Greco di Tufo 1984, a distanza di quasi dieci anni ne riproviamo un’altra bottiglia nello stesso luogo, il magico President di Laila Paolo Gramaglia, un riferimento assoluto quando si viene a Pompei. A quesi tempi fare vino significava agire in campagna e in cantina in modo assolutamente diverso da come poi si è iniziati a farlo dopo la crisi del metanolo e soprattutto negli anni ’90 in Italia. Non esisteva la cultura della potatura verde, nella sosta sulle fecce per arricchire il vino, lo stesso consumo avveniva nell’arco dell’anno.
Ritrovare dopo dieci anni una bottiglia di cui abbiamo già parlato nel 2013 significa allora parlare semplicemente della forza dell’uva di spingersi in avanti oltre ogni ragionevole dubbio, perchè la prima domanda è: dopo quasi 40 anni vale la pena stappare una bottiglia del genere.
La risposta è sì, in primo luogo banalmente per la curiosità, poi per cercare di capire. Crtyo siamo distanti dalle caratteristiche del Greco di Tufo se non per una costante: l’acidità che tiene ancora in piedi il bicchiere e invita continuamente al sorso.
Secondo il nostro parere il vino si è ormai assestato, a comincire dal colore, come fosse uno sherry, dalle note di miele e confettura di albicocca e mela cotta. Un naso dolce, insomma, a cui fa da contraltar l’austero palato assolutamente secco e che consente di berlo a tutto pasto, dall’antipasto al dolce, senza alcun problema, anzi, con molta soddisfazione.
Una bella esperienza, una viaggio in stile Odissea 2001 oltre i limiti che ci racconta il mondo incantato che qualsiasi bottiglia di vino, realizzata con una grande uva, può regalare agli appassionati.
Scheda del 17 dicembre 2013
Una delle qualifiche che differenzia i ristoranti è la cantina. Al netto di quelle che si fanno fare dal rappresentante, ma anche di quelle articolate e profonde perché il proprietario ha studiato la materia.Intendo la profondità e solo in pochi locali campani si riescono a trovare vere e proprie chicche.
Annate antiche commercializzate direi solo Oasis, Tonino dei Quattro Passi, Caravella e Don Alfonso. Antiche bottiglie che spuntano durante la risistemazione per fortuna un po’ di più. Il President, per esempio, perchè il papà di Paolo ha comprato molto sin dagli anni ’80, quando era possibile farlo perché tutto girava alla perfezione senza i problemi di oggi.
Ecco dunque che al termine del nostro appuntamento annuale a Pompei per gli auguri spunta sempre qualcosa di interessante. Stavolta l’alternativa era tra bianchi e tra unRiesling e un Greco di Tufo Di Marzo 1984 non abbiamo avuto dubbi. In fondo siamo sempre in servizio.
A cosa serve bere queste bottiglie? Beh, la molla principale per l’appassionato è la ricerca del piacere e dell’emozione. La prima si ferma al palato, la seconda è capace di imprimere forza evocativa alla mente, ma questo dipende dall’incrocio di due fattori: di un prodotto che esca dalla normalità e da un recipiente cranico capace di memoria e cuore.
Da un punto di vista tecnica, in quell’epoca di viticoltura sicuramente meno consapevole di oggi, può essere utile per misurare l’energia pura del vitigno. Un po’ come si studiano i centenari sardi e caucasici che magari per tutta la vita nulla di particolare hanno fatto se non vivere a lungo perché dotat di un buon dna e per aver fatto una vita lontano dal cibi oncologici come il 90% di quelli che si vendono nei supermecati in buste e pacchi di plastica che disegnano l’ordine della morte. Di chi li mangia oltre che dei batteri.
Il Greco spunta così e lo versiamo nel bicchier dopo aver sfracellato il tappo. Con il buon Paolo lo si filtra e lo si lascia respirare nei bicchieri ampi.
Colpisce anzitutto la sensazione di cedro candito e di idrocarburo. Due note dominanti che non lasceranno il posto ad altre se non dopo l’aumento della temperatura che facilita note balsamiche e il filo ossidato.
Chi dice che da vecchi si torna bambini non sa quanto sia vero con questo vino per il colore: è proprio quello del mosto del Greco, certo meno brillante.
In bocca questo Greco di 30 anni ha una bellissima energia: è secco, totalmente, nessun rimando dolce e soprattutto nessuna stanchezza. Trasmette una sensazione di purezza assoluta e fantastica. Forte, lungo, pieno, di grande valore. La conferma di come la tradizione sia importante, ma anche il rimpianto con cui queste cantine storiche hanno lavorato per tanti anni senza alcuna consapevolezza dell’importanza di quello che stavano facendo.
Oggi che Di Marzio è così energicamente portata avanti da Ferrante Di Somma, pensate a quanto fascino potrebbe vendere organizzando periodiche verticali di questi vini.
Scordammoce ‘o passato? Si, delle persone, mai dei vini irpini.
Le cantine Di Marzo sono in via Gaetano Di Marzo 2 Tufo (AV). Tel.0825 998022 www.cantinedimarzo.it
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