giallo oro il Greco. Ma è al palato che il Greco mi conquista, anzitutto per la secchezza totale e assoluta, la sensazione di salato, la grande energia che sprizza grazie ad una acidità ancora oggi, a distanza di otto anni.
Un bicchiere che è quasi da meditazione e che chiude con uno scatto imperioso, vivo. Quasi una frustata.
Insomma, chi ha vinto? Machisenefrega!:-)
Una bellissima bevuta, la gioia di vivere bianchi così è un vero privilegio: carattere, carattere e ancora carattere. Ma soprattutto, diciamolo a voce alta, inimitabili.
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