Questo bianco fa parte un po’ dei tesori nascosti del Sannio, il grande serbatoio del vino campano. In questa provincia infatti, oltre alla Falanghina che ormai viaggia sui dodici milioni di bottiglie, molte aziende producono Fiano, Greco e Coda di Volpe, qualcuna Agostinella, con ottimi risultati.
Chiaramente sia a livello commerciale che comunicativo, si tratta di vini cannibalizzati dalla Falanghina, ma proprio per questo sono capaci di dare belle soddisfazioni agli appassionati che cercano concretezza al tavolo.
Tanto per cominciare anche qui si tratta di bianchi capaci di sfidare e di evolvere con il tempo con ottimi risultati. Poi come detto, si tratta di vini concreti, freschi e di buona struttura. Come questo Greco della cantina fondata da Enzo Rillo e lavorato dall’enologo abruzzese Vittorio Festa, grande mestiere e figlio d’arte.
Questa bottiglia, che abbiamo sacrificato all’altare di una grande piatto di tradizione borbonica, il timballo flammand preparato da mia sorella per il mio onomastico è stato semplicemente perfetto nell’abbinamento al pasta e al ragù di carne in bianco con funghi e tartufi all’interno.
Ecco quando parlo di concretezza in un vino. Il naso ha note fumé e di frutta bianca evoluto, al palato il vino è un sorso solido, decisamente fresco, di grande struttura e meglio non potevamo scegliere per questo piatto. Quasi cinque anni di attesa prima dello stappo lo hanno maturato e reso perfetto all’appuntamento con il piatto.
Un piccolo grande vino, come del resto altri Greco del Sannio, una tipologia da non sottovalutare.
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