Uva: greco di Tufo
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno
Quando alle spalle hai 250 ettari di buon vigneto-giardino, capace di cambiare il volto agrario di intere colline un tempo abbandonate, e poi quel diavolo di Pierpaolo Sirch, noto cacciatore di vigne antiche sparse per l’Italia, e poi consulenti come Riccardo Cotarella e Mario Ercolino, diventa difficile sbagliare un vino. Produrne uno buono che, sono sicuro, sbancherà nelle degustazioni coperte, in quasi un milione di bottiglie, è segno però di essere una delle aziende leader in Italia. Già, perché elaborare un vino indimenticabile o semplicemente caratteristico attestandosi sui 5000, 10.000, anche 20.000 pezzi, non è poi così difficile avendo a disposizione esperti, territorio e esperienza ormai quasi ventennale consolidata, ma riuscire a mantenere uno standard elevato quando in genere le grandi aziende si limitano a prodotti gradevoli, ma dunque spesso poi alla fine stancanti, fa la differenza. Certo, provare il già mitico 2007 coccolati dai piatti di Paolo Barrale a Marennà insieme ai protagonisti, con ricette pensate per essere abbinate al Greco, leggi un primaverile coniglio scottato con asparagi, il classico baccalà arrostito, il tradizionale zito con salsiccia e friarielli, la francesizzante anatra, aiuta a considerarlo sotto una luce diversa, anche perché il modo migliore per provare un vino, soprattutto un base che esce a 6,9 euro e che dovrà affrontare milioni di palati su tutte le cucine d’Italia, è proprio vederlo in azione sul cibo. Una serata istruttiva ove si è definitivamente chiarito, nella mia testa, che il vino tanto più è naturale quanto meglio l’uomo riesce ad indirizzarne il percorso enologico partendo da una idea, da un progetto, ben studiato nei dettagli e iniziato ad attuare in vigna. Che la forza dei bianchi campani è nell’essere concepiti in maniera estremamente semplice grazie al terroir, alle giornate di sole, all’escursione termica, all’acciaio, magari un po’ di legno se si hanno aspirazioni di durata, e che proprio per questo rappresentano un percorso autonomo e intrigante laddove i francesi hanno alle spalle decenni di prove sulle vigne, l’uva e l’uso dei legni. Per cui spesso, volendoli inseguire, si fanno vini caricaturali per usare una espressione di Sandro Sangiorgi, mentre l’idea forza è quella di stampo opposto, applicando protocolli facili e comuni fidando appunto sul vantaggio climatico e su vitigni da tempo inseriti e in zona. Insomma, inutile pensare di fare camembert quando si può produrre buona mozzarella. Con il latte, e dunque con l’uva, le comunità umane possono esprimersi in maniera assolutamente opposta ma complementare nel mercato globale. La migliore manualità della giovane filiera dei viticoltori campani è dunque riuscire a produrre il preciso e ormai definito stile di vino bianco in cui la freschezza, e in seconda battuta, la mineralità siano i marker principali. Stile di successo perché immediatamente comprensibile anche fuori dalla comunità in cui è elaborato e dunque ha possibiltà, come è nei fatti per il Greco, di avere grande consenso commerciale, secondo la definizione ben espressa dal professore Dubourdier a Napoli, dunque sicuramente quello del Greco di Tufo è un terroir con un idealtipo descrittivo ben definito e affermato. Il suo successo commerciale deriva dall’essere un contrappasso alla imperante rotondità dei cibi e dunque dalla necessità di dare ritmo alla bocca e, nella fascia del consumo alfabetizzato, nel fatto che tutta l’alta ristorazione è indirizzata verso una cucina semplice e leggera in cui i rossi faticano a farsi strada dalla cantina alla tavola. Un secondo elemento, molto importante, è che mentre i pari grado friulani e soprattutto altoatesini hanno naso aromatico o intenso a cui non sempre corrisponde una bocca altrettanto autorevole, nel caso del Greco avviene soprattutto il contrario, con un olfatto in genere sempre difficile da fotografare per l’enologo e comunque contenuto mentre nel palato è dinamico, strutturato, appagante, fresco, spesso indimenticabile, dunque una sorpresa quando lo vai a bere mentre mangi. Insomma, per dirla in breve, è un bianco che fa molto bene il suo lavoro qualsiasi sia il livello di chi lo beve. Il base dei Feudi ha comunque un piccolo trucco, una parte minima, Mario parlava di 5, 10 per cento, passa in legno: un segno impercettibile che si disperde nella massa, utile però a significare ulteriormente il vino. Certo, da consulente finanziario di enotecari e appassionati non avrei dubbi e direi: comprate a go go questo bianco venduto a così basso costo, tenetelo in cantina almeno cinque anni e poi rivenderete la mitica annata 2007, perché di questo si tratta, al prezzo che vorrete. Sicuramente, ma è normale, il Greco, imbottigliato appena venti giorni fa, adesso ha scompostezza, ma alcuni parametri per capire di essere di fronte ad uno dei migliori base della storia enologica irpina ci sono tutti, a cominciare dalla assoluta assenza di diluizione, dalle note tipiche minerali, dalla freschezza autorevole e padrona, dalla struttura appagante, dall’occupazione militare e prepotente del palato, a lungo presidiato anche quando il vino ha finito di essere tale perché deglutito. Credo che un base di questa portata possa benissimo fare la sua figura in una qualsiasi carta di un qualsiasi ristorante: di questi tempi di crisi, contribuisce senz’altro a calmierare il conto finale. Una grande bottiglia che rafforza il legame con la terra della portaerei del vino campano.
Sede a Sorbo Serpico, Località Cerza Grossa. tel. 0825.986266. www.feudi.it. feudi@feudi.it. Enologi: Riccardo Cotarella e Mario Ercolino. Ettari: 250 di proprietà. Bottiglie prodotte: 3.500.000. Vitigni: aglianico, piedirosso, merlot, fiao, greco, falanghina, coda di volpe
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