di Lello Tornatore – Tenuta Montelaura
” Sei veramente gelida, Bice, se ieri sera nemmeno il vino Greco e’ riuscito a scaldarti “. Questa è la traduzione dal latino, dell’epigrafe di un affresco ritrovato a Pompei, risalente quindi al secolo precedente la nascita di Cristo. Ma non sono le presunte caratteristiche afrodisiache del vino Greco del tempo, ad interessarci (almeno il sottoscritto ), piuttosto le origini molto antiche del vitigno. Esso inizialmente fu impiantato e coltivato sui terreni alle falde del Vesuvio insieme ad altri vitigni bianchi con i quali concorreva nella produzione del famoso Lacryma Christi. Ed è solo nel XVII° secolo che il Greco trovò perfetta collocazione nell’area di produzione odierna e cioè in otto comuni della Valle del Sabato :Tufo, Altavilla Irpina, Chianche, Prata P.U., Petruro Irpino, Torrioni, Santa Paolina e Montefusco.
Ed è proprio nell’ “areale” di Montefusco che si colloca ” Vigna Breccia”, la vigna dei fratelli Gnerre, storici conferitori della Cantina Montesole sin dall’esordio, nel lontano ’94. Questo areale da dei vini naturalmente diversi dagli altri, nel senso che mano a mano che ci si allontana da Tufo andando verso Montefusco, la potenza solfurea si attutisce sempre più, fino a quando, proprio a Montefusco che è l’ultimo comune della denominazione, lascia prevalere l’eleganza dei sentori agrumati sulla potenza di quelli minerali ( ah questa benedetta-maledetta zonazione, quanto sarebbe utile farla!!!).
Il Greco di Tufo Vigna Breccia fa parte di un progetto complessivo nato nel 2007 in concomitanza con il cambio di guardia degli enologi nella “Montesole”. Michele D’Argenio, nuovo enologo della cantina, chiese ed ottenne la realizzazione di un progetto che prevede la selezione di vini crù da vigne maggiormente vocate tra quelle dei conferitori storici dell’azienda, nelle tre tipologie di vitigni delle docg. Nascono così “Vigna Vinieri” per il Taurasi, “Vigna Acquaviva” per il Fiano e “Vigna Breccia” per il greco.
Come per le altre due vigne, Vigna Breccia non è un nome di fantasia, non c’è nessuna favoletta costruita dal marketing, ma è proprio secondo la toponomastica catastale che la vigna si chiama così e la motivazione è ben evidente andando a calcarne il suolo composto da terreni argillosi misti a piccole pietre (breccia).
Siamo tra i 600/650 mt slm, quindi con escursioni termiche notevoli, le pendenze esagerate del vigneto di un ettaro e mezzo, sono tutte a vantaggio del perfetto sgrondo delle acque meteoriche, che diversamente sarebbero una iattura per terreni argillosi come questi. A dispetto del classico sistema di potatura del Greco di Tufo a quattro, sei tralci che si dipartono dal fusto principale, adottato dalla stragrande maggioranza dei produttori a causa della scarsa produttività del vitigno (spesso alcune gemme sono cieche), qui a Vigna Breccia, la maniacale volontà di ridurre le quantità a vantaggio della qualità, porta ad adottare un Guyot a due soli tralci, stesi sul primo filo di ferro in opposta direzione.
Ed è anche per questo che le rese ad ettaro sono bassissime, oltre che per la scarsa densità d’impianto visto che parliamo di una vigna vecchia (circa 2500 ceppi per ettaro, allora così ” si usava”), nell’ordine di circa 60 qli ad ettaro. Gli Gnerre, tre generazioni di viticoltori, che durante il ciclo produttivo hanno incontri periodici con Michele D’Argenio, enologo di Montesole, praticano inoltre una potatura verde rigorosa, usano fare cimatura apicali ma non defoliazioni laterali che potrebbero esporre le uve a scottature pregiudicanti. Nessuna concimazione e nessun diserbo chimico viene praticato, una sola lavorazione del terreno dopo la vendemmia (vangatura), per renderlo più ossigenato, e poi solo sfalci dell’erba. Passiamo alle lavorazioni in cantina, che rappresentano quanto di meno invasivo possibile, alla luce delle nuove tecnologie: vinificazione in bianco, pigiatura soffice con abbattimento delle temperature del mosto fino a 12°, questo già dal convogliamento del pigiato in pressa.
Qui staziona in macerazione per brevi periodi onde avere un’estrazione di aromi più completa. Successivamente solo il fiore del mosto viene utilizzato per il crù Vigna Breccia, mentre la restante parte va per la linea base. Nessuna filtrazione, l’illimpidimento avviene attraverso l’utilizzo della tecnologia del freddo e quindi dopo questa prima chiarifica si va in fermentazione con lieviti varietali per circa 20/30 gg. Subito dopo il primo travaso, effettuato per eliminare i residui grossolani intanto precipitati sul fondo, si inizia la fase di affinamento sulle fecce fini, che dura circa sei/sette mesi a seconda dell’annata. Una nuova chiarifica, sempre con il solo freddo, e via in bottiglia per almeno tre mesi. Ma già da quest’anno sembra che l’azienda, molto sensibile alle sollecitazioni del suo enologo Michele D’Argenio, voglia allungare i tempi per la presentazione dei crù, infatti al Vinitaly 2012 sarà presentato il Vigna Breccia 2010.Passando alla degustazione, restiamo già colpiti dal colore, che è leggermente più scarico di quelli dell’areale di Tufo, ma con riflessi verdognoli. E già questo la dice lunga sulle potenzialità evolutive del vino. Ma procediamo nella degustazione, verificando una bella consistenza oltre ad una magnifica vivacità.
Al naso inizialmente ci appare un pò chiuso, sarà stato per la temperatura troppo bassa( 9/10 gradi), sarà perchè aveva naturalmente bisogno di qualche minuto per aprirsi, fatto sta che abbiamo appena avuto il tempo del primo boccone di Mallone, che siamo stati investiti da un’esplosione di profumi, intensi ma eleganti, agrumi per primi, in particolare pompelmo rosa, poi pesca, albicocca ed infine il minerale.
Il primo sorso si è militarmente piazzato ai lati della lingua come a presidiare zone di confine, per poi invadere anche il centro, occupando così, tutte le papille gustative. Al secondo, la pienezza di bocca si è confermata completa, dandoci una sensazione di avvolgente sapidità. Ecco, siamo prigionieri di Vigna Breccia…ma ci siamo “quasi ” liberati grazie a quella delizia che ci avevano preparato in abbinamento : Sua maestà il “Mallone”, dico quasi perchè l’abbinamento non è risultato perfetto, il vino prevaleva sul piatto(e ci credo!!!). Allora, ricordandomi dei suggerimenti di abbinamento del Greco di Tufo con l’agnello, che Angelo Muto (Cantine dell’Angelo) più volte mi aveva dispensato a larghe mani nel mio più completo scetticismo, l’ho voluto provare anche sull’agnello alla brace.
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